R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N.------/2008

Reg. Dec.

N. --- Reg. Ric.

Anno 2006

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale  (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso n.@@@@@@@/06, proposto da @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dagli avvocati -

CONTRO

Il Ministero della difesa, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso lo stesso domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

Balboni;

per la riforma

della sentenza n. 2829/06 del T.A.R. del Lazio, Sez. I bis;

Visto il ricorso;

     Visto l’atto di costituzione in giudizi del Ministero intimato;

Viste le memorie difensive delle parti;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 6 giugno 2008 il consigliere -

      Uditi l’avv. -

     Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

     1. La sentenza impugnata ha respinto il ricorso proposto dal sig. @@@@@@@ @@@@@@@, attuale appellante, per l’annullamento del provvedimento n. @@@@@@@/3-7/2000 del 26/7/2000 con cui il Ministero della difesa aveva inflitto la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione e, di conseguenza, disposto la cessazione dal servizio permanente.

            2. L’appellante propone censure di violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L.n. 241 del 1990; dell’art. 74 L.N. 599/54, di eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione.

          3. Il Ministero resiste al gravame e produce memoria difensiva.

            4. La causa, inserita nei ruoli d’udienza del 6 giugno 2008, è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

  1. L’appellante, ricorrente in I grado, maresciallo dei Carabinieri, veniva condannato per usura, tentata concussione continuata e tentata estorsione continuata, con sentenza resa ex art. 444 c.p.p. pronunciata dal Tribunale di Torino in data 16/1271996 e divenuta irrevocabile il 29/01/2000.
  2. Con il ricorso di I grado veniva impugnato il provvedimento con cui era stata disposta la rimozione dal grado per motivi disciplinari del sig. @@@@@@@ ex art. 60 L, n. 599/54 e, per l’effetto, disposta la cessazione dal servizio permanente ex art. 26 lett.g) della L.n. 599 cit. Venivano dedotte, al riguardo, censure di violazione dell’art. 3 L.n. 241 del 1990, di eccesso di potere per carenza di motivazione, di violazione dell’art. 60 L.n. 599/54 e di ulteriore eccesso di potere sotto molteplici profili.
  3. La sentenza impugnata ha respinto il ricorso proposto dall’interessato contro la cessazione dal servizio conseguente alla perdita del grado.
  4. L’appellante propone censure di violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L.n. 241 del 1990, dell’art. 74 della L. n. 599/54; di eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione. Sostiene il ricorrente che:

4.1. la sentenza di I grado non avrebbe motivatamente risposto alla censura di carenza di motivazione del parere della Commissione di disciplina e del provvedimento finale, che non darebbero conto in maniera espressa delle ragioni per le quali è stata inflitta la più grave delle sanzioni disciplinari (rimozione dal grado), affidandosi ad una mera clausola di stile;

    1. la sentenza sarebbe, altresì, errata per non aver rilevato la mancata puntuale disamina, da parte della Commissione, di tutti gli elementi rilevanti e di tutte le ragioni che, all’esito di quella disamina, hanno portato ad una specifica scelta, anche con riguardo al comportamento precedente e successivo del dipendente e al principio di proporzionalità della sanzione;
    2. la sentenza non avrebbe tenuto conto, ai fini della valutazione della legittimità della sanzione irrogata, della mancata ponderazione comparativa di tutti gli elementi emersi ex art. 74 L. n. 599/54;
    3. il giudizio della Commissione di disciplina costituirebbe una proposta di provvedimento, da cui il Ministro può discostarsi, con conseguente necessità che il parere della commissione sia assistito da congrua motivazione, il che nella fattispecie non sarebbe avvenuto, in particolare, non sarebbero state evidenziate la ragioni a sostegno della irrogazione della sanzione e quelle in senso contrario, né tale profilo sarebbe stato apprezzato dal primo giudice.;
    4. illegittimità derivata e conseguente del decreto ministeriale di irrogazione della sanzione, che avrebbe dovuto esprimersi sulla base delle ragioni e delle conclusioni cui era pervenuta la Commissione in ordine alla gravità dei fatti ascritti al sig. @@@@@@@.
  1. Le tesi dell’appellante non sono condivisibili.

