INFORTUNI SUL LAVORO - PRESUNZIONI
Cons. Stato Sez. VI, Sent., 17-03-2009, n. 1576
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe il Tar del Lazio, previa riunione, ha: 1) accolto in
parte il ricorso n.2532\2004, proposto un gruppo di associazioni imprenditoriali
e di imprenditori, tra cui le attuali appellanti, avverso la circolare INAIL
n.71 del 17 dicembre 2003, riguardante i disturbi psichici da costrittività
organizzativa sul lavoro, il relativo rischio e la diagnosi di malattia
professionale, nonché le modalità di trattamento delle relative pratiche; 2)
respinto il ricorso n.9497\2004 proposto dai medesimi soggetti per
l'annullamento del DM 27 aprile 2004, recante l'elenco della malattie per cui è
obbligatoria la denuncia ex art.139 del DPR 30 giugno 1965, n.1124, nella parte
in cui inserisce nella lista II, il gruppo 7), "malattie psichiche e
psicosomatiche da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro".
Il Tribunale riteneva che la circolare avesse seguito, rispetto alle vicende di
accertamento della malattia psichica da costrittività organizzativa, la
struttura logica seguita per l'accertamento delle malattie c.d. "tabellate", per
le quali vige la presunzione relativa di derivazione della patologia
dall'attività lavorativa, in pratica eludendo l'accertamento del nesso di
causalità, ed approfondendo solo le questioni di accertamento della sussistenza
dei fattori di nocività e la diagnostica della patologie, con ciò tralasciando
di dimostrare l'origine lavorativa di alcune patologie ad origine
multifattoriale, concentrarsi sui soli comportamenti la cui capacità di produrre
malattie psichiche sia, con alta probabilità, oggettivamente univoca e quindi
facilmente deducibile in presunzione. Da ciò la violazione dell'art.10, co.1,
D.lgs.32 febbraio 2000, n.38, integrandosi surrettiziamente il complesso delle
malattie c.d. tabellate, senza l'accertamento da parte della Commissione
scientifica per l'elaborazione e la revisione periodica delle tabelle ex artt.3
e 211 del DPR 1124\1965, senza l'espressa volizione dei Ministeri a ciò
competenti, ma ad opera di un comitato interno all'ente e senza le garanzie
partecipative recate dal D.lg.38\2000. Inoltre la circolare aveva pure disatteso
le direttive del Consiglio di indirizzo e vigilanza (CIV) in data 20\26.11.2001,
laddove incaricò gli organi di gestione di integrare il comitato interno
dell'ente con medici di fiducia della parti sociali e di svolgere uno studio
sugli orientamenti della giurisprudenza in tema di "mobbing". Disattesi altri
profili di censura, veniva condiviso il motivo che contestava pure il contenuto
dell'interpretazione evolutiva propugnata nella circolare, basata su un'erronea
lettura del sistema misto della tutela degli infortuni sul lavoro e sulle
malattie professionali. Era anche accolta la censura relativa all'irrigidimento
della definizione di costrittività organizzativa, quale pratica
morbigena indennizzabile, in assenza non solo di un'esatta definizione normativa
e di univoci indirizzi della giurisprudenza, ma anche del doveroso
approfondimento scientifico medico al riguardo. La circolare tendeva a
confondere il mobbing quale fonte di risarcimento con vicende illecite che già
l'ordinamento reprime a favore della dignità del lavoratore, in particolare in
base all'art.2078 c.c. ed all'art.9 S.d.L. nonché al successivo art.15, co.1,
lett. b), contro le condotte discriminatorie. Il Tar riteneva pure
contraddittoria, in assenza di mutamenti del quadro normativo e scientifico, la
trattazione a livello locale anziché accentrata delle vicende di costrittività
organizzativa. Veniva invece respinta l'impugnazione del DM 27 aprile 2004,
conforme all'art.10, co.3, del D.lgs. 38\2000, per cui l'elenco ex art.130 DPR
1124\1965 poteva contenere anche liste di malattie di probabile o possibile
origine lavorativa, da tenere sotto osservazione ai fini della revisione della
tabelle di cui agli artt. 3 e 211 stesso DPR. Inserendo le malattie da
costrittività organizzativa tra quelle a limitata probabilità di origine
lavorativa di cui alla lista II, attuando il principio di precauzione nella
materia, il DM legittimava a posteriori la circolare INAIL, non consentendo
l'indennizzo automatico, e aveva la funzione della raccolta del dato
epidemiologico, per verificare l'eventuale modificazione o integrazione delle
tabelle.
Appella l'INAIL deducendo i seguenti motivi:
I.1.2. Si lamenta il mancato esame dell'eccezione di inammissibilità del ricorso
per carenza di interesse avendo il Tar apoditticamente ed erroneamente affermato
che la circolare tendeva alla modificazione delle malattie indennizzabili e non
avesse rilevanza meramente interna. Non è precisato quale sia la lesione
concreta ed attuale della sfera giuridica dei ricorrenti né quale possa essere
il contenuto prescrittivo della circolare direttamente operativo nei confronti
delle imprese.
L'oggetto della circolare attiene alle modalità di trattazione delle denunce di
malattia professionale non tabellata, e quand'anche le disposizioni della
circolare avessero rilevanza esterna al più inciderebbero sulla sfera giuridica
dei lavoratori. Anche C.d.S 9 maggio 2002, n.2542 ha affermato la non attualità
ed assenza di concretezza dell'interesse che il datore di lavoro prospetti in
relazione al procedimento amministrativo volto ad accertare l'esistenza di una
malattia professionale derivante da una causa di lavoro. Anche la Cassazione ha
affermato il principio dell'autonomia del diritto alle prestazioni previdenziali
rispetto agli interessi giuridicamente rilevanti che il datore potrebbe vantare
in relazione all'intervenuto riconoscimento del suddetto diritto in favore del
proprio dipendente.
