R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N.4630/2008

Reg. Dec.

N. 4369 Reg. Ric.

Anno 2008

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE IN FORMA SEMPLIFICATA

ex art. 9 legge 21 luglio 2000 n. 205

    sul ricorso in appello iscritto al NRG 4369 dell’anno 2008 proposto dal MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE e dal COMANDO GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA, ognuno in persona dei propri rispettivi legali rappresentanti in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano ope legis in Roma, via dei Portoghesi, 18;

contro

    il sig. @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dall’avvocato -

per l’annullamento, previa sospensiva,

    della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sez. II, n. 532 dell’8 marzo 2008;

          Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

          Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor @@@@@@@ @@@@@@@, che ha spiegato anche appello incidentale;

          Visti tutti gli atti di causa;

     Relatore all’udienza in camera di consiglio del 15 luglio 2008 il consigliere -

          Letto l’articolo 9 della legge 21 luglio 2000 n. 205 e ritenuto di poter decidere la causa in forma semplificata, stante l’integrità del contraddittorio e la completezza dell’istruttoria;

    Nessuno è comparso per le parti;

    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

F A T T O

     1. Il maresciallo della Guardia di Finanza @@@@@@@ @@@@@@@ chiesto al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia l’annullamento della determinazione del Comandante Generale della Guardia di Finanza in data 15 agosto 2003, con cui gli è stata irrogata la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, oltre ad ogni altro presupposto, ivi compresi i verbali della Commissione di disciplina con la relativa relazione finale e la relazione conclusiva dell’Ufficiale inquirente

     2. L’adito tribunale, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile (quanto all’impugnazione degli atti endoprocedimentali e presupposti privi di immediata lesività e quanto alla domanda risarcitoria del tutto sfornita di elementi probatori) e per il resto lo ha accolto, annullando l’impugnato provvedimento disciplinare: in particolare, respinta la censura di incompetenza dell’organo emanante, sono state ritenute meritevoli di accoglimento le doglianze prospettate con il secondo motivo, punti b)e c) (“Violazione e falsa applicazione degli artt. 64, 65, 67, 72 e 74 del D.P.R. 599/1954 con rif. Agli artt. 105, 111 del T.U. 3/1957 e dell’art. 3 della L. 241/1990 in quanto:…(2.b) …gli era stata negata l’ostensione della relazione dell’Ufficiale inquirente in spregio a quanto stabilito dall’art. 111 del T.U. 3/1957; (2.c.) per la mancata tempestiva nomina del difensore di ufficio a cui peraltro è stato concesso un termine di appena tre giorni lavorativi precedenti alla prima seduta della commissione (dal 27 maggio al 4 giugno) anziché di 20 giorni come previsto dal comb. disp. degli artt. 73 D.P.R. 599/1954 e 11 u. co. Del T.U. n. 3/1957” e con l’ottavo motivo, formulato con motivi aggiunti (“violazione e falsa applicazione dell’art. 74, 10° comma, della L. 31 luglio 1954 n. 599. Eccesso di potere: interversione procedimentale con effetto sulla indipendenza ed imparzialità del giudizio”), con assorbimento di tutte le altre censure.

     3. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ed il Comando Generale della Guardia di Finanza hanno chiesto la riforma della prefata statuizione, deducendone l’assoluta erroneità e rivedicando la legittimità del provvedimento impugnato alla stregua di tre motivi di gravame, con cui hanno innanzitutto negato che si fosse verificata una inammissibile compressione del diritto alla difesa, hanno negato altresì la presunta violazione del principio della segretezza del voto in sede di giudizio sulla meritevolezza dell’incolpato a conservare il grado ed infine hanno sostenuto che non poteva rinvenirsi alcun profilo di illegittimità della procedura per la mancata ostensione del rapporto dell’Ufficiale inquirente al ricorrente, trattandosi di una atto interno da qualificarsi come proposta necessaria e non vincolante (senza contare che la mancata ostensione era finalizzata ad evitare che la commissione potesse essere influenzata nelle proprie determinazioni).

     4. Il maresciallo aiutante @@@@@@@ @@@@@@@ ha resistito al gravame e ne ha chiesto il rigetto, riproponendo con ricorso incidentale tutte le censure svolte in primo grado, sia quelle respinte che quelle assorbite.

