GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA   -   REVOCAZIONE (GIUDIZIO DI)
Cons. Stato Sez. IV, Sent., 13-10-2010, n. 7489
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1.- Il sig. ###############, maresciallo ordinario del corpo della guardia di Finanza, impugnava in primo grado il provvedimento 29 agosto 2003 adottato dal Comandante Generale della Guardia di finanza, con il quale, all'esito del relativo procedimento disciplinare, gli è stata irrogata la sanzione della perdita di grado e la sua rimozione per violazione del giuramento, in quanto condannato per concussione alla pena (sospesa) di anni 1, mesi 2 e giorni 10 di reclusione ed all'interdizione temporanea dai pubblici uffici.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, assorbiti gli altri motivi, accoglieva il ricorso ed annullava la sanzione irrogata, ritenendo fondato il secondo motivo (sproporzione) per il quale il comportamento tenuto dal ricorrente, in ragione delle complessive circostanze e dei particolari della fattispecie, non potesse ritenersi meritevole della più grave sanzione, costituita dalla perdita del grado con rimozione.

2.- Questa Sezione, con la decisione revocanda n. 5475 del 2008, in riforma della citata sentenza impugnata dal Ministero odiernamente resistente, ha respinto il ricorso di primo grado, anche in tutti gli altri motivi di doglianza non esaminati dai primi giudici e riproposti dall'appellato.

Tale decisione si è espressa nei termini, sugli aspetti e con i rilievi di seguito esposti: la natura del fatto accertato e le motivazioni che lo hanno rapportato alla sanzione irrogata non integrano né una sproporzione tra presupposti e conseguenze, né un difetto logico delle valutazioni che li hanno posti in relazione; non sussiste la violazione della norma (art. 46 della legge n.833 del 1961), che prevede un unico procedimento per fatti commessi da più militari, essendo mancata nella fattispecie la possibilità di accertamento simultaneo in sede penale della corresponsabilità per tutti i rispettivi autori; la patologia (sindrome ansisosodepressiva) invocata a ragione della sospensione del procedimento disciplinare essere stata giudicata non di impedimento dai sanitari dell'amministrazione e tale valutazione neppure è stata contestata dall'interessato quanto meno con specifici accertamenti sanitari attestanti che la sua natura "psichica" fosse di impedimento ad esercitare il
diritto di difesa e, peraltro, quest'ultima circostanza non precludesse all'interessato di esercitare il relativo diritto a mezzo di un rappresentante o in forma scritta, sostitutiva della presenza fisica eventualmente impedita; in disparte dall'applicabilità dell'art. 24 Costituzione nei procedimenti amministrativi (negata da Corte Cost. n.239/1988), deve rilevarsi che la censura si muove in un ottica di automatica applicazione del giudicato ai fini disciplinari, mentre la sanzione a seguito di questa irrogata ha costituito il risultato di un autonomo e motivato apprezzamento dei fatti accertati dal giudice ordinario, dimodochè i profili processuali penali antecedenti il procedimento disciplinare di cui è causa non hanno svolto alcun ruolo nella determinazione sanzionatoria di cui si tratta; non si riscontra la violazione dell'art. 15 della legge n. 382 del 1978 che, implicitamente abrogando l'art 73 della legge n.599 del 1954, avrebbe previsto -secondo la prospettazione- la
presenza nella Commissione di un ufficiale difensore del dipendente di pari grado, atteso che detta norma (art. 15, c. 2, legge n. 382/78) si riferisce ai soli procedimenti tesi all'inflizione della consegna di rigore; insussistenti, infine, i denunziati profili di eccesso di potere per difetto di istruttoria ed errata impostazione degli atti accusatori, in quanto il ricorrente è stato condannato per un" ipotesi concussiva di tipo induttivo e non costrittivo.

3.- Con il ricorso in odierno esame, il ricorrente ha chiesto la revocazione della decisione innanzi illustrata, intervenuta a definizione della vertenza che ha investito la legittimità della relativa procedura espulsiva, deducendo a vizio revocatorio, ai sensi dell'art. 395 comma 4 c.p.c., la circostanza che questa Sezione non si sarebbe pronunciata sulla censura riproposta dall'appellato e relativa al contestato giudizio sanzionatorio, adottato senza che l'incolpato avesse potuto presenziare alla seduta conclusiva, nonostante l'esibizione del certificato medico attestante temporanea "sindrome ansiosodepressiva" di tipo situazionale; inoltre, erroneamente il Presidente del Consiglio di disciplina avrebbe richiesto al Dirigente del Servizio sanitario di accertare "il carattere di eccezionalità" della situazione patologica sofferta, atteso che la Circolare n. 1/1993 ed il parere del Consiglio di Stato n. 598/2001 parlano invece del diverso concetto di "sussistenza di un impedimento
alla partecipazione alle sedute dovuto a motivi di salute"; quindi, impropriamente il sanitario pubblico avrebbe affermato che "la tematica evidenziata non rientra nel carattere di eccezionalità di cui alla nota"; in conclusione, l'errore di fatto commesso dal giudice avrebbe determinato una totale omissione della pronuncia, identificabile comparando la motivazione della decisione con la censura proposta.

