REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 5379 del 2009, proposto dal
Ministero dell'interno, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
 

contro

@@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dagli avv. -
 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. UMBRIA – Sede di PERUGIA- SEZIONE I n. 00045/2009, resa tra le parti, concernente REVOCA DELLA LICENZA DI PORTO DI FUCILE PER USO CACCIA..

 


 

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di @@@@@@@ @@@@@@@;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 marzo 2010 il consigliere F-

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


 

FATTO

Con il ricorso di primo grado parte appellata aveva impugnato il provvedimento prot. n. 0029375 in data 21 ottobre 2008 con cui il Prefetto della provincia di Terni aveva disposto nei suoi confronti il divieto di detenzione di armi e munizioni ed il conseguente provvedimento prot. Cat. 6F – Div. P.A.S. – 08 in data 28 ottobre 2008, con cui il Questore della Provincia di Terni aveva disposto la revoca della licenza di porto di fucile per uso di caccia.

L’odierno appellante era insorto prospettando i vizi di carenza di istruttoria, illogicità e difetto di motivazione, nei confronti del divieto (e di invalidità derivata nei confronti della revoca).

Il Tar ha accolto l’impugnazione,esaminando gli articolati motivi di censura di cui al ricorso, e ritenendo i medesimi fondati; ha in primo luogo rilevato che non v’era contrasto in ordine alla ricostruzione dei fatti all’origine dell’adozione dei provvedimenti impugnati.

Ne discendeva che doveva considerarsi provato che l’abitazione dell’appellato ricorrente si trova nella frazione di @@@@@@@ di Orvieto, in una zona priva di pubblica illuminazione e limitrofa all’aperta campagna, confina con un campo di calcetto e dista pochi metri dal relativo piazzale, in una zona in precedenza interessata da numerosi tentativi di furto.

Che la notte del 4 novembre 2007 l’appellato (il quale aveva precisato di essere stato svegliato dall’insistente abbaiare del cane e di aver temuto la presenza di malintenzionati) era uscito di casa, portando con sé una torcia e una pistola, e si era recato nel piazzale predetto, dove aveva scorto un’autovettura nascosta dietro lo spogliatoio a luci spente (il che lo aveva preoccupato, in quanto l’accesso al piazzale risultava aperto, mentre l’ora e la stagione non giustificavano la presenza di persone).

Alle grida dell’appellato l’autovettura era partita ed era uscita dal piazzale, abbagliandolo con i fari e non consentendogli di scorgere chi si trovasse al suo interno; il conducente dell’autovettura aveva denunciato l’accaduto ai Carabinieri di @@@@@@@, i quali, giunti sul posto, avevano identificato l’appellato: era stato poi accertato che a bordo dell’autovettura vi era una coppia di fidanzati, i quali, trovandosi occasionalmente nella disponibilità della chiave del cancello, si erano appartati in quel luogo.

Preso atto della circostanza che l’appellato svolgeva da trent’anni attività di commercialista, deteneva fucili da caccia da circa vent’anni, dal 2002 era anche titolare di porto d’armi per difesa personale e non risultava fosse mai stato oggetto di contestazioni o segnalazioni al riguardo, il Tar ha ritenuto fuorviante la proposta di divieto di cui alla nota prot. 12/164 – 7 2007 in data 16 gennaio 2008 del Comando Stazione Carabinieri di @@@@@@@, sottesa al provvedimento impugnato, secondo cui l’appellato “si aggirava in ore notturne, in pigiama, armato e munito di torcia elettrica nel piazzale antistante il campo di calcetto …”.

Tale motivazione, prescindendo dal contesto sopra ricordato, avrebbe fatto effettivamente pensare ad un comportamento poco equilibrato, sintomatico del conseguente giudizio sulla “inaffidabilità nella tenuta delle armi” dell’appellato il quale, secondo l’Amministrazione “non offre le necessarie garanzie per la detenzione di armi e munizioni”.

Pur tuttavia, secondo il Tar, (che pure ha dato per scontata la buona fede dei denuncianti, e la convinzione, da parte dei giovani coinvolti nella vicenda, di essere sfuggiti all’assalto di un malintenzionato, o addirittura di un pericoloso maniaco) l’Amministrazione aveva piena conoscenza dei dati di fatto sopra sin@@@@@@@zzati (con riguardo alla puntuale ricostruzione che l’appellato aveva fornito, partecipando al procedimento con la nota in data 17 luglio 2007) ed avrebbe quindi potuto e dovuto valutarne diversamente il comportamento.