D I R I T T O

     1. In linea preliminare deve rilevarsi che la mancata presenza dei difensori delle parti alla udienza in camera di consiglio non può impedire di addivenire ex officio alla decisione nel merito in forma semplificata, atteso che non costituisce condizione per l’applicazione della disposizione acceleratoria di cui all’articolo 26, comma 4, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dalla legge 21 luglio 2000, n. 205, l’acquisizione del consenso delle parti, le quali in realtà devono essere solo informate, se presenti, dell’intenzione del giudice di decidere la causa con sentenza in forma semplificata.

     2. Nel merito l’appello principale delle intestate amministrazioni è infondato e deve essere respinto, alla stregua delle seguenti osservazioni.

     2.1. Deve condividersi la critica impugnata articolata con il primo motivo di gravame, con il quale è stato eccepito che nel caso di specie non sussisteva alcuna compressione del diritto di difesa per il fatto che al difensore del sottufficiale non era stato assicurato il termine di venti giorni tra la comunicazione della data della seduta della commissione di disciplina e la effettiva riunione di quest’ultima.

     Invero, l’articolo 72 della legge 31 luglio 1954, n. 599, stabilisce al terzo comma che la comunicazione dell’avvenuta convocazione della Commissione di disciplina è data solo al sottufficiale deferito, il quale, secondo quanto previsto dal successivo articolo 73, ha facoltà di farsi assistere da un ufficiale difensore, da lui scelto o designato dal presidente della Commissione.

     Dall’esegesi di tali disposizioni emerge che la assistenza “tecnica” costituisce una mera eventualità, non essendo prevista come un obbligo e quindi quale condizione di legittimità della fase decisionale del procedimento disciplinare: ciò, da una parte giustifica la previsione che l’avviso della convocazione della commissione sia data solo al sottufficiale e, d’altra parte, esclude che anche per il difensore del sottufficiale (la cui nomina è prevista come eventuale e comunque successiva alla stessa convocazione della commissione della disciplina) possa essere determinante il rispetto del termine di venti giorni (indicato dai primi giudici, richiamando la previsione dell’articolo 111 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, e la decisione della Corte Costituzionale 11 marzo 1991, n. 104); ciò senza contare che, nel caso di specie, la asserita violazione del predetto termine di venti giorni non sussiste neppure in punto di fatto, atteso che l’interessato non ha esercitato la facoltà di nomina del difensore di fiducia e, con memoria del 31 maggio 2003 (come emerge dalla nota in data 4 giugno 2003 prot. 43714/104 del Presidente della Commissione di disciplina), ha chiesto la concessione di un rinvio di 90 giorni per predisporre la propria difensiva ed in caso di diniego ha chiesto la revoca della nomina del difensore d’ufficio nominato dal Presidente della Commissione di disciplina, cosa effettivamente avvenuta, giusta verbale in data 4 giugno 2003 della Commissione di disciplina.

     2.2. E’ da respingere invece il secondo motivo di gravame, con cui le amministrazioni hanno sostenuto che, diversamente da quanto rilevato dai primi giudici, non vi sarebbe stata la violazione del principio della segretezza del voto in sede di giudizio sulla meritevolezza dell’incolpato a conservare il grado, atteso che la disposizione contenuta nel decimo comma dell’articolo 74 della legge 31 luglio 1954, n. 599, concernerebbe solo l’obbligo dei componenti della Commissione di mantenere il segreto sul contenuto del voto espresso.

     Al riguardo, precisato in punto di fatto che effettivamente la deliberazione della Commissione di disciplina è avvenuta in forma orale e palese, come si dà atto nel verbale della seduta del 18 luglio 2003, è sufficiente richiamare lo specifico precedente della Sezione (31 gennaio 2006, n. 339), da cui non vi è motivo di discostarsi, essendo state ivi affrontate tutte le argomentazioni svolte dalle amministrazioni appellanti.

