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N. 02175/2009 begin_of_the_skype_highlighting              02175/2009      end_of_the_skype_highlighting REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 2175 del 2009, proposto da #################### ####################, rappresentato e difeso dagli avvocati Emanuela Mazzola e Pierluigi Stefanelli, con domicilio eletto presso Emanuela Mazzola in Roma, via G. P. Da Palestrina, 63;
 

contro

Ministero dell'interno-Dipartimento della Pubblica Sicurezza, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
 

per la riforma

della sentenza del TAR LAZIO - ROMA: Sezione I TER n. 00501/2008, resa tra le parti, concernente DESTITUZIONE DAL SERVIZIO DELL’AMMINISTRAZIONE DELLA PUBBLICA SICUREZZA.

 


 

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2010 il consigliere di Stato Maurizio Meschino e uditi per le parti gli avvocati Maria Cristina Manni per delega dell'avvocato Stefanelli e l'avvocato dello Stato Biagini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


 

FATTO

1. Il signor #################### ####################, con ricorso n. 1519 del 2007 proposto al TAR per il Lazio, ha chiesto l’annullamento: del decreto del Capo della Polizia del 21.12.2006, notificato il 27.12.2006, a mezzo del quale il ricorrente, agente scelto della P.S., è stato destituito dall’Amministrazione di P.S. a decorrere dal 27.12.2006; ove occorra, della deliberazione del Consiglio provinciale di disciplina di Milano, adottata in data 7.10.2006, a mezzo della quale è stata proposta la detta sanzione; di tutti gli atti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque connessi al procedimento.

Nella motivazione del suddetto decreto del Capo della Polizia si richiama, in sintesi, che il ricorrente, rientrato dal servizio decorsi sei mesi di sospensione per aver frequentato persone non confacenti al proprio stato per acquistare sostanza stupefacente, è risultato positivo all’uso non terapeutico di cocaina per un valore più elevato rispetto a quello riscontrato l’11.10.2005, con conseguente giudizio di estrema gravità di tale comportamento, in quanto inconciliabile con le funzioni di un operatore di polizia e compromissione del rapporto fiduciario, con ciò riscontrandosi, infine, le fattispecie di cui all’art. 7, nn. 1, 2 e 6 del d.P.R. n. 737 del 1981.

2. Il TAR, con sentenza n. 501 del 2008, ha respinto il ricorso compensando tra le parti le spese del giudizio.

3. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento della sentenza di primo grado, con istanza cautelare di sospensione dell’esecuzione.

All’udienza del 3 aprile 2009 l’esame dell’istanza cautelare è stato abbinato alla trattazione della causa nel merito.

DIRITTO

1. Nella sentenza di primo grado, riguardo alle censure dedotte, si afferma:

-posto che in relazione alla qualifica del ricorrente si applica la normativa di cui al d.P.R. n. 737 del 1981 (“Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti”), non essendo perciò consentito invocare disposizioni recate da contrattazioni collettive, e che termini complessivi di durata del procedimento disciplinare si pongono quando il caso tragga origine da fatti penalmente rilevanti (o rilevati), ciò che non è nella specie, ne risulta osservato nel caso in esame il termine di cui all’art. 120 del d.P.R. n. 3 del 1957;

-il termine stabilito per l’attività del funzionario istruttore non è perentorio e, inoltre, la richiesta di questi di usufruire della prevista proroga di quindici giorni dimostra l’accuratezza e la mancanza dell’asserita frettolosità dell’istruttoria;

-non incide sul merito dell’attività procedimentale il rilievo per cui l’Ufficio sanitario della Questura di Milano, avendo valutato il ricorrente in uno stato di tossicodipendenza, avrebbe dovuto inviarlo all’ospedale militare per accertamenti;