Nel contesto predetto, detto comportamento non sembrava al Tar censurabile, né indice di una propensione ad abusare o utilizzare impropriamente le armi al cui possesso era stato autorizzato, (i giovani protagonisti della vicenda concordavano sul fatto che l’appellato non aveva mai puntato la pistola verso di loro, né li aveva minacciati, e l’arma non aveva il colpo in canna).

Conclusivamente, la possibilità di chiedere senza indugio l’intervento delle forze dell’ordine non appariva di per sé sufficiente a rendere illegittimo qualsiasi comportamento di vigilanza a fini di autodifesa da parte dei cittadini, purché attuato in modo da non mettere a repentaglio l’incolumità propria ed altrui: da ciò è discesa la statuizione demolitoria oggetto dell’odierno appello.

La sentenza è stata appellata dall’Amministrazione originaria resistente di primo grado che ne ha contestato la fondatezza proponendo articolati motivi di impugnazione ed evidenziando che la statuizione dell’Amministrazione doveva reputarsi legittima alla stregua delle prescrizioni di cui alle disposizioni del TULPS.

Il provvedimento impugnato in primo grado era ben motivato: del tutto apodittico appariva l’iter motivazionale seguito dal Tar con la appellata statuizione demolitoria: il Tar aveva sostituito la propria discrezionalità a quella dell’Amministrazione straripando dalle proprie competenze, ed in assenza di alcun profilo di arbitrarietà/illogicità della statuizione amministrativa impugnata.

La sentenza doveva essere annullata in quanto, tra l’altro, non aveva tenuto conto che l’Amministrazione aveva adottato la propria determinazione sulla base di una articolata istruttoria, e che risultava provato che il @@@@@@@ si era recato armato in un luogo non di propria pertinenza, seppure limitrofo: risultava smentito il presupposto fattuale tenuto presente dal Tar, secondo cui egli “volesse allontanare una minaccia dalla propria sfera personale e patrimoniale”.

La condotta del @@@@@@@ aveva posto a rischio la sicurezza dei soggetti passivi della sua azione; faceva propendere per una prognosi negativa sul futuro utilizzo delle armi; la memoria infraprocedimentale da questi presentata non conteneva alcuna deduzione atta a scalfire tale convincimento (al quale arbitrariamente il Tar aveva sostituito il proprio).

Parte appellata ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione del ricorso in appello: il travisamento della condotta dell’appellato emergeva evidente dalla scarna ricostruzione contenuta nel verbale descrittivo dei fatti accaduti nella notte del 4.11.2007.

Egli era in possesso del titolo abilitativo al porto dell’arma al di fuori della propria abitazione, e di esso non aveva abusato: a notte fonda aveva udito rumori sospetti, ed era uscito a controllare; anche quando gli occupanti della vettura (a loro volta spaventati) accesero i fari e si allontanarono, egli omise di puntare l’arma, mantenendola priva di colpo in canna.

Egli, in ragione della professione di ragioniere commercialista esercitata aveva esigenza di detenere l’arma, della quale mai in passato aveva abusato: nessuna prognosi negativa poteva ricavarsi dalla condotta da questi tenuta nella notte del 4.11.2007.

All’adunanza camerale del 21 luglio 2009, fissata per l’esame della domanda di sospensione della esecutività dell’appellata decisione, il Consiglio di Stato ha accolto l’istanza cautelare, rilevando che nel sommario esame proprio dell’esame in fase cautelare, la valutazione dell’Amministrazione non poteva ritenersi inattendibile, e considerato anche che non era stata disposta la distruzione della armi.

DIRITTO

L’appello deve essere accolto, nei termini di cui alla motivazione che segue con conseguente riforma della appellata sentenza e reiezione del ricorso di primo grado.

Non v’è contestazione alcuna in ordine agli aspetti fattuali e cronologici sottesi alla causa, né in ordine alle disposizioni applicabili al caso di specie, il che esonera il Collegio dall’esaminare tali aspetti.