     Invero, in detta decisione è stato evidenziato che:

     a) sebbene “Per quanto riguarda le analoghe prescrizioni contenute nello Statuto degli impiegati civili, fin da tempo risalente la giurisprudenza ritiene trattarsi di un’esigenza di segretezza “esterna”, da reputarsi salvaguardata purchè dei voti dei singoli membri non sia fatta menzione nel verbale (ad es. IV Sez. 7.2.1967 n. 93; cfr. anche fra le recenti IV Sez. 18.10.2002 n. 5711)”, tuttavia “…le disposizioni contenute nell’art. 112 del T.U. n. 3 del 1957 esibiscono – rispetto a quelle relative ai militari – notevoli differenze..”;

     b) “…la regola per i Collegi disciplinari degli impiegati civili risulta piuttosto mutuata da quella del codice di rito civile il quale infatti prevede (art. 276 cod. proc. civ.)  che “ la decisione è deliberata in segreto”, evidentemente prescrivendo la sola segretezza esterna: è pacifico infatti (cfr. ad es. art. 118 c. 4 disp. att. cod. proc. civ.) che in seno agli organi giurisdizionali il voto si esprime in forma palese”, con la conseguenza, per un verso, che “…le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza con riferimento al T.U. impiegati civili non possono essere valorizzate per quanto riguarda i procedimenti disciplinari a carico dei militari” e, per altro verso, che “…la circostanza che il Legislatore del 1954 abbia invece espressamente imposto la segretezza della votazione (e non del deliberato) appare già di per sè particolarmente significativa. Di ciò sembra aver preso atto la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato la quale  ( pur con la eccezione di un obiter contenuto in IV Sez. 31.3.2003 n. 1669) interpreta la disposizione di riferimento come volta ad imporre lo scrutinio segreto nei procedimenti disciplinari riguardanti i militari. In tal senso militano il parere su ricorso straordinario della III Sez. 22.10.2002 n. 1110/2002,  secondo il quale la votazione palese è in spregio a una precisa ed inderogabile disposizione di legge; l’ord.za IV Sez. 20.5.2003 n. 2026, la quale  ha ritenuto (in vicenda simile a quella in esame) fondata la doglianza relativa alla violazione del principio di segretezza del voto ex art. 74; la decisione IV Sez. 27.10.1998 n. 1397, la quale dà per scontata la necessità delle schede segrete; nonchè la recentissima decisione IV Sez  20.12.2005, n. 7276, la quale ritiene anch’essa sostanzialmente assodata la necessità dello scrutinio segreto”;

     c) pertanto “…le deliberazioni degli organi collegiali concernenti persone debbono essere di norma adottate a voti segreti e che tali principio deve essere rigorosamente osservato, in mancanza di diversa espressa previsione normativa, tutte le volte che l’Amministrazione deve esercitare facoltà discrezionali le quali hanno per presupposto l’apprezzamento e la valutazione delle qualità e degli atti di una persona”;

     d) in conclusione costituisce principio generale (peraltro espressamente stabilito a pena di nullità dall’articolo 298 T.U. com. prov. 1915) quello della segretezza del voto (posto a garanzia della indipendenza e della libertà di coscienza dei componenti i collegi amministrativi) il quale, nelle sole ipotesi in cui l’oggetto della deliberazione investa persone, prevale sulla regola del voto palese, ispirata al diverso principio della trasparenza amministrativa, così che “… nel caso in esame, l’esegesi della disposizione di cui all’art. 74 della legge n. 599 e le ragioni sistematiche ora evidenziate convergono nel far ritenere che la votazione della Commissione di disciplina doveva svolgersi a scrutinio segreto e non palese…”.

     2.3. Ugualmente infondato, ad avviso della Sezione, è il terzo motivo di gravame, con il quale è stata contestata la correttezza della sentenza impugnata per aver ritenuto illegittimo il provvedimento disciplinare per la mancata ostensione del rapporto finale: secondo le amministrazioni appellanti, infatti, il predetto rapporto finale non farebbe parte del fascicolo del procedimento disciplinare, trattandosi innanzitutto di una mera proposta non vincolante, peraltro astrattamente idonea ad influenzare le stesse definitive determinazioni della Commissione di disciplina.

     In effetti nel sistema delineato dalla legge 31 luglio 1954, n. 599 (artt. 64 e ss.) la relazione dell’Ufficiale inquirente rappresenta al tempo stesso l’atto terminale dell’inchiesta formale, attraverso cui soltanto può accertarsi un illecito disciplinare per il quale il sottufficiale può essere passibile delle sanzioni indicate dall’articolo 63, e l’atto sulla scorta del quale l’autorità militare dispone il deferimento del sottufficiale alla commissione di disciplina: in altri termini, essa (pur potendosi condividere la tesi circa la natura di proposta non vincolante) costituisce lo strumento qualificato e tipizzato attraverso cui si formalizza la notitia criminis determinante ai fini dell’instaurazione o meno del procedimento disciplinare.

