Cons. Stato Sez. VI, Sent., 30-07-2010, n. 5035
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo

Il Ministero dell'interno riferisce che con atto in data 5 settembre 1996 il Questore di ##################### ebbe a promuovere un'azione disciplinare a carico dell'odierno appellato (all'epoca dei fatti, agente di P.S.), assumendo che lo stesso avesse prestato attività privata in favore di un'agenzia privata di investigazioni.

Il successivo 19 settembre 1996 il funzionario istruttore ebbe a contestare gli addebiti ed il successivo 18 novembre 1996 ebbe ad integrare la contestazione già operata.

Risulta agli atti che con provvedimento in data 28 maggio 1997, il Capo della Polizia p.t. ebbe a sospendere il procedimento disciplinare già avviato, in attesa della definizione del procedimento penale medio tempore proposto a carico dell'odierno appellato per i reati di cui agli articoli 323 - abuso d'ufficio - e 319 - corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio - del codice penale.

Risulta, ancora, agli atti che con sentenza in data 29 ottobre 1997 (irrevocabile) il GUP presso il Tribunale di Chieti ebbe a dichiarare il non luogo a procedere a carico dell'odierno appellato per il reato di abuso d'ufficio.

A seguito di tale pronuncia, il Capo della Polizia dispose la riammissione del dipendente che era stato nel frattempo sospeso dal servizio (atto in data 18 febbraio 1998).

Con pronuncia in data 10 agosto 2002, il GUP presso il Tribunale di Chieti dichiarò il non luogo a procedere a carico dell'odierno appellato per il reato di cui all'art. 319, c.p.

Con successivo provvedimento in data 5 novembre 2002 il Capo della Polizia dispose: a) l'annullamento di tutti gli atti del procedimento svolti sino a quel momento (a partire dalla nomina del funzionario istruttore); b) la riattivazione del procedimento disciplinare sospeso sin dal maggio del 1997; c) la rinnovazione degli atti del procedimento a partire dalla nomina del funzionario istruttore.

Pertanto, con atto in data 15 novembre 2002, il Questore di #####################, richiamata la più recente determinazione del Capo della Polizia ebbe nuovamente a promuovere azione disciplinare a carico del sig. #####################.

Il successivo 23 novembre fu adottata la contestazione degli addebiti, mentre in data 16 dicembre 2002 ebbe luogo un'integrazione alla contestazione già mossa.

Con delibera in data 13 febbraio 2003 il competente Consiglio provinciale di disciplina propose di irrogare a carico dell'odierno appellato la sanzione della sospensione dal servizio.

Tuttavia, con provvedimento in data 28 marzo 2003 il Capo della Polizia, avendo rilevato alcuni errori ed omissioni nell'ambito delle contestazioni in sede disciplinare, dispose l'annullamento di tutti gli atti del procedimento disciplinare sino a quel momento posti in essere e dispose la contestuale rinnovazione degli atti della procedura.

Conseguentemente, con atto in data 14 aprile 2003 il Questore di ##################### ebbe a promuovere nuovamente l'azione disciplinare a carico del sig. #####################, procedendo alla nomina del funzionario istruttore.

Il successivo 22 aprile 2003 ebbe luogo la nuova contestazione disciplinare, cui fece seguito l'effettuazione di una nuova fase istruttoria.

Con deliberazione in data 14 ottobre 2003 il competente consiglio provinciale di disciplina propose l'irrogazione a carico dell'odierno appellato della sanzione della pena pecuniaria nella misura di 1/30 di una mensilità della stipendio.

Con il provvedimento in data 9 dicembre 2003, il Capo della Polizia, facendo espresso rinvio al deliberato del CDP (dalla cui proposta dichiarava di non volersi discostare) infliggeva al sig. ##################### la sanzione pecuniaria nella proposta misura di 1/30 di una mensilità (d.P.R. 737 del 1981, articolo 4, numeri 2 e 18).

La motivazione del provvedimento inflittivo della sanzione così recita: "(l'incolpato) dipendente della Polizia di Stato svolgeva, talvolta in uniforme, accertamenti in nome e per contro di un'Agenzia di investigazioni privata, ponendo in essere attività incompatibile con il proprio status di appartenente all'Amministrazione della P.S., mantenendo, fuori servizio, comportamento non conforme al decoro delle proprie funzioni".

Il provvedimento in questione veniva impugnato dal sig. ##################### innanzi al TAR dell'Abruzzo - Sezione Staccata di ##################### il quale, con la pronuncia oggetto del presente gravame, accoglieva il ricorso e disponeva l'annullamento degli atti del procedimento sanzionatorio.

