Cassazione 4239/2009(..) Legittima la pubblicazione di sentenze con le generalità dei soggetti interessati. In tema di diffusione del contenuto delle sentenze o di altri provvedimenti dell’autorità giudiziaria, è sempre lecita la pubblicazione integrale su internet, anche con l’indicazione delle generalità dei soggetti interessati, a meno che i soggetti medesimi non abbiano espressamente richiesto di omettere le proprie generalità ed ogni altro dato identificativo

 

 

ATTI AMMINISTRATIVI   -   FORZE ARMATE   -   IMPIEGO PUBBLICO
Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-11-2010, n. 8287
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo

Con ricorso proposto al TAR Lazio l'attuale appellante ####################, già appartenente al Corpo della Guardia di Finanza con il grado di vice brigadiere, impugnava il provvedimento con il quale il Comando generale - a seguito di coinvolgimento in indagini di polizia avviate dalla Procura della Repubblica di Roma per associazione criminosa finalizzata al traffico di stupefacenti, indagini concluse con richiesta di archiviazione accolta dal G.I.P. - gli aveva irrogato la sanzione della perdita del grado per rimozione, mettendolo a disposizione come soldato semplice del distretto militare di Roma.

Nonostante la conclusione del procedimento penale con la archiviazione, l'amministrazione aveva ritenuto di procedere in via disciplinare, concludendo con il contestato provvedimento.

Il ricorrente, inoltre, sosteneva di essersi poi dimesso volontariamente, a seguito di tale atto sanzionatorio, contestato perché ritenuto illegittimo.

Con i motivi di ricorso si deducevano i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili, quali il mancato rispetto dei termini del procedimento, difetto di istruttoria, difetto di adeguata partecipazione e difesa dell'interessato, la errata rappresentazione dei fatti.

Il giudice di primo grado rigettava il ricorso, ritenendo che: a) erano stati pienamente rispettati i termini previsti dalla legge per il procedimento sanzionatorio; b) era corretta la istruttoria sulla base delle risultanze del procedimento penale; c) era stata pienamente soddisfatta la esigenza della corretta motivazione. Veniva respinto un secondo ricorso connesso, proposto per la applicabilità del prolungamento o ripristino di cui al comma 57 dell'art. 3 della legge 350 del 2003, non ritenendosi che sussistessero gli estremi della fattispecie prevista dal legislatore.

Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, propone appello il medesimo ####################, deducendo i seguenti motivi:

1) violazione dei termini previsti dall'art. 103 t.u. n.3 del 1957, poiché la contestazione degli addebiti deve avvenire al più presto, mentre l'azione disciplinare è stata esercitata solo in data 11 maggio 2002 ad oltre un anno dalla conoscenza dei fatti da parte dell'amministrazione e a circa sei mesi dalla archiviazione, avvenuta in data 14 novembre 2001; 2) violazione del D.M. 1/9/1955, in quanto non è stata fornita all'interessato la documentazione richiesta, ritenendo erroneamente che egli avesse chiesto nuove investigazioni; 3) erroneità e lacunosità della istruttoria, perché fa generico richiamo alle risultanze del procedimento penale archiviato; 4) genericità delle contestazioni; 5) violazione dell'art. 60 L.599 del 1954, che prevede la sanzione della perdita del grado per violazione del giuramento effettuato dal militare o per altri motivi disciplinari, privando il condannato del grado e facendolo ridiscendere alla semplice condizione di soldato, in quanto la
sanzione sarebbe stata adottata sulla base di telefonate sulle utenze dell'appellante, che però ne contesta la interpretazione (da pagina 21 a pagina 27 dell'atto di appello); 6) la sproporzione della adottata sanzione alla luce del difetto di istruttoria, che imponeva all'amministrazione di tenere conto dei dubbi sulle intercettazioni e della effettiva corrispondenza del personaggio denominato "R." con il ####################, della mancata dimostrazione dei fatti oggetto delle intercettazioni e delle indagini, degli ottimi precedenti di servizio e disciplinari del dipendente, della assenza di risvolti pubblici, della incensuratezza del dipendente, della non particolare gravità dell'accaduto e della sua risalenza nel tempo.

Si è costituita l'appellata amministrazione chiedendo il rigetto dell'appello perché infondato

Questa sezione, con ordinanza n.1049 del 2010, rigettava la istanza cautelare di sospensione di esecutività della sentenza.

Alla udienza pubblica del 9 novembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. L'appello è infondato.