L'Amministrazione intimata si è costituita in giudizio per resistere e, con la memoria depositata il 15 maggio 2010, ha eccepito l'inammissibilità dell'avversata revocazione in punto di fatto e di diritto; il ricorrente ha ulteriormente illustrato le proprie difese con la memoria depositata il 3 giugno 2010.

All'udienza del 15 giugno 2010, nella quale la causa è stata posta in decisione, il ricorrente ha versato agli atti processuali ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Milano, inerente la concessione della di lui riabilitazione.

4.- Ad avviso del Collegio, il ricorso in revocazione oggetto di esame è inammissibile, sia perché il vizio revocatorio lamentato non è per nulla decisivo e sia perché il giudice d'appello censurato, come da suestesa esposizione in fatto, si è limitato ad argomentare unicamente sull'assorbente rilievo della mancata contestazione da parte dell'appellato, tramite specifici accertamenti sanitari, in ordine alla circostanza che la addotta natura psichica dell'affezione fosse di impedimento ad esercitare il diritto di difesa, evenienza che, ad ogni modo, "non precludeva all'interessato di esercitare il diritto de quo a mezzo di un rappresentante o in forma scritta, sostitutiva della presenza fisica eventualmente impedita".

Com'è noto, l'errore di fatto, il quale può dar luogo a revocazione della sentenza ai sensi dell'art. 395, n. 4, Cod. proc. civ., consiste nell'erronea percezione degli atti di causa che si sostanzia nella supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa oppure nella supposizione dell'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita.

Peraltro, l'errore revocatorio è deducibile solo se il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato e presuppone quindi il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l'altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall'altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti.

Infine, l'errore di fatto deve essere decisivo, nel senso che l'erronea affermazione dell'esistenza di un fatto la cui realtà, invece, debba ritenersi positivamente esclusa in base al tenore degli atti o documenti di causa può costituire motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell'art. 395, n. 4, Cod. proc. civ., solo se sussiste un rapporto di causalità necessaria fra l'erronea supposizione e la pronuncia in concreto resa dal giudice di merito, dovendosi invece escludere che tale mezzo di impugnazione possa essere utilizzato in relazione ad errori incidenti su fatti che, non decisivi in se stessi, devono essere valutati in un più ampio contesto probatorio, anche quando, nell'ambito appunto della globale valutazione degli elementi di prova, l'elemento pretermesso avrebbe potuto in concreto assumere un rilievo decisivo. (Cass. civ. Sez. lav. 28.8.1997, n. 8118).

Nella specie, facendo applicazione al caso di specie dei criteri ora enunciati, costantemente seguiti da questo Consiglio di Stato e recentemente ribaditi (Sez. IV: 18 febbraio 2010 n. 949; 27 giugno 2007, n. 3750; 26 aprile 2006, n. 2278; 28 febbraio 2005, n. 743), può agevolmente escludersi che la decisione di questa sezione 3 novembre 2008, n. 5475, integri la fattispecie dell'errore revocatorio in base all'art. 395, n. 4, c.p.c.

5.- In realtà, quel che, ad avviso del ricorrente, integrerebbe un errore di fatto, altro non è che il frutto dell'interpretazione dei documenti presenti agli atti di causa operata dal Collegio decidente, in particolare quanto alla mancata prova circa l'effettivo impedimento a presenziare alla seduta conclusiva della Commissione di disciplina, eccezionale o meno che potesse essere stata la relativa causa.

Il ricorrente, infatti, con diffuse argomentazioni, si limita a confutare le argomentazioni svolte dalla Sezione per respingere tale motivo di appello e, così facendo, finisce per richiedere un ulteriore grado di giudizio e non, come prevede lo strumento della revocazione, la correzione di una svista ovvero di un errore in cui sia incorso il giudice nella rappresentazione della realtà fattuale portata alla sua attenzione.

Ad ogni modo, per quanto possa occorrere, la contestata "eccezionalità" cui si è riferito il Presidente del Collegio disciplinare è sinonimo di "particolarmente grave", impedimento nella specie contraddetto dalla stessa dedotta "temporaneità" ed escluso dal sanitario pubblico chiamato ad eseguirne il riscontro, ragione per la quale il problema revocatorio ventilato non si pone proprio in radice.

6.- Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione in epigrafe, lo dichiara inammissibile.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite relative all'odierna fase, che si liquidano a favore dell'Amministrazione resistente nella misura complessiva di Euro 3.000,00 (eurotremila/00).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.