In particolare, il Tribunale riteneva fondato ed assorbente il motivo di ricorso basato sul ritenuto superamento, fra i singoli atti del procedimento sanzionatorio, del termine di novanta giorni di cui all'articolo 120 del d.P.R. 3 del 1957 (ciò, in quanto fra la nota di contestazione degli addebiti nell'ambito della seconda iniziativa disciplinare avviata a carico del sig. ##################### - 16 dicembre 2002 - e l'adozione del provvedimento del Capo della Polizia con cui si disponeva l'annullamento degli atti in precedenza adottati e l'integrale rinnovazione della procedura - 28 marzo 2003 - era decorso un termine superiore a quello legale, pari a novanta giorni, in tal modo determinando l'estinzione del procedimento disciplinare).

La pronuncia in epigrafe veniva gravata in sede di appello dal Ministero dell'interno il quale ne lamentava l'erroneità e ne chiedeva l'integrale riforma articolando un unico, complesso, motivo di doglianza.

Si costituiva in giudizio il sig. ##################### il quale eccepiva l'infondatezza del richiamato motivo di gravame. L'appellato, inoltre (per l'ipotesi in cui questo giudice di appello ritenesse di accogliere l'unico motivo di appello articolato dalla difesa erariale) riproponeva gli ulteriori - quattro- argomenti già articolati nell'ambito del primo ricorso e ritenuti assorbiti dal T.A.R.

Con ordinanza n. 3007/05 (resa all'esito della Camera di consiglio del 24 giugno 2005) questo Consiglio respingeva l'istanza di sospensione cautelare della pronuncia in epigrafe proposta in via incidentale dall'Avvocatura dello Stato, ritenendo insussistente il requisito del periculum in mora.

All'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2010 l'Avvocatura dello Stato rassegnava le proprie conclusioni ed il ricorso veniva trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Ministero dell'interno avverso sentenza del T.A.R. dell'Abruzzo - Sezione staccata di ##################### con cui è stato accolto il ricorso proposto da un Agente di P.S. avverso il provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare della pena pecuniaria e, per l'effetto, è stata annullata la sanzione in questione per superamento del termine di 90 gg. fra i singoli atti del procedimento sanzionatorio (art. 120, d.P.R. 3 del 1957).

2. Con l'unico motivo di ricorso, il Ministero appellante osserva che la pronuncia in epigrafe sia meritevole di riforma per la parte in cui ha ritenuto l'avvenuto superamento del termine di novanta giorni fra i singoli atti del procedimento sanzionatorio conclusosi con l'irrogazione della pena pecuniaria impugnata nell'ambito del primo giudizio (e, segnatamente, fra la nota di contestazione degli addebiti nell'ambito della seconda iniziativa disciplinare avviata a carico del sig. ##################### - 16 dicembre 2002 - e il provvedimento del Capo della Polizia con cui si disponeva l'annullamento degli atti in precedenza adottati e l'integrale rinnovazione della procedura - 28 marzo 2003 -).

Nella tesi dell'appellante, laddove i primi giudici avessero correttamente valutato la concreta scansione temporale degli atti del procedimento sanzionatorio, essi avrebbero necessariamente dovuto concludere nel senso del mancato superamento del richiamato termine.

2.1. Il motivo è fondato.

2.1.1. Al riguardo il Collegio si limita ad osservare che l'esame della documentazione di causa palesa come il richiamato termine di novanta giorni fra i singoli atti della procedura non fosse stato in concreto superato.

Ed infatti, risulta agli atti che nel torno temporale compreso fra i due atti richiamati infra, sub 2 (la nota in data 16 dicembre 2002 e il Provvedimento del Capo della Polizia in data 28 marzo 2003) fosse stato adottato un terzo atto ex se idoneo ad interrompere il decorso del richiamato termine di novanta giorni (si tratta della delibera del Consiglio Provinciale di disciplina di ##################### in data 13 febbraio 2003, con cui era stato proposto di irrogare a carico dell'odierno appellato la sanzione della sospensione dal servizio per un mese).

In base a quanto esposto, risulta l'inesattezza della prospettazione su cui si è fondata la decisione oggetto di gravame, la quale deve pertanto essere riformata in quanto basata sul rilievo (unico e dirimente) del superamento del richiamato termine.

3. Una volta rilevata l'erroneità della pronuncia di prime cure per la parte in cui ha accolto uno dei (quattro) motivi di ricorso articolati in prime cure -ritenendolo assorbente ai fini del decidere - il Collegio deve farsi carico di esaminare puntualmente gli ulteriori motivi di doglianza non valutati dai primi giudici e puntualmente ribaditi dalla difesa dell'appellato con il controricorso in data 10 giugno 2005.