Per quanto attiene all’assunto secondo cui i provvedimenti impugnati non renderebbero conto del puntuale accertamento della responsabilità e della gravità dei fatti ascritti al medesimo, va osservato che i fatti contestati in sede disciplinare al sig. @@@@@@@, la cui sussistenza è stata oggetto del procedimento penale conclusosi con la declaratoria della sua responsabilità mediante sentenza patteggiata, non sono stati oggetto di alcuna contestazione ai fini della loro valutazione in sede disciplinare; pertanto, le doglianze sollevate dall’interessato con il gravame in esame circa l’asserito cattivo esercizio del potere disciplinare si sostanziano, in realtà, in un mero giudizio critico di dissenso circa la valutazione dei fatti operata dall’Amministrazione ai fini della loro rilevanza disciplinare e della concreta determinazione della sanzione disciplinare da infliggere e circa la ritenuta mancata motivazione delle ragioni a sostegno della medesima.

Va, al riguardo, rilevato che le valutazioni circa la gravità e la rilevanza, ai fini disciplinari, dei fatti definitivamente accertati in sede penale, a carico dei dipendenti pubblici, sono espressione dell’ampia discrezionalità di cui è titolare la pubblica amministrazione per la miglior tutela dell’interesse pubblico alla legalità, all’imparzialità e al buon andamento degli uffici pubblici, secondo i principi sanciti dall’art. 97 Cost. – L’esercizio di tale discrezionalità, attenendo al merito dell’azione amministrativa, sfugge al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, salvo che non sia affetta ictu oculi dal vizio di eccesso di potere nelle particolari figure sintomatiche dell’illogicità, della contraddittorietà, dell’ingiustizia manifesta, dell’arbitrarietà ovvero dell’irragionevolezza o irrazionalità  (ex multis, C.d.S. IV Sez., n. 5401/03; n. 4673/02; n. 969/01; n. 43/01; n. 7018/00; n. 4844/00).

E’ ugualmente espressione dell’ampia discrezionalità dell’Amministrazione, con i conseguenti limiti già richiamati, la scelta della concreta determinazione della sanzione disciplinare da infliggere, con la precisazione che anche i buoni precedenti comportamentali del pubblico dipendente non sono di ostacolo ad una sanzione disciplinare radicale  (C.d S., Sez. IV. N. 5401/03; n. 1312/01; n. 1512/99; n. 1567/99; Sez. VI, n. 1289/99).

Ne discende l’impossibilità del giudice amministrativo di valutare autonomamente i fatti contestati in sede disciplinare, non potendo egli sostituirsi alla pubblica amministrazione  (C.d.S., IV Sez., n. 5401/03, C.G.A. n. 286/02), cui unicamente compete la tutela dell’interesse pubblico alla legalità, imparzialità e buon andamento dei propri uffici, pena la violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa di legittimità..

Ciò premesso, osserva la Sezione che, nel caso di specie, non solo i provvedimenti impugnati non risultano affetti dai vizi sollevati dall’appellante, ma neppure emerge che i primi giudici abbiano esaminato superficialmente le censure svolte in primo grado e non si siano accorti delle carenze motivazionali dei provvedimenti impugnati.

Invero, circa la ritenuta carenza della sentenza impugnata per quel che riguarda la insufficienza motivazionale del parere della Commissione e del conseguente provvedimento finale, si deve rilevare anzitutto che l’Amministrazione non ha operato alcuna connessione automatica tra la sentenza patteggiata e la sanzione disciplinare inflitta al ricorrente. L’Amministrazione, al contrario, ha autonomamente valutato i fatti emersi nel corso del procedimento penale, attraverso l’inchiesta preliminare e il successivo deferimento alla Commissione di disciplina e, sulla base di questi elementi, ritualmente acquisiti, ha adottato la determinazione  impugnata. Né la riconosciuta autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale significa che l’Amministrazione abbia l’obbligo di dover ripercorrere ex novo l’intera vicenda sul piano fattuale, ben potendo l’istruttoria riferirsi correttamente anche alle risultanze del procedimento penale, indipendentemente dall’esito costituito dalla sentenza di patteggiamento). In tal senso è il consolidato orientamento del Consiglio di Stato secondo il quale “ se è pur vero che l’organo disciplinare non deve recepire acriticamente i fatti contestati, presupposto di una sentenza penale di patteggiamento, ma deve procedere ad una autonoma valutazione della loro rilevanza, è altrettanto vero che a tale pronuncia può farsi riferimento per ritenere accertati quei fatti, emersi nel corso del procedimento, che o non siano contestati oppure, in base ad un ragionevole apprezzamento delle risultanze processuali, appaiono fondatamente ascrivibili al dipendente” (Cons. Stato, Sez. V., n. 6455/01; n. 6497/03).

