ATTI AMMINISTRATIVI - FORZE ARMATE - IMPIEGO PUBBLICO
Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-11-2010, n. 8287
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con ricorso proposto al TAR Lazio l'attuale appellante ####################, già
appartenente al Corpo della Guardia di Finanza con il grado di vice brigadiere,
impugnava il provvedimento con il quale il Comando generale - a seguito di
coinvolgimento in indagini di polizia avviate dalla Procura della Repubblica di
Roma per associazione criminosa finalizzata al traffico di stupefacenti,
indagini concluse con richiesta di archiviazione accolta dal G.I.P. - gli aveva
irrogato la sanzione della perdita del grado per rimozione, mettendolo a
disposizione come soldato semplice del distretto militare di Roma.
Nonostante la conclusione del procedimento penale con la archiviazione,
l'amministrazione aveva ritenuto di procedere in via disciplinare, concludendo
con il contestato provvedimento.
Il ricorrente, inoltre, sosteneva di essersi poi dimesso volontariamente, a
seguito di tale atto sanzionatorio, contestato perché ritenuto illegittimo.
Con i motivi di ricorso si deducevano i vizi di violazione di legge ed eccesso
di potere sotto vari profili, quali il mancato rispetto dei termini del
procedimento, difetto di istruttoria, difetto di adeguata partecipazione e
difesa dell'interessato, la errata rappresentazione dei fatti.
Il giudice di primo grado rigettava il ricorso, ritenendo che: a) erano stati
pienamente rispettati i termini previsti dalla legge per il procedimento
sanzionatorio; b) era corretta la istruttoria sulla base delle risultanze del
procedimento penale; c) era stata pienamente soddisfatta la esigenza della
corretta motivazione. Veniva respinto un secondo ricorso connesso, proposto per
la applicabilità del prolungamento o ripristino di cui al comma 57 dell'art. 3
della legge 350 del 2003, non ritenendosi che sussistessero gli estremi della
fattispecie prevista dal legislatore.
Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, propone appello il
medesimo ####################, deducendo i seguenti motivi:
1) violazione dei termini previsti dall'art. 103 t.u. n.3 del 1957, poiché la
contestazione degli addebiti deve avvenire al più presto, mentre l'azione
disciplinare è stata esercitata solo in data 11 maggio 2002 ad oltre un anno
dalla conoscenza dei fatti da parte dell'amministrazione e a circa sei mesi
dalla archiviazione, avvenuta in data 14 novembre 2001; 2) violazione del D.M.
1/9/1955, in quanto non è stata fornita all'interessato la documentazione
richiesta, ritenendo erroneamente che egli avesse chiesto nuove investigazioni;
3) erroneità e lacunosità della istruttoria, perché fa generico richiamo alle
risultanze del procedimento penale archiviato; 4) genericità delle
contestazioni; 5) violazione dell'art. 60 L.599 del 1954, che prevede la
sanzione della perdita del grado per violazione del giuramento effettuato dal
militare o per altri motivi disciplinari, privando il condannato del grado e
facendolo ridiscendere alla semplice condizione di soldato, in quanto la
sanzione sarebbe stata adottata sulla base di telefonate sulle utenze
dell'appellante, che però ne contesta la interpretazione (da pagina 21 a pagina
27 dell'atto di appello); 6) la sproporzione della adottata sanzione alla luce
del difetto di istruttoria, che imponeva all'amministrazione di tenere conto dei
dubbi sulle intercettazioni e della effettiva corrispondenza del personaggio
denominato "R." con il ####################, della mancata dimostrazione dei
fatti oggetto delle intercettazioni e delle indagini, degli ottimi precedenti di
servizio e disciplinari del dipendente, della assenza di risvolti pubblici,
della incensuratezza del dipendente, della non particolare gravità dell'accaduto
e della sua risalenza nel tempo.
Si è costituita l'appellata amministrazione chiedendo il rigetto dell'appello
perché infondato
Questa sezione, con ordinanza n.1049 del 2010, rigettava la istanza cautelare di
sospensione di esecutività della sentenza.
Alla udienza pubblica del 9 novembre 2010 la causa è stata trattenuta in
decisione.
Motivi della decisione
1. L'appello è infondato.
Con il primo motivo di appello si deduce violazione dei termini previsti
dall'art. 103 t.u. n.3 del 1957, poiché la contestazione degli addebiti deve
avvenire al più presto, mentre l'azione disciplinare è stata esercitata solo in
data 11 maggio 2002 ad oltre un anno dalla conoscenza dei fatti da parte
dell'amministrazione e a circa sei mesi dalla archiviazione, avvenuta in data 14
novembre 2001.