-non è fondata la censura di carenza di istruttoria, asserita per avere l’Ufficio sanitario della Questura redatto il proprio parere nello stesso giorno della richiesta e, in particolare, per la mancanza della specifica specializzazione del dirigente medico dell’Ufficio, nonché per la non correttezza delle procedure di accertamento seguite, smentite da altri accertamenti; e ciò poiché, si afferma nella sentenza, le analisi mediche sui campioni di capello del ricorrente sono state eseguite presso l’Istituto di medicina legale e delle assicurazioni, centro di certo competente, essendo comunque stata adombrata ma non provata la asserita incompetenza tecnica del dirigente dell’Ufficio sanitario

-risulta provata l’assunzione di droga da parte del ricorrente nel tempo trascorso tra i due accertamenti eseguiti, dapprima l’11.10.2005 e quindi il 26.5.2006, decorsi sei mesi dalla sua sospensione dal servizio, né incidono in contrario i riscontri collaterali dedotti, essendo dirimente l’analisi medica con tecnica GCSM;

-dalla documentazione in atti emerge che l’Amministrazione ha ponderato adeguatamente l’esito degli accertamenti e delle deduzioni difensive di parte, non essendo inoltre stato considerato rilevante, ai fini della decisione, l’indicazione del funzionario istruttore sull’ipotesi dell’assunzione di stupefacenti per precedenti contatti del ricorrente con esponenti della malavita;

-per cui, in conclusione, si giudica il provvedimento finale di destituzione motivato e non sproporzionato rispetto agli addebiti contestati e agli accertamenti eseguiti.

2. Nell’appello, richiamato che la deliberazione del Consiglio provinciale di disciplina (27.10.2006), con cui è stata proposta la destituzione del ricorrente, è basata esclusivamente sull’accertamento eseguito il 26.5.2006, e che sussistono ulteriori accertamenti sanitari, emersi dopo l’adunanza del Consiglio di disciplina, negativi rispetto all’assunzione della sostanza stupefacente, si deduce l’erroneità della sentenza di primo grado, in quanto:

-il termine stabilito per la conclusione dell’istruttoria dall’art. 19 del d.P.R. n. 737 del 1981 deve ritenersi perentorio, come provato dalla previsione della possibilità di una sola proroga per soli quindici giorni, rilasciata peraltro nella specie senza motivazione non avendo il funzionario istruttore svolto alcuna indagine né acquisito atti;

-è palese la carenza del parere, determinante ai fini del procedimento disciplinare, reso il 12 luglio 2006 dal dirigente medico dell’Ufficio sanitario della Questura sull’esame tossicologico dei capelli del 26.5.2006 eseguito dall’Istituto di medicina legale e delle assicurazioni della Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Milano, con esito ‘cocaina positivo’ 27,85 ng/mg (9,59 ng/mg nell’esame dell’11.10.2005 eseguito dallo stesso Istituto); il detto parere infatti è stato reso da un medico non specializzato in tossicologia e vi si conclude per la sussistenza di uso abituale non terapeutico dello stupefacente, senza aver visitato l’interessato e riscontrato il tipo di uso eventualmente fatto ed avendo affermato l’affidabilità tecnica dell’esame tricologico, svolto invece in difformità dal protocollo in materia, come dimostrato dall’esame tossicologico svolto con esito negativo sul capello del ricorrente, il 30 ottobre 2006, presso L’Università degli studi di Roma “Tor Vergata”, e, in particolare, in quanto eseguito non sui due centimetri prossimali, come nel primo esame, ma sull’esame in toto del capello, con il rischio che le tracce reperite risalgano a mesi prima;

-la carenza di istruttoria è confermata dal risultato dei numerosi esami sanitari cui si è sottoposto il ricorrente, peraltro donatore di sangue, subito dopo il maggio 2006 che, già dall’agosto successivo danno esito negativo sull’assunzione di droghe, né hanno mostrato i sintomi delle tipiche patologie collaterali, come provato altresì dal giudizio di idoneità al servizio reso dalla CMO il 1°.12.2006;