Tali presupposti appaiono sussistenti, nella fattispecie esaminata, come risulta dagli atti di causa, né eventuali profili attinenti a comportamenti precedenti o successivi del dipendente (peraltro non evidenziati dalla parte) possono costituire ostacolo alla sanzione di maggior rigore (cfr., fra le altre, Cons. Stato, IV Sez., n. 5401/03 cit.) tenuto conto che la violazione del giuramento, cui fa riferimento l’art. 60 n.6) della L. n. 599/54 (che l’Amministrazione ha posto a base dell’impugnato provvedimento di perdita del grado per rimozione) concerne il complesso degli elementi connessi alla funzione svolta dal militare e ai connessi compiti istituzionali, che concorrono a determinare nell’ambito dell’ambiente di lavoro e all’esterno di esso l’affidamento complessivo dell’Amministrazione.

L’avere, perciò, quale maresciallo capo comandante di stazione dei Carabinieri, consegnato a commerciante in difficoltà economiche, il cui esercizio commerciale si trovava nella località dove prestava servizio, assegni bancari per l’importo di L. 40 milioni, facendosi consegnare o promettere da questi interessi usurari, nonché minacciandolo, con l’abuso della sua qualità di Comandante di stazione, di morte e di ritorsioni al fine di costringerlo a continuare a pagare i predetti interessi e a consegnargli somme di denaro a lui non dovute, come risulta dalla motivazione a sostegno della sanzione adottata, integra un gravissimo comportamento plurioffensivo che non solo ha già leso l’immagine dell’Amministrazione e l’interesse al buon andamento e all’imparzialità dei suoi uffici, ma è astrattamente idoneo a mettere in pericolo questi stessi interessi per il futuro, incidendo negativamente  sull’affidamento della correttezza dell’azione amministrativa e sul prestigio degli uffici militari. In sostanza, il comportamento tenuto dall’appellante costituisce un’ipotesi di assoluta violazione degli obblighi incombenti su un militare appartenente all’Arma dei carabinieri ed è, dunque idoneo a giustificare il grave provvedimento disciplinare adottato (C.d.S., n. 5401/03).

Per contro, il comportamento processuale del sig. @@@@@@@ in sede penale e in sede disciplinare non scalfisce la correttezza dell’operato dell’Amministrazione in relazione alla obiettiva gravità dei fatti, ritualmente ed autonomamente accertata in sede disciplinare, tanto più che le giustificazioni addotte, oltre a non aver avuto alcun rilievo in sede penale, non hanno alcuna attinenza con il rapporto di servizio e non appaiono quindi in tal senso rilevanti.

In conclusione, l’apprezzamento svolto dal primo giudice, che deve essere necessariamente svolto sul complesso degli elementi emersi nel corso del giudizio, sinteticamente esaminati, non è in alcun modo criticabile, tenuto conto che dagli atti di causa sono emerse con nettezza le ragioni che hanno indotto l’Amministrazione alla scelta comportamentale di cui si discute.

6. In conclusione, l’appello deve essere respinto. con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Le spese seguono la soccombenza secondo la liquidazione indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione IV - definitivamente pronunciando in ordine al ricorso in appello indicato in epigrafe, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

            Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese della presente fase di giudizio che liquida in Euro 3000,00, oltre agli accessori di legge.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 6 giugno 2008, con l’intervento dei signori:

Gaetano TROTTA         - Presidente

Luigi MARUOTTI   - Consigliere

Pier Luigi LODI    - Consigliere

Anna LEONI                - Consigliere, est.

Sergio DE FELICE   - Consigliere

      L’ESTENSORE    IL PRESIDENTE

Anna Leoni      Gaetano Trotta 
 

IL SEGRETARIO

Rosario Giorgio Carnabuci 
 
 

- - 

N.R.G. @@@@@@@/2006


 

RL