Con il primo motivo di appello si deduce violazione dei termini previsti dall'art. 103 t.u. n.3 del 1957, poiché la contestazione degli addebiti deve avvenire al più presto, mentre l'azione disciplinare è stata esercitata solo in data 11 maggio 2002 ad oltre un anno dalla conoscenza dei fatti da parte dell'amministrazione e a circa sei mesi dalla archiviazione, avvenuta in data 14 novembre 2001.

Il motivo è infondato in punto di fatto.

Il comma 3 dell'art. 97 t.u. n.3 del 1957, invocato sui termini dall'appello, prevede che il procedimento disciplinare abbia inizio con la contestazione degli addebiti, entro 180 giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza definitiva di proscioglimento.

L'appellante invoca il principio secondo cui è tardiva l'azione disciplinare finalizzata all'irrogazione di una sanzione espulsiva, proposta oltre il termine perentorio di centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna.

Nella specie, il termine di centottanta giorni è stato rispettato: tra la emissione del decreto di archiviazione del 14 novembre 2001 emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Roma e l'avvio del procedimento disciplinare, con la notifica della contestazione degli addebiti, avvenuta in data 11 maggio 2002, sono decorsi precisamente 178 giorni.

Sulla esigenza di concludere il procedimento entro termini prefissati, l'art. 120 t.u. n.3 del 1957 prevede che il procedimento disciplinare si estingue quando siano decorsi novanta giorni dall'ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto.

Anche il termine prescritto di novanta giorni è stato rispettato.

Nella specie, sono decorsi, come rilevato dal primo giudice e non adeguatamente contestato dall'appello, 86 giorni tra la notifica della contestazione degli addebiti, avvenuta in data 11 maggio 2002, e l'ordine di deferimento dell'incolpato alla Commissione di disciplina, avvenuto in data 5 agosto 2002; inoltre, sono decorsi 63 giorni di interruzione tra tale ultimo atto e la seduta della Commissione del 7 ottobre 2002; il provvedimento sanzionatorio finale risulta adottato il 28 dicembre 2002 e quindi entro il termine di novanta giorni (82 per la precisione) dalla seduta della Commissione di disciplina, rispettando il dettato di legge e non dovendosi avere riguardo alla data di comunicazione all'interessato, ma solo alla sua adozione.

Questo Giudice, risolvendo un problema, in realtà non sollevato nell'appello, osserva che è rispetto all'atto di adozione che va considerato il rispetto del termine di novanta giorni, applicabile alla specie.

In tema di sanzioni disciplinari a carico di pubblici dipendenti, ai fini del computo dei termini di cui all'art. 120, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, il termine di novanta giorni da esso previsto va calcolato con riferimento al momento di adozione degli atti del procedimento sanzionatorio e non dal momento della notifica, la quale attiene al momento dell'efficacia e non a quello del perfezionamento del provvedimento amministrativo al quale, invece, deve intendersi riferito il disposto del suddetto art. 120 (Consiglio Stato, sez. IV, 30 giugno 2010, n. 4163).

2. Con altro motivo di appello si lamenta il fatto che, in violazione del D.M. 1/9/1955 e della legge 599 del 1954, non sarebbe stata fornita all'interessato la documentazione richiesta, ritenendo erroneamente, l'amministrazione, che egli avesse chiesto nuove investigazioni.

Secondo l'appellante, dalla risposta fornita dall'Ufficiale inquirente, si desumerebbe una motivazione erronea, perché essa farebbe riferimento a una inesistente richiesta di nuove indagini da parte dell'inquisito.

In realtà, la risposta dell'ufficiale inquirente adduce vari - e tutti autosufficienti - motivi di diniego, tra i quali, come espone anche l'appello, la assoluta genericità e estensione della richiesta di accesso.

La regola generale, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 126 del 14 aprile 1995 relativa all'art. 33 L.599 del 1954, è che al sottufficiale proposto per la dispensa dal servizio debba essere assegnato un termine per presentare, ove creda, le proprie osservazioni e sia data la possibilità di essere sentito personalmente.

Al sottufficiale sottoposto a procedimento per la dispensa dal servizio permanente per insufficienza delle qualità necessarie, ai sensi dell'art. 33 l. 31 luglio 1954 n. 599, deve essere garantito il pieno diritto di difesa e dunque sia la possibilità di essere ascoltato che quella di produrre memorie difensive (Consiglio Stato, sez. IV, 14 settembre 2005, n. 4758).