3.1. Con il primo di tali motivi (Violazione e falsa applicazione di ogni principio in materia dell'esercizio dell'azione disciplinare e nella sua consunzione - Inammissibilità di un nuovo giudizio disciplinare dopo la consunzione) il sig. ##################### sottolinea che il provvedimento del Capo della Polizia in data 5 novembre 2002 aveva stabilito: a) di annullare tutti gli atti del procedimento svolti sino a quel momento (a partire dalla nomina del funzionario istruttore); b) di riattivare il procedimento disciplinare sospeso sin dal maggio del 1997;c) di rinnovare gli atti del procedimento sin dalla nomina del funzionario istruttore.

L'appellato sottolinea - altresì - che l'Amministrazione appellante, invece di riattivare il primo procedimento disciplinare (come disposto dal Capo della Polizia), avesse al contrario deciso di promuovere un'azione disciplinare del tutto nuova (la seconda), in tal modo determinando la perenzione della prima procedura.

Questi essendo i fatti rilevanti ai fini del decidere, l'appellato osserva che "se la P.A. ha scelto di attivare per i medesimi fatti contestati un nuovo procedimento disciplinare (in data successiva al provvedimento di riattivazione ed annullamento del primo) ed ha determinato autonomamente di non dare seguito a detta procedura nei termini di legge, la riattivazione del primo procedimento è nulla, così come l'intero procedimento disciplinare, essendosi già consumato il diritto alla contestazione con l'attivazione di una seconda procedura poi perenta".

3.1.1. Il motivo in questione non può essere condiviso, in quanto:

- il provvedimento del Capo della Polizia in data 5 novembre 2002 esplicitava in modo univoco: a) per un verso, la volontà dell'Amministrazione di riattivare il procedimento sanzionatorio a seguito della definizione del giudizio penale; b) per altro verso, la volontà di procedere ad una nuova e diversa valutazione dei fatti contestati all'incolpato, in considerazione di quanto emerso all'esito del giudizio penale;

- conseguentemente, la decisione di operare in autotutela decisoria sugli atti del procedimento avviato nel 1996, lungi dal rappresentare l'esito di un comportamento illegittimo, costituisce piuttosto la logica conseguenza della volontà di coniugare - da un lato - l'intenzione di riattivare il procedimento sanzionatorio e - dall'altro - l'esigenza di adattare in concreto l'incolpazione a quanto emerso all'esito del giudizio penale;

- questa essendo l'esigenza posta a fondamento del richiamato provvedimento di autotutela, non appare in alcun modo illegittimo l'operato dell'Amministrazione, la quale ha riavviato il procedimento sanzionatorio previo ritiro di tutti gli atti della procedura ormai superati ex factis dagli esiti del giudizio penale, e riavviando il procedimento stesso dal primo atto conseguente alla rimodulata incolpazione (la contestazione degli addebiti);

- né può in alcun modo ritenersi che il ritiro in autotutela degli atti del procedimento precedentemente posti in essere palesasse in alcun modo la volontà di soprassedere dall'ulteriore coltivazione del procedimento sanzionatorio, emergendo in modo palese una volontà in senso opposto da parte dell'Amministrazione;

- si osserva, infine, che non emerge in alcun modo la pretesa nullità dell'atto con cui era stato riattivato il procedimento disciplinare (e della conseguente serie procedimentale), né può essere in alcun modo condivisa la tesi dell'appellato, secondo cui il "secondo giudizio disciplinare" (rectius: gli atti conseguenti alla decisione di riattivazione del procedimento) sarebbe ormai perento. Per quanto attiene all'erroneità dell'affermazione relativa alla perenzione del procedimento sanzionatorio avviato con la contestazione di addebiti in data 15 novembre 2002 (affermazione su cui risulta basata la pronuncia oggetto di gravame), ci si limita a rinviare a quanto già esposto infra, sub 2.1.

3.2. Con un secondo motivo ('Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto - Perenzione e prescrizione dell'azione disciplinare'), il sig. ##################### lamenta l'assoluta intempestività della nuova contestazione di addebiti in data 15 novembre 2002 in quanto (una volta annullati gli atti della precedente serie procedimentale e determinata una netta soluzione di continuità fra i due procedimenti sanzionatori) il nuovo atto di contestazione si paleserebbe come radicalmente intempestivo rispetto ai fatti contestati (risalenti a circa dieci anni prima).

3.2.1. Il motivo non può essere condiviso.

Al riguardo ci si limita ad osservare che la riattivazione del procedimento disciplinare a seguito della necessaria sospensione determinata dalla pendenza del giudizio penale costituisce il corollario di un subsistema normativo evidentemente ispirato ad un accentuato favor per l'incolpato.