Il motivo è infondato in punto di fatto.
Il comma 3 dell'art. 97 t.u. n.3 del 1957, invocato sui termini dall'appello,
prevede che il procedimento disciplinare abbia inizio con la contestazione degli
addebiti, entro 180 giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza
definitiva di proscioglimento.
L'appellante invoca il principio secondo cui è tardiva l'azione disciplinare
finalizzata all'irrogazione di una sanzione espulsiva, proposta oltre il termine
perentorio di centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto
notizia della sentenza irrevocabile di condanna.
Nella specie, il termine di centottanta giorni è stato rispettato: tra la
emissione del decreto di archiviazione del 14 novembre 2001 emesso dal G.I.P.
presso il Tribunale di Roma e l'avvio del procedimento disciplinare, con la
notifica della contestazione degli addebiti, avvenuta in data 11 maggio 2002,
sono decorsi precisamente 178 giorni.
Sulla esigenza di concludere il procedimento entro termini prefissati, l'art.
120 t.u. n.3 del 1957 prevede che il procedimento disciplinare si estingue
quando siano decorsi novanta giorni dall'ultimo atto senza che nessun ulteriore
atto sia stato compiuto.
Anche il termine prescritto di novanta giorni è stato rispettato.
Nella specie, sono decorsi, come rilevato dal primo giudice e non adeguatamente
contestato dall'appello, 86 giorni tra la notifica della contestazione degli
addebiti, avvenuta in data 11 maggio 2002, e l'ordine di deferimento
dell'incolpato alla Commissione di disciplina, avvenuto in data 5 agosto 2002;
inoltre, sono decorsi 63 giorni di interruzione tra tale ultimo atto e la seduta
della Commissione del 7 ottobre 2002; il provvedimento sanzionatorio finale
risulta adottato il 28 dicembre 2002 e quindi entro il termine di novanta giorni
(82 per la precisione) dalla seduta della Commissione di disciplina, rispettando
il dettato di legge e non dovendosi avere riguardo alla data di comunicazione
all'interessato, ma solo alla sua adozione.
Questo Giudice, risolvendo un problema, in realtà non sollevato nell'appello,
osserva che è rispetto all'atto di adozione che va considerato il rispetto del
termine di novanta giorni, applicabile alla specie.
In tema di sanzioni disciplinari a carico di pubblici dipendenti, ai fini del
computo dei termini di cui all'art. 120, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, il termine
di novanta giorni da esso previsto va calcolato con riferimento al momento di
adozione degli atti del procedimento sanzionatorio e non dal momento della
notifica, la quale attiene al momento dell'efficacia e non a quello del
perfezionamento del provvedimento amministrativo al quale, invece, deve
intendersi riferito il disposto del suddetto art. 120 (Consiglio Stato, sez. IV,
30 giugno 2010, n. 4163).
2. Con altro motivo di appello si lamenta il fatto che, in violazione del D.M.
1/9/1955 e della legge 599 del 1954, non sarebbe stata fornita all'interessato
la documentazione richiesta, ritenendo erroneamente, l'amministrazione, che egli
avesse chiesto nuove investigazioni.
Secondo l'appellante, dalla risposta fornita dall'Ufficiale inquirente, si
desumerebbe una motivazione erronea, perché essa farebbe riferimento a una
inesistente richiesta di nuove indagini da parte dell'inquisito.
In realtà, la risposta dell'ufficiale inquirente adduce vari - e tutti
autosufficienti - motivi di diniego, tra i quali, come espone anche l'appello,
la assoluta genericità e estensione della richiesta di accesso.
La regola generale, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 126 del 14
aprile 1995 relativa all'art. 33 L.599 del 1954, è che al sottufficiale proposto
per la dispensa dal servizio debba essere assegnato un termine per presentare,
ove creda, le proprie osservazioni e sia data la possibilità di essere sentito
personalmente.
Al sottufficiale sottoposto a procedimento per la dispensa dal servizio
permanente per insufficienza delle qualità necessarie, ai sensi dell'art. 33 l.
31 luglio 1954 n. 599, deve essere garantito il pieno diritto di difesa e dunque
sia la possibilità di essere ascoltato che quella di produrre memorie difensive
(Consiglio Stato, sez. IV, 14 settembre 2005, n. 4758).
Non vi è dubbio che in tale diritto di difesa e garanzia difensiva e di
partecipazione sia incluso anche il generale diritto di accesso alla
documentazione della procedura, ma altrettanto è indubbio che anche la richiesta
di accesso debba scontare le generali limitazioni individuate dalla
giurisprudenza, compresa quella della preclusione rispetto a richieste
generalizzate e immotivate.