Appare invece conducente, al Collegio, fare precedere la disamina in fatto degli elementi sottesi alla impugnazione da una sin@@@@@@@ca esposizione dei recenti – e condivisibili- approdi della giurisprudenza amministrativa, sotto il profilo generale, in materia di verifica della permanenza in capo al privato dei requisiti legittimanti la detenzione di armi (non soltanto ad uso caccia).

In tale materia, l’ orientamento giurisprudenziale assolutamente prevalente ha costantemente ritenuto che “la revoca della licenza del porto di fucile costituisce esercizio del potere di cui all'art. 43 r.d. 18 giugno 1931 n. 773, che implica una valutazione tipicamente discrezionale in ordine all'affidabilità del titolare della licenza ai fini dell'uso dell'arma.” (Consiglio di Stato , sez. VI, 22 maggio 2006, n. 2945).

Si è pertanto affermato che sono legittimi il divieto di detenere armi, munizioni ed esplosivi e la revoca del permesso al porto di pistola disposti sulla base di una serie di fatti i quali, nell'apprezzamento che ne fa l'Amministrazione, possono indurre in quel momento ad ipotizzare un uso improprio dell'arma in modo da non recare danno ed altri. (tra le tante, si veda Consiglio di Stato , sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3992).

Sotto il profilo della consistenza del dato probatorio sotteso alla valutazione amministrativa, il Consiglio diStato ha in passato affermato che ai fini della revoca del porto d'armi è sufficiente che sussistano elementi indiziari circa la mera probabilità di un abuso dell'arma da parte del privato. (ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 07 novembre 2005, n. 6170).

Quanto al ventaglio delle condotte sussumibili nella fattispecie legittimante la statuizione revocatoria si è, sin da tempo risalente affermata la tesi (che vi ricomprende anche le mere disattenzioni ed i deficit di diligenza)per cui ai fini della revoca del porto d'armi, "abuso" dell'arma non è solo l'uso illegittimo dell'arma, ma anche l'omissione delle cautele dirette ad impedire che persone diverse dal titolare possano impadronirsi e servirsi di essa; pertanto, legittimamente è disposta la revoca del porto d'armi a chi abbia lasciato una pistola in un'autovettura parcheggiata, senza curarsi di chiuderla, e che per tale circostanza abbia subito il furto della macchina e della pistola. (sul punto: Consiglio di Stato, sez. I, 10 giugno 1977, n. 1538).

Ad analoghe conclusioni conduce la verifica degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali in materia di disposizioni che regolamentano, sotto un profilo più generale, l’utilizzo delle armi in capo ai cittadini.

Ai sensi dell’art. 39 R.D. 18 giugno 1931 n. 773, il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, alle persone ritenute capaci di abusarne; parimenti, ai sensi degli articoli 11 e 43 R.D. 18 giugno 1931 n. 773, la licenza di porto d’armi può essere ricusata dal Questore a coloro che non danno affidamento di non abusare delle armi.

Tale disciplina è diretta al presidio dell'ordine e della sicurezza pubblica, alla prevenzione del danno che possa derivare a terzi da indebito uso e inosservanza degli obblighi di custodia, nonché della commissione di reati che possano essere agevolati dall'utilizzo del mezzo di offesa.

I provvedimenti concessivi dell’autorizzazione alla detenzione e del porto di armi postulano, quindi, che il beneficiario di esso sia indenne da mende, osservi una condotta di vita improntata a puntuale osservanza delle norme penali e di tutela dell'ordine pubblico, nonché delle comuni regole di buona convivenza civile, sì che non possano emergere sintomi e sospetti di utilizzo improprio dell’arma in pregiudizio ai tranquilli ed ordinati rapporti con gli altri consociati.

L’art. 39 del R.D. n. 773/1931, nel prevedere il potere del Prefetto di vietare la detenzione di armi, munizioni ed esplosivi a carico delle persone ritenute capaci di abusarne, configura un potere di valutazione eminentemente discrezionale, da esercitarsi con prevalente riguardo all’interesse pubblico all’incolumità dei cittadini ed alla prevenzione del pericolo di turbamento che può derivare dall’eventuale uso delle armi, in riferimento alla condotta ed all’affidamento che il soggetto può dare in ordine alla possibilità di abuso delle stesse. A tale affermazione consegue, tra l’altro, che, considerato il carattere preventivo delle misure di polizia, non è richiesto che vi sia stato un oggettivo ed accertato abuso da parte del soggetto interessato, essendo sufficiente che – sulla base di elementi obiettivi – quest’ultimo dimostri una scarsa affidabilità nell’uso delle armi, o un’insufficiente capacità di dominio dei propri impulsi ed emozioni (C.d.S., Sez. IV, 26 gennaio 2004, n. 238).