Non vi è dubbio che in tale diritto di difesa e garanzia difensiva e di partecipazione sia incluso anche il generale diritto di accesso alla documentazione della procedura, ma altrettanto è indubbio che anche la richiesta di accesso debba scontare le generali limitazioni individuate dalla giurisprudenza, compresa quella della preclusione rispetto a richieste generalizzate e immotivate.

Non merita accoglimento la richiesta di accesso alla documentazione in possesso della p.a. che risulti caratterizzata da una formulazione eccessivamente generalizzata, ossia riguardante non specifici atti o provvedimenti, bensì la documentazione di un'attività svoltasi attraverso un imprecisato numero di atti, riguardanti l'intera indagine, senza indicarne i fini, senza specificazione della attinenza degli atti e documenti in relazione ai fatti contestati, atteso che l'eventuale soddisfazione di simile richiesta importerebbe un'opera di ricerca, catalogazione, sistemazione che non rientra nei doveri posti all'amministrazione dalla normativa di cui al capo V l. n. 241 del 1990, oltre che un generalizzato controllo su un ramo dell'amministrazione (sulla inammissibilità della richiesta generalizzata di documenti, ex plurimis, Consiglio Stato, sez. IV, 22 settembre 2003, n. 5360).

3. Con altri motivi di appello l'appellante deduce sia la erroneità della effettuata istruttoria, perché in modo generico si richiamerebbe alle risultanze del procedimento penale archiviato, che la genericità delle contestazioni, sostenendo anche la mancanza di certezza di identità tra il protagonista delle telefonate intercettate e egli medesimo.

In realtà, è vero che, in considerazione dell'esito del procedimento penale (conclusosi con un decreto di archiviazione), esso, non vincolante nel procedimento disciplinare, impone tuttavia un'istruttoria e una motivazione particolarmente approfondita (Consiglio Stato, sez. VI, 30 settembre 2008, n. 4674), sussistente però nella specie.

Nei fatti, come si desume dall'iter effettuato e correttamente desumibile dal provvedimento finale, l'amministrazione ha valutato che:

il procedimento penale si è definito in quanto l'accusa ha chiesto l'archiviazione (solo) perché non si rinvenivano sufficienti prove raccolte, in grado di sorreggere la richiesta di rinvio a giudizio e tale richiesta è stata accolta dal G.I.P. con il decreto di archiviazione; tuttavia, dalle intercettazioni telefoniche acquisite prima nel procedimento penale e poi acquisite dalla amministrazione, emerge che il tenore delle conversazioni tenute dal militare dipendente con altri soggetti (tra l'altro pregiudicati) sottoposti a indagini per il reato di associazione criminosa per lo spaccio di stupefacenti era idonea a dimostrare "una conoscenza certo non accidentale" tra il #################### e i presunti complici, i quali gli rivolgevano "esplicite domande circa i tempi e i luoghi della effettuazione dei servizi di vigilanza" da parte delle Forze di Polizia, ottenendo risposte.

L'amministrazione ha inoltre fatto rilevare, nel procedimento disciplinare, proprio i passaggi più importanti delle intercettazioni telefoniche, ritenuti più significativi ai fini della valutazione disciplinare: "emergono in modo oggettivo e certo le dirette responsabilità...la piena consapevolezza...sarebbe andato in avanscoperta sul percorso, in virtù delle conoscenze all'interno del Corpo avrebbe fornito in prossimità degli arrivi di stupefacente sia la propria collaborazione che notizie...aveva avuto continui contatti telefonici nonché incontri con i menzionati soggetti dediti al traffico di stupefacenti, i quali gli avevano attribuito l'appellativo di R.". Seguono, nel corpo della motivazione del provvedimento sanzionatorio, i contenuti dettagliati delle diverse telefonate ascritte al ####################.

Dal provvedimento impugnato, tra l'altro, si evince che il #################### non ha prodotto, pur potendolo in quel contesto procedimentale di tipo difensivo, elementi atti a confutare gli addebiti cointestati, ma ha solo cercato di attenuare le proprie responsabilità richiamando a proprio favore i suoi buoni precedenti di carriera.

D'altronde, la finalità del procedimento era ed è quella di verificare se la condotta del militare sia stata o meno contraria ai doveri di correttezza e lealtà assunti con il giuramento e connessi alle rivestite qualifiche di ufficiale di P.G. e di P.T., da cui fare conseguire la perdita del grado.