Non merita accoglimento la richiesta di accesso alla documentazione in possesso
della p.a. che risulti caratterizzata da una formulazione eccessivamente
generalizzata, ossia riguardante non specifici atti o provvedimenti, bensì la
documentazione di un'attività svoltasi attraverso un imprecisato numero di atti,
riguardanti l'intera indagine, senza indicarne i fini, senza specificazione
della attinenza degli atti e documenti in relazione ai fatti contestati, atteso
che l'eventuale soddisfazione di simile richiesta importerebbe un'opera di
ricerca, catalogazione, sistemazione che non rientra nei doveri posti
all'amministrazione dalla normativa di cui al capo V l. n. 241 del 1990, oltre
che un generalizzato controllo su un ramo dell'amministrazione (sulla
inammissibilità della richiesta generalizzata di documenti, ex plurimis,
Consiglio Stato, sez. IV, 22 settembre 2003, n. 5360).
3. Con altri motivi di appello l'appellante deduce sia la erroneità della
effettuata istruttoria, perché in modo generico si richiamerebbe alle risultanze
del procedimento penale archiviato, che la genericità delle contestazioni,
sostenendo anche la mancanza di certezza di identità tra il protagonista delle
telefonate intercettate e egli medesimo.
In realtà, è vero che, in considerazione dell'esito del procedimento penale
(conclusosi con un decreto di archiviazione), esso, non vincolante nel
procedimento disciplinare, impone tuttavia un'istruttoria e una motivazione
particolarmente approfondita (Consiglio Stato, sez. VI, 30 settembre 2008, n.
4674), sussistente però nella specie.
Nei fatti, come si desume dall'iter effettuato e correttamente desumibile dal
provvedimento finale, l'amministrazione ha valutato che:
il procedimento penale si è definito in quanto l'accusa ha chiesto
l'archiviazione (solo) perché non si rinvenivano sufficienti prove raccolte, in
grado di sorreggere la richiesta di rinvio a giudizio e tale richiesta è stata
accolta dal G.I.P. con il decreto di archiviazione; tuttavia, dalle
intercettazioni telefoniche acquisite prima nel procedimento penale e poi
acquisite dalla amministrazione, emerge che il tenore delle conversazioni tenute
dal militare dipendente con altri soggetti (tra l'altro pregiudicati) sottoposti
a indagini per il reato di associazione criminosa per lo spaccio di stupefacenti
era idonea a dimostrare "una conoscenza certo non accidentale" tra il
#################### e i presunti complici, i quali gli rivolgevano "esplicite
domande circa i tempi e i luoghi della effettuazione dei servizi di vigilanza"
da parte delle Forze di Polizia, ottenendo risposte.
L'amministrazione ha inoltre fatto rilevare, nel procedimento disciplinare,
proprio i passaggi più importanti delle intercettazioni telefoniche, ritenuti
più significativi ai fini della valutazione disciplinare: "emergono in modo
oggettivo e certo le dirette responsabilità...la piena consapevolezza...sarebbe
andato in avanscoperta sul percorso, in virtù delle conoscenze all'interno del
Corpo avrebbe fornito in prossimità degli arrivi di stupefacente sia la propria
collaborazione che notizie...aveva avuto continui contatti telefonici nonché
incontri con i menzionati soggetti dediti al traffico di stupefacenti, i quali
gli avevano attribuito l'appellativo di R.". Seguono, nel corpo della
motivazione del provvedimento sanzionatorio, i contenuti dettagliati delle
diverse telefonate ascritte al ####################.
Dal provvedimento impugnato, tra l'altro, si evince che il ####################
non ha prodotto, pur potendolo in quel contesto procedimentale di tipo
difensivo, elementi atti a confutare gli addebiti cointestati, ma ha solo
cercato di attenuare le proprie responsabilità richiamando a proprio favore i
suoi buoni precedenti di carriera.
D'altronde, la finalità del procedimento era ed è quella di verificare se la
condotta del militare sia stata o meno contraria ai doveri di correttezza e
lealtà assunti con il giuramento e connessi alle rivestite qualifiche di
ufficiale di P.G. e di P.T., da cui fare conseguire la perdita del grado.