-sussiste inoltre vizio di travisamento dei fatti avendo il Consiglio di disciplina affermato che il ricorrente non ha prodotto alcun esame a prova dell’asserita erroneità dell’esame del 26.5.06, con ciò trascurando elementi pure riscontrabili; il ricorrente è stato infatti sottoposto a tre esami tricologici l’1.10.2005, il 26.5.2006 e l’11.10.2006 presso il citato Istituto di medicina legale, essendo la medesima responsabile delle analisi presente al primo e al terzo ma non al secondo e risultando il secondo esame firmato dalla detta responsabile, con firma che appare difforme da quella apposta sotto il suo nome negli altri due referti, come denunciato in sede penale, risultando di conseguenza evidente la carenza dell’istruttoria svolta nelle diverse fasi;

-tale carenza emerge anche dall’elenco degli atti allegati alla relazione del funzionario istruttore che, in sostanza, recano quale unico supporto istruttorio il sopra citato parere del dirigente medico dell’Ufficio sanitario della Questura;

-la sanzione della destituzione, al contrario di quanto affermato nella sentenza impugnata, non è stata irrogata per l’assunzione di sostanza stupefacente ma perché il ricorrente è stato ritenuto assuntore abituale di cocaina e perciò stesso assiduo frequentatore di malavitosi e, inoltre, pericoloso stante la dotazione di armi: elementi tutti non prospettati nella contestazione e nell’istruttoria e la cui assenza avrebbe dovuto portare ad una minore sanzione, secondo il principio di graduazione di cui all’art. 1 del d.P.R. n. 737 del 1981, che è stato perciò violato, così come non é stato osservato l’art. 13 del medesimo d.P.R.;

-la motivazione della sentenza impugnata è, infine, carente non essendovi esaminate le censure di cui al punto precedente.

3. Si esaminano partitamente le censure.

Non è da accogliere, anzitutto, la censura relativa all’asserita natura perentoria del termine per la conclusione della fase disciplinata dall’art. 19 del d.P.R. n. 737 del 1981; tale termine è stato infatti qualificato come ordinatorio dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio, n. 10 del 2006, in cui si afferma che “hanno carattere ordinatorio i termini fissati per la nomina del funzionario istruttore, per il compimento degli incombenti preliminari e per la trasmissione della delibera della Commissione di Disciplina. In particolare ha carattere ordinatorio, e non perentorio come erroneamente sostenuto dall’appellato, il termine di 45 giorni per la conclusione dell’inchiesta disciplinare”, secondo un indirizzo della giurisprudenza assolutamente prevalente, da cui non vi è motivo di discostarsi per il caso in esame, per il quale “i termini previsti dalle disposizioni infraprocedimentali in materia disciplinare…non hanno carattere perentorio, bensì ordinatorio, ove non sia prevista alcuna decadenza per la loro inosservanza, né sia stabilita l'inefficacia degli atti compiuti dopo la loro scadenza, essendo garanzia sufficiente per l'incolpato quella del termine perentorio fissato per l'intero provvedimento disciplinare (Cons. Stato, sez. IV, 15 novembre 2004, n. 7459). Ne deriva, in ossequio a detto indirizzo interpretativo che …i termini previsti dagli artt. 19, 20 e 21 del d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 che cadenzano il procedimento disciplinare del personale della Polizia di Stato, non hanno natura perentoria e la loro inosservanza non ha effetti invalidanti sulla sanzione assunta” (Cons. Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2008, n. 80).

4. Quanto ai diversi motivi in cui si articola la censura di carenza di istruttoria, si osserva quanto segue.

4.1. Rispetto all’esito dell’esame tossicologico del capello del 26.5.2006 non può essere condiviso il motivo della inattendibilità dell’esame sotto il profilo tecnico, che può essere accolto dal giudice soltanto in caso di palese illogicità, né quello relativo al travisamento dei fatti originato dalla sospettata difformità della firma del medico responsabile delle analisi.