     Di essa pertanto il sottufficiale incolpato non può non avere cognizione allorquando nei suoi confronti sia stato disposto il deferimento alla Commissione di disciplina, proprio al fine di rendere effettivo il diritto di difesa, trattandosi evidentemente dell’atto su cui si fonda (e che al tempo stesso delimita) la tesi accusatoria (la cui attendibilità e ragionevolezza deve essere criticamente vagliata dalla Commissione di disciplina, il che esclude che tale relazione di per sé possa influenzare negativamente l’operato della Commissione, eventualità che renderebbe illegittimo il provvedimento disciplinare sotto altro profilo).

     2.4. In conclusione l’appello deve essere respinto con conferma della sentenza impugnata.

     3. Il sottufficiale, nel costituirsi in giudizio con apposito controricorso, ha ivi spiegato anche i motivi di appello incidentale (riproponendo espressamente tutti i motivi di censura svolti in primo grado, sia quelli respinti, sia quelli assorbiti), dichiarando espressamente che il relativo atto era in corso di notifica: proprio a tal fine la Sezione, all’udienza del 10 giugno 2008, ha rinviato la trattazione della causa, su concorde richiesta delle parti, alla successiva udienza del 15 luglio 2008, alla quale però non solo nessuna delle parti è comparsa, ma non risulta neppure provata l’avvenuta notifica dell’appello incidentale.

     Benché il rigetto dell’appello principale comporti l’improcedibilità dell’appello incidentale, la Sezione ritiene in ogni caso di esaminare i già delineati motivi di appello incidentale: essi sono infondati e devono essere respinti.

     In particolare:

     a) quanto alla dedotta eccezione di incompetenza del Comandante Generale della Guardia di Finanza ad emanare l’impugnato provvedimento disciplinare, perché quest’ultimo rientrerebbe tra le competenze del Ministro, ai sensi dell'art. 61 della legge n. 599 del 1954, la sentenza di primo grado è immune da ogni vizio, atteso che la competenza del Comandante Generale della Guardia di Finanza è stata determinata dall'art. 16 del decreto legislativo n. 29 del 1993 (come modificato col decreto legislativo n. 80 del 1998 e trasfuso nel decreto legislativo n. 165 del 2001), per il quale le competenze del Ministro sulla gestione del personale sono state attribuite ai dirigenti degli uffici dirigenziali e, dunque, nell'ordinamento di settore, al Comandante Generale della Guardia di Finanza. (C.d.S., sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2844);

     b) correttamente è stato dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado nella parte in cui è stato diretto verso gli atti e i verbali della Commissione di disciplina e verso gli atti, i verbali e la relazione conclusiva dell’Ufficiale inquirente, trattandosi di atti endoprocedimentali, di per sé privi di autonoma efficacia lesiva, le cui risultanze, in quanto sfavorevoli all’interessato, sono state sussunte nel provvedimento disciplinare, unico atto autonomamente impugnabile;  

     c) quanto all’asserita generale violazione dei termini a difesa (motivo 2 A del ricorso introduttivo del giudizio), la Sezione osserva che essa non sussiste perché, anche a voler prescindere da ogni considerazione in ordine alla automatica ed integrale applicazione al procedimento disciplinare del personale militare delle disposizioni riguardanti il procedimento disciplinare degli impiegati civili dello Stato, nel caso di specie, a fronte della previsione di cui all’articolo 105 del D.P.R. 10 gennaio 1957. n 3, (secondo cui le giustificazioni devono essere presentate entro 20 giorni dalla comunicazione delle contestazioni all’interessato), come emerge dalla documentazione in atti, sono stati più volte accordati adeguati termini per visionare gli atti, produrre osservazioni e memorie e chiedere anche l’acquisizione di prove a discarico: ciò d’altra parte trova conferma nelle note che l’interessato ha inviato all’amministrazione in data 17 marzo 2003, 27 marzo 2003, 4 aprile 2003, 19 aprile 2003, 29 aprile 2003, 7 maggio 2003, a nulla rilevando il dichiarato stato di difficoltà soggettiva a predisporre adeguate difese;