Nell'ambito di un tale subsistema, tuttavia, è del tutto fisiologico che la riattivazione o prosecuzione del procedimento disciplinare a seguito della definizione del giudizio penale intervenga ad alcuni anni dai fatti all'origine della contestazione, né può in alcun modo farsi carico all'Amministrazione procedente della durata del giudizio penale ai fini della valutazione di tempestività dell'atto di riattivazione o prosecuzione.

Né a conclusioni diverse può giungersi in relazione alle ipotesi (quale quella all'origine dei fatti di causa) in cui la definizione del giudizio penale (e la conseguente, definitiva configurazione dei fatti oggetto di contestazione) abbia indotto l'Amministrazione procedente in sede disciplinare a rimodulare l'incolpazione, se del caso procedendo a riattivare l'intero procedimento reiterando lo stesso atto iniziale di contestazione degli addebiti.

Anche in tale ipotesi, infatti, la tempestività della riattivazione del procedimento non deve essere riguardata (per così dire "in modo statico') in relazione al tempo del fatto storico all'origine della contestazione, quanto piuttosto (e per così dire, "in senso dinamico') in relazione al momento della pronuncia resa in sede penale, la quale abbia fissato in modo stabile i contorni della vicenda fattuale cui il giudizio dell'Amministrazione dovrà attenersi, ai sensi dell'art. 653, c.p.p.

4. Con un ulteriore argomento ('Violazione e falsa applicazione dell'art. 13 del d.P.R. 737/1981 e carenza di motivazione del provvedimento impugnato'), il sig. ##################### lamenta che l'Amministrazione procedente, nel determinare l'entità della sanzione da irrogare, non abbia in alcun modo tenuto conto il complesso di circostanze menzionate dall'art. 13 del d.P.R. 737, cit. (si tratta delle circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell'età, della qualifica e dell'anzianità di servizio) e che, comunque, non abbia di tanto dato contezza alcuna nell'ambito della parte motivo del provvedimento irrogativo della sanzione.

4.1. Il motivo non può trovare accoglimento.

Al riguardo il Collegio osserva che il provvedimento sanzionatorio in data 9 dicembre 2003 abbia operato espresso ed integrale rinvio, per ciò che attiene ai presupposti e alla misura della sanzione da irrogare, alla delibera del Consiglio provinciale di disciplina in data 14 ottobre 2003 e che nel corso della richiamata seduta del Consiglio furono esaminati in modo approfondito i presupposti per l'irrogazione della sanzione.

Ed infatti, contrariamente a quanto lamentato dall'appellato, risulta agli atti che il C.P.D. provvide, nel corso della richiamata seduta:

- ad operare una ricostruzione dei fatti addebitati all'appellato (per come emersi in modo "incontestabile in punto di fatto" all'esito del giudizio penale);

- a valutare l'illiceità disciplinare delle violazioni contestate;

- a confermare l'ascrivibilità delle stesse all'incolpato;

- a commisurare il tipo e l'entità della sanzione proposta alla tipologia di illecito in concreto riscontrata;

- ad esaminare i precedenti disciplinari ei di servizio dell'incolpato;

- ad operare una adeguata valutazione delle giustificazioni presentate.

In definitiva, l'esame degli atti di causa palesa come infondata la censura dinanzi richiamata sub 4.

5. Con un quarto argomento ('Violazione e falsa applicazione degli artt. 653 e 648 c.p.p.'), la Difesa del sig. ##################### lamenta che in sede di irrogazione della sanzione non si sia tenuta in adeguata considerazione la previsione di cui all'art. 653 c.p.p., secondo cui la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale, ovvero che l'imputato non lo ha commesso.

5.1. Il motivo non può trovare accoglimento.

In particolare, il Collegio osserva che dall'esame della sentenza penale di proscioglimento adottata dal G.U.P. presso il Tribunale di Chieti in data 10 agosto 2002 non emerge affatto che il giudice penale abbia escluso la sussistenza dei fatti storici all'origine dell'incolpazione in sede disciplinare (circostanza, questa, che consentirebbe l'applicazione della richiamata previsione di cui al comma 1 dell'art. 653, c.p.p., cit.).