Per il primo aspetto si deve rilevare che nella memoria presentata dal difensore del ricorrente al Consiglio provinciale di disciplina non si prova con certezza che il metodo seguito sia scorretto, ovvero difforme da quello ritenuto corretto; l’unico preciso elemento offerto al riguardo è il rilievo della mancanza, diversamente da quanto avvenuto nel primo esame (dell’11.10.2005), del dato sulla lunghezza del capello in cm. del segmento analizzato e intera lunghezza dei capelli tagliati, in quanto indicato “Lunghezza campione cm. 3,5 esaminati in toto”, non dimostrandosi però che, di per sé, la coincidenza tra lunghezza totale e campione comporti errore, essendo stata evidentemente esaminata anche la parte prossimale del capello (nella stessa memoria si precisa che l’analisi del capello è stata comprensiva del bulbo). E’ perciò condivisibile la valutazione della sentenza di primo grado per la quale non è motivato perché, ad esito dell’esame, svolto da un Istituto di indiscussa competenza tramite GCSM, di un campione lievemente più lungo esaminato in toto, e perciò anche nella parte prossimale, sia da ritenere tecnicamente inattendibile il risultato di un valore maggiore di quello del precedente esame.

Né il vizio di inattendibilità dell’esame in questione risulta provato dal richiamo ai referti di accertamenti medico-sanitari di altro tipo svolti nel frattempo, dovendosi considerare, da un lato, la specialità di quello tricologico ai fini del riscontro di cui qui si tratta e, dall’altro, che è la procedura di questo esame, in quanto tale, oggetto della contestazione da parte dell’incolpato nell’audizione davanti al Consiglio di disciplina, con l’indicazione, contestualmente, di non disporre di controperizia specifica, in una con l’affermazione della non provata ipotesi che un valore tre volte maggiore di quello di mesi prima costituisca un residuo di quella precedente analisi.

Così come non risulta probante l’asserita incompetenza specialistica del dirigente dell’Ufficio sanitario della Questura essendo il dato rilevante, in ogni caso, quello del risultato obbiettivo di un esame specifico eseguito, come il precedente, dall’Istituto universitario specializzato.

Per il secondo aspetto si osserva che quanto prospettato riguardo ad un’ipotizzata difformità di firme nei referti, non costituisce precisazione o sviluppo del motivo di travisamento dei fatti dedotto in prime cure, come invece si indica nell’appello (in cui si rinvia alla pag. 41 del ricorso al TAR), poiché nel ricorso in primo grado nulla è dedotto su tale circostanza a sostegno del vizio asserito. La deduzione, peraltro neppure avanzata nel corso del procedimento disciplinare, non è perciò ammissibile, fermo ogni giudizio che possa definirsi in sede penale.

4.2. Neppure possono essere accolte le ulteriori censure, in quanto: a) l’esposizione al contatto con malavitosi per chi faccia uso di sostanza stupefacente, è, dovendosene approvvigionare, un dato obbiettivo, peraltro non contestato dal ricorrente riguardo all’episodio pregresso alla base della prima sanzione irrogata, e non può perciò essere ignorato nel momento in cui si accerti il detto uso da parte degli organi competenti al procedimento disciplinare, così come non può essere sottaciuta, in tale quadro, l’estrema gravità di siffatti comportamenti da parte di chi ha invece il dovere di prevenirli e reprimerli nell’esercizio delle funzioni di tutela della pubblica sicurezza, essendo a tali fini anche dotato di armi; b) non è perciò in alcun modo illegittimo che tali dati di contesto siano stati richiamati al doveroso fine della oggettiva e completa descrizione della vicenda di cui si tratta; c) rispetto a quanto si è ritenuto accertato risulta del tutto proporzionata la sanzione irrogata dal Consiglio, riscontrandosi di certo nella specie “mancanza del senso dell'onore o del senso morale …atti in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento e reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari” (d.P.R. n. 737 del 1981, art. 7, nn. 1, 2 e 6); c) risultano adempiute, infine, le prescrizioni procedimentali di cui all’art. 13 del d.P.R. citato.

5. Per quanto considerato le proposte censure sono infondate e l’appello è perciò da respingere.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2010 con l'intervento dei Signori:

 

 

#################### Barbagallo, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

Il Segretario


 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 13/04/2010

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Dirigente della Sezione