     d) infondate sono le censure relative al preteso difetto di motivazione da cui sarebbe affetto l’impugnato provvedimento disciplinare, anche con riferimento alla gradualità delle sanzioni e al rispetto del principio di legalità: al riguardo, per un verso, deve ricordarsi che, secondo un consolidato e condivisibile indirizzo giurisprudenziale, la valutazione circa la gravità dei fatti addebitati al pubblico dipendente costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in sede di legittimità, salve le ipotesi di manifesta illogicità o irragionevolezza, evidente sproporzionalità e travisamento dei fatti, che non ricorrono nel caso di specie, mentre, per altro verso, dalla lettura sia dal provvedimento impugnato, sia dal verbale della Commissione di disciplina del 18 luglio 2003, emerge agevolmente l’iter logico – giuridico (id est: la motivazione) che ha giustificato la decisione dell’amministrazione;

     e) l'art. 74, primo comma della legge 31 luglio 1954, n. 599, lascia all'amministrazione militare un ampio margine nella valutazione della causa che legittima il differimento della seduta disciplinare con la conseguenza che: a) l'impedimento deve consistere in una vera e propria impossibilità oggettiva a partecipare alla seduta, non potendosi ritenere sufficiente un qualsiasi stato di infermità; b) l'incolpato è onerato della prova della sussistenza di un impedimento di tal fatta, essendo insufficiente allo scopo l'esibizione di un certificato da cui non risulti in modo univoco, qualora ciò non sia evidente secondo comuni regole di esperienza (come accaduto nel caso di specie), che l'infermità stessa comporti l'impossibilità di partecipare alla seduta disciplinare (negli esatti termini sez. III, 24 aprile 2001, n. 598/2001; sez. III, 16 dicembre 2003, n. 4235/2003); 22 aprile 2005, n. 1851

     f) ugualmente infondata è la censura relativa alla dedotta violazione dell’articolo 76 della legge 31 luglio 1954, n. 599, in quanto, come risulta dalla documentazione in atti, il procedimento disciplinare dalla fase dell’inchiesta formale al deferimento innanzi alla Commissione di disciplina ha riguardato sia l’appellante incidentale, maresciallo @@@@@@@ @@@@@@@, sia il maresciallo Rosario Patti;

     g) quanto all’ulteriore profilo di violazione del diritto di difesa per essere stata la riunione finale della Commissione di disciplina tenuta nella contumacia dell’interessato, senza accogliere le sue richieste di ulteriore rinvio e senza considerare le sue peculiari condizioni di salute, esso non è meritevole di favorevole considerazione alla stregua di quanto affermato nella già richiamata decisione di questa Sezione 22 aprile 2005, n. 1851 e delle osservazioni di cui al precedente punto e), tanto più che la Commissione di disciplina ha puntualmente esaminato e valutato la certificazione medica pervenuta, ritenendo, anche sulla base di una consulenza medica, che la patologia indicata a supporto della richiesta di rinvio non integrasse gli estremi di una situazione eccezionale tale da giustificare il differimento della riunione della Commissione di disciplina;

     h)  in ordine alla dedotta estinzione del procedimento disciplinare per asserita violazione dell’articolo 9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19, deve osservarsi che nel caso di specie, essendo stato il maresciallo @@@@@@@ @@@@@@@ condannato per il reato di cui agli articoli 110 e 317 C.P., trovano applicazioni le disposizioni contenute nell’articolo 5 della legge 27 marzo 2001, n. 97, secondo cui il procedimento disciplinare deve avere inizio o, in caso di intervenuta sospensione, proseguire entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione e concludersi entro centottanta giorni decorrenti dal termine di inizio o di proseguimento;

     i) quanto infine alla pretesa risarcitoria, essa è stata correttamente respinta dai primi giudici, stante la sua assoluta genericità, che del resto caratterizza anche la sua formulazione in sede di appello.

    4. In conclusione, alla stregua delle precedenti osservazioni  l’appello principale deve essere respinto, mentre l’appello incidentale è improcedibile, oltre che infondato; possono essere compensare le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

    Il Consiglio di Stato, Sezione Quarta, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello principale proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e sull’appello incidentale proposto dal signor @@@@@@@ @@@@@@@ avverso la sentenza n. 451 del 22 gennaio 2008 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sez. II,  n. 532 dell’8 marzo 2008, respinge il primo e dichiara improcedibile il secondo.

    Dichiara compensate le spese del presente grado di giudizio.

    Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

    Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 luglio 2008, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la partecipazione dei signori: 
 

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