Analogamente, con riferimento alla revoca della licenza di porto d’armi ex art. 11 del R.D. n. 773 cit., la giurisprudenza non richiede un oggettivo ed accertato abuso nell’uso delle armi, essendo sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne e risultando, perciò, legittima – nonostante non ricorra alcuna delle ipotesi direttamente descritte dalla legge – la revoca dell’autorizzazione in base al motivato convincimento dell’Amministrazione circa, la prevedibilità dell’abuso dell’autorizzazione.

Il dato complessivo che da tali autorevoli arresti può trarsi, è quello per cui la valutazione amministrativa è suscettibile di un sindacato assimilabile a quello ricorrente con riguardo alla fattispecie di discrezionalità tecnica (se nell’ambito delle valutazioni quella effettuata rientri nell’ambito della attendibilità); quindi, deve all’uopo rammentarsi che, anche laddove la giurisdizione amministrativa si estenda al merito (il che non è nel caso di specie), il profilo di congruenza motivazionale, assenza di parametri di abnormità, e sufficienza ed attendibilità delle risultanze istruttorie costituisce l’essenza del convincimento giudiziale, che, ove penetrantemente diretto a sindacare l’opportunità e la convenienze delle scelte (soprattutto ove le stesse si risolvano in un giudizio) sostituirebbe la propria valutazione a quella della Amministrazione e sconfinerebbe, quindi, in compiti di amministrazione attiva sostitutivi dell’Amministrazione e, come tali, inammissibili (si veda, tra le tante, Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 7266/2003).

D’altro canto su un punto appare necessario fare chiarezza: il possesso da parte di un cittadino di un’arma, o l’utilizzo della medesima a fine di caccia, non rientra nello “statuto ordinario dei diritti della personalità appartenenti al singolo”, ma costituisce un quid pluris, la cui concessione risente della necessità che, stante il potenziale pericolo rappresentato dal possesso e dall’utilizzo dell’arma, l’Amministrazione si cauteli mercè un giudizio prognostico che, ex ante, escluda la possibilità di abuso.

Tale valutazione favorevole all’istante non è riscontrabile nel caso di specie.

Rectius: l’approccio valutativo reso dall’Aamministrazione non appare né abnorme né irrazionale, e - nei limiti di tale discrezionalità non irragionevolmente esercitata -doveva essere riconosciuta la legittimità dei provvedimenti in primo grado impugnati.

Ritiene il Collegio che la descrizione comunque incompleta e perciò solo in parte fuorviante rappresentata nel verbale descrittivo dei fatti accaduti reso dalle forze dell’ordine intervenute (esattamente, sul punto, il Tar ne ha evidenziato i punti di criticità) non connoti ex se di illegittimità l’azione dell’Amministrazione.

Il (non condivisibile) punto dal quale sembra muovere il Tar, è quello per cui i termini valutativi (“giudizio prognostico”, “possibilità di abuso”, “giudizio ex ante”) che devono guidare l’Amministrazione attengano semplicemente alla possibilità che taluno consapevolmente e/o dolosamente, ovvero animato da insane intenzioni, possa abusare del titolo abilitativo alla detenzione dell’arma.

Contrariamente a ciò, invece, deve ritenersi che il giudizio prognostico relativo al non corretto utilizzo, possa investire anche sfere diverse da quelle suindicate, non meno foriere di potenziali pericolose conseguenze, sebbene soggettivamente non riprovevoli, è bene precisarlo.

In termini più chiari ed esemplificativi: una eccessiva emotività, una propensione all’autodifesa sconfinante nella temerarietà, una tendenza alla ipervalutazione di un potenziale pericolo, ovvero alla sottovalutazione delle conseguenze discendenti dall’esporsi ad eventi lesivi, possono essere rappresentative del pericolo di possibili “incidenti” dovuti all’utilizzo dell’arma, né più e né meno di altre (soggettivamente più gravi e magari moralmente riprovevoli) circostanze, quali l’inclinazione alla litigiosità, la prepotenza caratteriale, l’iracondia, etc.