4. Con altri motivi di appello si lamenta violazione dell'art. 60 L.599 del 1954 - che prevede la sanzione della perdita del grado per violazione del giuramento effettuato dal militare o per altri motivi disciplinari, privando il condannato del grado e facendolo ridiscendere alla semplice condizione di soldato - in quanto la sanzione sarebbe stata adottata sulla base di telefonate sulle utenze dell'appellante, che però ne contesta la attribuzione a sé e quindi la corretta lettura e interpretazione (da pagina 21 a pagina 27 dell'atto di appello).

Si lamenta inoltre la sproporzione della adottata sanzione alla luce del difetto di istruttoria, che imponeva all'amministrazione di tenere conto dei dubbi sulle intercettazioni e della effettiva corrispondenza del personaggio denominato "R." con il ####################, della mancata comprova dei fatti oggetto delle intercettazioni e delle indagini, degli ottimi precedenti di servizio e disciplinari del dipendente, della assenza di risvolti pubblici, della incensuratezza del dipendente, della non particolare gravità dell'accaduto e della sua risalenza nel tempo.

I motivi sono infondati.

All'uopo, il Collegio richiama i principi generali della limitata sindacabilità da parte del giudice amministrativo sulle valutazioni e sulle volontà dell'amministrazione in sede disciplinare e quindi sia in ordine alla valutazione dei fatti che ai provvedimenti adottati e voluti dall'amministrazione in sede disciplinare.

Le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all'amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità (l'amministrazione dispone, infatti, di un ampio e graduale potere discrezionale nell'apprezzare autonomamente le varie ipotesi disciplinari, con una valutazione insindacabile nel merito da parte del giudice amministrativo) (Consiglio Stato, sez. VI, 06 giugno 2008, n. 2720).

La garanzia del giusto procedimento disciplinare avviene, quindi, in ordine alla compiutezza, logicità, ragionevolezza, esausitività, sia della istruttoria che della motivazione del provvedimento finale adottato.

In materia di procedimento disciplinare, l'amministrazione ha il dovere di valutare, previo compiuto accertamento dei fatti, la gravità dell'infrazione commessa dal dipendente al fine di individuare, secondo criteri di proporzionalità e gravità, la giusta sanzione, all'uopo indicandone le ragioni con congrua motivazione (Consiglio Stato, sez. VI, 09 novembre 2005, n. 6262).

Nella specie, come già ha osservato il primo giudice, l'amministrazione di appartenenza:

a) ha accuratamente descritto gli elementi di fatto a carico del militare, quali risultavano dalla istruttoria penale condotta sulla base delle intercettazioni telefoniche; b) ha tenuto conto degli elementi a discolpa e a difesa argomentati dall'interessato; c) ha tenuto conto di tutte le circostanze riferibili all'interessato, quanto alla attività da egli svolta, alla sua esperienza di servizio, alla capacità di discernimento che gli permetteva sia di consentire la antigiuridicità della sua condotta che di valutare adeguatamente che l'attività ascritta, di fornire notizie riservate a pluripregiudicati al fine di agevolare il traffico di stupefacenti, avrebbe costituito un illecito disciplinare privo di ogni esimente o scusante; d) ha valutato come la condotta del dipendente - concretantesi nel fornire notizie riservate relative ad altre Forze di Polizia, ledendole - abbia leso soprattutto il prestigio e l'immagine del Corpo della Guardia di Finanza.

Quanto poi alla censura con la quale l'appellante mette in dubbio l'attribuibilità a sé delle telefonate intercettate, e sostiene che non sarebbe certa la riconducibilità del personaggio delle telefonate, individuato come "R.", quale collaboratore esterno della associazione criminale dedita al traffico di stupefacenti, questo Collegio ritiene che tali assunti, non adeguatamente supportati durante il procedimento disciplinare, non essendo risultati in grado di sovvertire il convincimento della Commissione di disciplina nell'ambito del procedimento disciplinare, non risultino comprovati neanche in questa sede, pur nei limiti del sindacato dell'adito giudice amministrativo, che scrutina l'attività oggetto di giudizio solo quanto a logicità, ragionevolezza, adeguatezza della motivazione e della istruttoria, requisiti che nella specie risultano pienamente soddisfatti alla lettura del provvedimento sanzionatorio.

5.Per le considerazioni sopra svolte, l'appello va respinto, con conseguente conferma della impugnata sentenza.

La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando sull'appello indicato in epigrafe, così provvede:

rigetta l'appello, confermando la impugnata sentenza. Condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidandole in complessive euro tremila.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.