GIUDIZIO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. III, 09-03-2010, n. 5676

Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

Con querela-denuncia in data 15/4/90, C.R. esponeva all'autorità giudiziaria che in data (OMISSIS), in frazione (OMISSIS), mentre era alla guida della propria autovettura, era stato costretto a fermarsi da V.P., ispettore di P.S., subendo una perquisizione, motivata dal sospetto uso di sostanze stupefacenti.

Il V. veniva quindi imputato del reato di cui agli artt. 605, 610, 609 e 323 c.p., "per avere quale sottoufficiale della Polizia di Stato, in violazione dei suoi doveri, proceduto a perquisizione personale nei confronti di C.R., costringendolo a spogliarsi e privandolo della sua libertà personale per congruo tempo".

Assolto in primo grado con sentenza del Tribunale Penale di Arezzo n. 56/91, V.P. veniva condannato in grado di appello dalla Corte di Appello di Firenze, quindi definitivamente assolto dalla stessa Corte di Firenze con sentenza n. 559/93 nel giudizio di rinvio disposto dalla Cassazione con sentenza n. 594/93; assoluzione pronunciata con la formula "il fatto non sussiste".

A seguito di ciò il V. conveniva a sua volta in giudizio, innanzi al Tribunale di Arezzo, il C. per sentirlo condannare al risarcimento dei danni in suo favore (per l'importo di L. 102.400.000); costituitosi il convenuto, il G.O.A. della Sezione Stralcio del Tribunale di Arezzo, con sentenza n. 31/2001, rigettava la domanda e, a seguito dell'appello del V., la Corte d'Appello di Firenze, con la sentenza in esame, depositata in data 3/4/2006, confermava quanto statuito in primo grado, rigettando il gravame. Affermava, in particolare, la Corte territoriale che "la valutazione di inattendibilità del denunciante, sul quale correttamente si fonda una pronuncia assolutoria, non equivale ad affermazione di falsità dei fatti denunciati.

Tanto più che, esclusa la violenza privata sulla scorta delle dichiarazioni dello stesso C., la realtà di una perquisizione non fu esclusa, e la sua legittimità fu ricondotta ai sospetti che il V. riteneva esistere, i quali però potevano non essere noti o condivisi dal denunciante".

Ricorre per Cassazione il V. con tre motivi, con relativi quesiti; resiste con controricorso il C..

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., nonchè dell'art. 2043 c.c., in quanto la Corte territoriale ha erroneamente valutato risultanze probatorie e documentali, tralasciando la decisiva circostanza della non verità dei fatti di cui in denuncia.

Con il secondo motivo si deduce violazione dell'art. 2697 c.c., in quanto l'odierno ricorrente "non potendo materialmente dimostrare l'esistenza di un fatto non avvenuto, ha fornito tutte le prove dalle quali si può agevolmente desumere, almeno per presunzioni, il fatto negativo inerente la non veridicità di quanto descritto nella denuncia-querela dal C.." Con il terzo motivo si deduce contraddittorietà della motivazione, là dove, da un lato si è ritenuto il C. inattendibile, dall'altro veri i fatti denunciati.

Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte le suesposte doglianze da trattarsi congiuntamente in quanto aventi ad oggetto il medesimo thema decidendum della valutazione delle risultanze documentali, e relativa motivazione, ai fini dell'esclusione delle veridicità dei fatti narrati dal C. nella querela in questione.

A parte la considerazione che la Corte di Firenze, sulla base di un compiuto esame delle risultanze di causa, ha escluso che il C. potesse ritenersi responsabile della deduzione di fatti non veritieri e che ogni ulteriore valutazione in proposito è preclusa nella presente sede di legittimità, la sentenza impugnata applica correttamente il principio secondo cui il giudicato penale ha effetti preclusivi nel giudizio civile solo quando contiene un effettivo accertamento di insussistenza del fatto e non quando l'assoluzione, come nella vicenda in esame, sia motivata in base alla mancanza di sufficienti elementi di prova in proposito.

Ha affermato infatti questa Corte (tra le altre, Cass. n. 22883/2007) che, ai sensi dell'art. 652 c.p.p. (nell'ambito del giudizio civile di danni) e dell'art. 654 c.p.p. (nell'ambito di altri giudizi civili), il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato e non anche quando l'assoluzione sia determinata dall'accertamento dell'insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l'attribuibilità di esso all'imputato e cioè quando l'assoluzione sia stata pronunziata a norma dell'art. 530 c.p.p., comma 2.

Nella decisione impugnata, infatti, come soprariportato, si legge che, pur se la legittimità dell'effettuata perquisizione fu ricondotta ai fondati sospetti del V. in ordine al possesso di stupefacenti da parte del C., "la realtà della perquisizione non fu esclusa in sede penale".

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese della presente fase che liquida in complessivi Euro 2.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre spese generali ed accessorie come per legge.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2010