Al contrario, dall'esame della pronuncia in questione emerge che il G.U.P. abbia dato per acquisita all'esito degli atti preliminari la prova in ordine al comportamento infedele dell'odierno appellante, il quale avrebbe in più riprese e secondo diverse modalità svolto attività per conto di un'agenzia di investigazioni privata, in tal modo ponendo in essere una condotta nei fatti infedele nei confronti dell'Amministrazione di appartenenza (nell'ambito della richiamata pronuncia è infatti dato leggere che, alla luce delle risultanze in atti "(la) violazione dell'obbligo di fedeltà (risulta) incontestabile in punto di fatto" e che il sig. ##################### e gli altri imputati "svolgendo attività investigative o di vigilanza (...) certamente (...) violarono il dovere di fedeltà imposto dal regolamento").

Il giudice penale, tuttavia, osserva che lo svolgimento (pur incontestato in punto di fatto) delle richiamate attività investigative non consentisse di affermare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato (corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio, art. 319, c.p.), atteso che la violazione dell'obbligo di fedeltà non risulta assistito in quanto tale da sanzioni di carattere penale, ma - semmai - soltanto da conseguenze di tipo disciplinare.

Sotto tale aspetto il Collegio ritiene che debba trovare nel caso di specie puntuale conferma il condiviso orientamento giurisprudenziale secondo cui l'art. 653 c.p.p., nella parte in cui conferisce alla sentenza penale efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare, preclude l'esercizio dell'azione disciplinare solo qualora l'assoluzione sia stata pronunciata perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, e non quando dalla sentenza penale di assoluzione discenda soltanto che il fatto non costituisce reato, atteso che in questo caso l'Amministrazione conserva il suo potere disciplinare in quanto l'illiceità penale e quella disciplinare operano su piani differenti, ben potendo un determinato comportamento del dipendente rilevare sotto il profilo disciplinare, anche se lo stesso non è punito dalla legge penale (sul punto: Cons. Stato, Sez. IV, sent. 7 luglio 2009, n. 4359).

Né può essere condivisa la tesi della parte appellata, secondo cui il carattere di mero obiter dictum della parte della pronuncia penale in cui si affermava l'esistenza dei fatti storici contestati al sig. ##################### non potrebbe in alcun modo comportare una utilizzazione in sede disciplinare, non essendosi sul punto formato il giudicato penale.

Al riguardo il Collegio osserva che, se per un verso la previsione di cui all'art. 653 c.p.p. vincola l'Amministrazione procedente in sede disciplinare nella valutazione di talune circostanze laddove sulle stesse si sia formato il giudicato in sede penale, da tanto non può farsi certamente conseguire - per altro verso - la radicale inutilizzabilità in sede disciplinare delle acquisizioni fornite nell'ambito del procedimento penale, laddove sulle stesse non si sia formata l'autorità della cosa giudicata.

Al contrario, laddove la sussistenza di alcuni fatti storici sia comunque emersa (come nel caso di specie) all'esito del giudizio penale, l'Amministrazione ben potrà utilizzare e valutare (a condizione di fare un uso non irragionevole né abnorme delle proprie prerogative in materia sanzionatoria) le acquisizioni in parola al fine di supportare - all'esito di un'autonoma fase valutativa - l'esercizio della diversa azione disciplinare.

In definitiva, deve nel caso di specie farsi applicazione del condiviso orientamento secondo cui in sede disciplinare l'Amministrazione può legittimamente tener conto delle risultanze emerse nelle varie fasi del pregresso procedimento penale, sì da evitare ulteriori accertamenti istruttori alle luce del principio di economicità del procedimento, ma a condizione che di tali risultanze sia autonomamente valutata la rilevanza in chiave disciplinare (Cons. Stato, Sez. IV, sent. 10 agosto 2007, n. 4392).

Riconducendo i principi appena richiamati alle peculiarità del caso di specie, il Collegio osserva che nessun profilo di abnormità o palese irragionevolezza abbia nella specie inficiato l'attività dell'Amministrazione appellante la quale, avendo acquisito dagli atti del procedimento penale ed all'esito della propria autonoma attività accertativa e valutativa elementi idonei a ritenere sussistenti in punto di fatto le circostanze contestate al dipendente, ne ha fatto conseguire (all'esito di un iter logicoprocedurale non abnorme in ordine ai presupposti, né in ordine alle modalità valutative) le conseguenti determinazioni ai fini dell'esercizio del potere disciplinare.

6. Per le considerazioni che precedono, l'appello in epigrafe deve essere accolto e per l'effetto, in riforma della pronuncia oggetto di gravame, deve essere disposta la reiezione del ricorso proposto innanzi al T.A.R. dal sig. ##################### e recante il n. 4744/05.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l'integrale compensazione delle spese di lite fra le parti. per entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della pronuncia oggetto di gravame, dispone la reiezione del ricorso proposto in primo grado dall'odierno appellato.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.