4. Con altri motivi di appello si lamenta violazione dell'art. 60 L.599 del 1954
- che prevede la sanzione della perdita del grado per violazione del giuramento
effettuato dal militare o per altri motivi disciplinari, privando il condannato
del grado e facendolo ridiscendere alla semplice condizione di soldato - in
quanto la sanzione sarebbe stata adottata sulla base di telefonate sulle utenze
dell'appellante, che però ne contesta la attribuzione a sé e quindi la corretta
lettura e interpretazione (da pagina 21 a pagina 27 dell'atto di appello).
Si lamenta inoltre la sproporzione della adottata sanzione alla luce del difetto
di istruttoria, che imponeva all'amministrazione di tenere conto dei dubbi sulle
intercettazioni e della effettiva corrispondenza del personaggio denominato "R."
con il ####################, della mancata comprova dei fatti oggetto delle
intercettazioni e delle indagini, degli ottimi precedenti di servizio e
disciplinari del dipendente, della assenza di risvolti pubblici, della
incensuratezza del dipendente, della non particolare gravità dell'accaduto e
della sua risalenza nel tempo.
I motivi sono infondati.
All'uopo, il Collegio richiama i principi generali della limitata sindacabilità
da parte del giudice amministrativo sulle valutazioni e sulle volontà
dell'amministrazione in sede disciplinare e quindi sia in ordine alla
valutazione dei fatti che ai provvedimenti adottati e voluti
dall'amministrazione in sede disciplinare.
Le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive
di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all'amministrazione, in sede di
formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra
l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un
apprezzamento di larga discrezionalità (l'amministrazione dispone, infatti, di
un ampio e graduale potere discrezionale nell'apprezzare autonomamente le varie
ipotesi disciplinari, con una valutazione insindacabile nel merito da parte del
giudice amministrativo) (Consiglio Stato, sez. VI, 06 giugno 2008, n. 2720).
La garanzia del giusto procedimento disciplinare avviene, quindi, in ordine alla
compiutezza, logicità, ragionevolezza, esausitività, sia della istruttoria che
della motivazione del provvedimento finale adottato.
In materia di procedimento disciplinare, l'amministrazione ha il dovere di
valutare, previo compiuto accertamento dei fatti, la gravità dell'infrazione
commessa dal dipendente al fine di individuare, secondo criteri di
proporzionalità e gravità, la giusta sanzione, all'uopo indicandone le ragioni
con congrua motivazione (Consiglio Stato, sez. VI, 09 novembre 2005, n. 6262).
Nella specie, come già ha osservato il primo giudice, l'amministrazione di
appartenenza:
a) ha accuratamente descritto gli elementi di fatto a carico del militare, quali
risultavano dalla istruttoria penale condotta sulla base delle intercettazioni
telefoniche; b) ha tenuto conto degli elementi a discolpa e a difesa argomentati
dall'interessato; c) ha tenuto conto di tutte le circostanze riferibili
all'interessato, quanto alla attività da egli svolta, alla sua esperienza di
servizio, alla capacità di discernimento che gli permetteva sia di consentire la
antigiuridicità della sua condotta che di valutare adeguatamente che l'attività
ascritta, di fornire notizie riservate a pluripregiudicati al fine di agevolare
il traffico di stupefacenti, avrebbe costituito un illecito disciplinare privo
di ogni esimente o scusante; d) ha valutato come la condotta del dipendente -
concretantesi nel fornire notizie riservate relative ad altre Forze di Polizia,
ledendole - abbia leso soprattutto il prestigio e l'immagine del Corpo della
Guardia di Finanza.
Quanto poi alla censura con la quale l'appellante mette in dubbio l'attribuibilità
a sé delle telefonate intercettate, e sostiene che non sarebbe certa la
riconducibilità del personaggio delle telefonate, individuato come "R.", quale
collaboratore esterno della associazione criminale dedita al traffico di
stupefacenti, questo Collegio ritiene che tali assunti, non adeguatamente
supportati durante il procedimento disciplinare, non essendo risultati in grado
di sovvertire il convincimento della Commissione di disciplina nell'ambito del
procedimento disciplinare, non risultino comprovati neanche in questa sede, pur
nei limiti del sindacato dell'adito giudice amministrativo, che scrutina
l'attività oggetto di giudizio solo quanto a logicità, ragionevolezza,
adeguatezza della motivazione e della istruttoria, requisiti che nella specie
risultano pienamente soddisfatti alla lettura del provvedimento sanzionatorio.
5.Per le considerazioni sopra svolte, l'appello va respinto, con conseguente
conferma della impugnata sentenza.
La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della
soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente
pronunciando sull'appello indicato in epigrafe, così provvede:
rigetta l'appello, confermando la impugnata sentenza. Condanna parte appellante
al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidandole in
complessive euro tremila.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.