In sintesi: ai fini preventivi richiesti dalla normativa in esame, per l’Amministrazione è equivalente trovarsi al cospetto di un soggetto moralmente riprovevole, ovvero ad altro, di personalità adamantina e financo generoso e pronto ad intervenire per difendere i deboli dalle sopraffazioni, che tuttavia non percepisca esattamente quando ricorrono condizioni di effettivo pericolo, quando esse siano insussistenti, ovvero quando le medesime, pur sussistendo, sconsiglino interventi isolati e impongano di astenersi da qualsivoglia intervento diverso da quello di allertare le forze dell’ordine.

E tale giudizio pertiene, nei limiti della ragionevolezza, all’Amministrazione.

Sol che si ponga mente locale alle possibili conseguenze che sarebbero potute discendere dalla condotta dell’appellato, laddove, ad esempio, i destinatari della sua condotta non si fossero tempestivamente allontanati (ma, a loro volta, paventando di trovarsi di fronte ad un criminale avessero tentato di ridurlo all’impotenza) si avrà un chiaro quadro dell’approdo del giudizio prognostico reso dall’Amministrazione.

Ed il fatto storico è altresì da inquadrare in un contesto “temporale” (parte appellata avrebbe avuto tempo e modo, piuttosto che esporre se stesso ed altri ad un pericolo di avvisare le forze dell’ordine, limitandosi a sorvegliare i movimenti sospetti) idoneo a legittimare il giudizio dell’Amministrazione.

Neppure parte appellata peraltro, lealmente, nega (si veda pag.3 della memoria conclusionale da questa depositata) che l’area ove egli si ebbe a recare, munito di torcia e con l’arma in pugno, non pertenesse alla propria abitazione ma fosse ad essa contigua e pertanto appare a dir poco arduo configurare l’imminenza, anche putativa, di un pericolo immediato alla propria persona od ai propri beni che giustificasse l’iniziativa intrapresa.

Che tale condotta potesse legittimare il provvedimento impugnato in primo grado appare al Collegio valutazione incontestabile, non abnorme, rientrante in un ambito di attendibilità. La valutazione dell’Amministrazione appare peraltro ben armonizzarsi con le prescrizioni di un sistema repressivo penale, quale è quello italiano, che sanziona con pene severe condotte “difensive” poste in essere in carenza dei prescritti requisiti, ovvero eccedenti il limite della continenza (si veda in proposito il disposto di cui all’art. 55 del codice penale, e più ancora l’elaborazione giurisprudenziale penalistica in materia, ovvero i principi a più riprese affermati dalla Suprema Corte di cassazione in materia di c.d. “legittima difesa putativa”: ex multis, Cassazione penale , sez. I, 06 dicembre 2005, n. 4337 ).

Né a tal fine può ostare la dedotta circostanza che, sia antecedentemente che successivamente all’accadimento contestatogli, e nelle more dell’adozione del provvedimento impugnato, l’appellato non abbia commesso alcuna altra violazione: ciò costituisce un post-factum, eventualmente valutabile, in futuro, dall’Amministrazione, ove l’appellato inoltrasse una nuova richiesta concessoria.

Neppure rileva la circostanza (valorizzata da parte appellata nella propria memoria difensiva) secondo cui egli era abilitato al porto dell’arma, per cui la notte del 4.11.2007 non commise alcuna violazione, dovendosi escludere che l’abilitazione al porto dell’arma includa quale condotta ordinaria ad essa connessa l’esibizione dell’arma a terzi soggetti, di notte, in aperta campagna ed in luogo isolato.

Il complessivo percorso argomentativo dei primi giudici non resiste alle censure articolate nell’appello: appare, pertanto, meritevole di riforma la appellata decisione, e, per l’effetto, meritevole di reiezione il ricorso di primo grado proposto dall’odierno appellato.

Sussistono nondimeno le condizioni di legge per compensare, per entrambi i gradi di giudizio, le spese processuali sostenute dalle parti a cagione della complessità in fatto delle questioni devolute all’esame del Collegio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe lo accoglie nei termini di cui alla motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata respinge il ricorso di primo grado.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2010 con l'intervento dei Signori:

 

-

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

Il Segretario


 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/06/2010

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Dirigente della Sezione