Né potrebbe affermarsi che il contenuto precettivo della circolare sia
ravvisabile nella elencazione delle situazioni di "costrittività organizzativa"
che finirebbe per incidere sull'autonomia organizzativa delle imprese., essendo
tali situazioni elencate solo quali possibili cause di malattia professionale
che non si ricollega ex se a colpa o responsabilità del datore.
Va escluso valor precettivo nei confronti delle imprese, perché gli obblighi di
tutela dell'integrità psicofisica dei lavoratori hanno fonte in norme di rango
primario, considerando la cui portata neppure è ipotizzabile che l'elencazione
della circolare introduca elementi di novità estendendo detti obblighi
all'organizzazione del lavoro. Alla luce di tali norme costituzionali e
primarie, non è fondata la prospettazione che l'autonomia delle imprese sarebbe
limitata dal fatto che avvertirebbero una sorta di indiretta imposizione ad
adottare scelte organizzative idonee a prevenire l'insorgenza delle patologie in
questione.
II. Il Tar ha travisato il contenuto della circolare ove ha ritenuto che con la
circolare l'INAIL abbia fornito alle sedi periferiche indicazioni tali da
indurre a trattare, in via di fatto, dette malattie come se fossero tabellate,
senza seguire l'articolato iter procedimentale che si conclude con l'emanazione
di un decreto interministeriale di aggiornamento della suddetta tabella.
L'elencazione delle situazioni di costrittività organizzativa e delle patologie
che dalle stesse potrebbero essere causate, costituisce l'individuazione di
quegli elementi, cui fa riferimento la Cassazione, in assenza dei quali viene
esclusa, in sede di trattazione amministrativa, la stessa configurabilità della
malattia professionale. La circolare non amplia, ma semmai circoscrive l'ambito
della tutela, indicando requisiti minimi in assenza dei quali si esclude ogni
ulteriore valutazione in ordine al possibile nesso di causalità. Contro
l'assunto del Tar circa la presunzione di sussistenza del nesso
di causalità, la circolare specifica che alla verifica dell'esistenza dei
suddetti requisiti minimi non si fa luogo quando il medico legale, esaminato il
caso specifico, escluda "in limine" la natura professionale della patologia,
criterio del tutto diverso da quello usato nel caso di malattia tabellata, ove
il nesso di causalità non sarebbe oggetto di valutazione medico legale. Anche le
precedenti circolari cui rinvia quella impugnata hanno sempre ribadito che il
nesso causale con il lavoro deve essere concretamente accertato nel singolo
caso, con onere della prova a carico del lavoratore.
III.1.2. Circa la presunta inversione dell'onere della prova ravvisata nella
circolare dal Tar, l'Istituto, stante il ruolo non privatistico assicurativo
svolto dall'INAIL, quale ente pubblico, in base all'evoluzione normativa
dell'assetto della tutela, è tenuto ad un'attività istruttoria finalizzata
all'accertamento di ogni elemento di fatto e di diritto necessario a garantire
la legittimità dell'atto amministrativo conclusivo del procedimento, avendo un
potere-dovere di verificare l'esistenza dei presupposti dell'asserito diritto,
nell'esercizio di attività amministrativa vincolata cui corrisponde un diritto
costituzionalmente garantito, sicchè il procedimento amministrativo è
caratterizzato da rilevanti elementi di officiosità.
Essendo l'ambito elettivo di applicazione del principio dell'onere della prova
la sede giudiziale, la distribuzione dell'onere è governata dalla legge e non è
nella disponibilità dell'INAIL, onde l'indicazione della circolare circa il
carattere sempre necessario dell'indagine ispettiva per le patologie in
questione non si traduce nell'attribuzione agli uffici di poteri diversi ed
ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge art.19 DPR 1124\1965.
IV.1.2. Il Tar erra pure laddove afferma che la malattie professionali non
tabellate possono essere indennizzate solo se causalmente ricollegate
all'esposizione al rischio specifico di una delle lavorazioni elencate ai fini
dell'individuazione dei soggetti tutelabili. Il Tar disconosce le conseguenze
del passaggio dal sistema tabellare chiuso al sistema aperto o misto di tutela
operato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.179 del 1998, per effetto
della quale è tutelabile qualsiasi malattia di cui sia provata la derivazione
eziologica dal lavoro, inteso nella sua più ampia accezione, fermo rimanendo il
riferimento al rischio specifico di una determinata lavorazione solo per la
malattie tabellate, per le quali vale la presunzione semplice di origine
professionale. La Cassazione, sent.15.2.2005, n.4005, ha ribadito che, per
effetto dell'introduzione del sistema misto, e quindi della tutelabilità di
malattie atipiche, purchè eziologicamente riconducibili al lavoro, è venuta
meno la differenza con l'istituto della causa di servizio.
V. 1.2. Tutto l'impianto argomentativo della sentenza è viziato dalla confusione
tra funzione di indennizzo sociale e funzione risarcitoria e da una conseguente
assimilazione tra mobbing e malattie non tabellate da costrittività
organizzativa. Nessuna interferenza può ravvisarsi tra la circolare, che
disciplina le modalità di trattazione delle denunce di malattie professionali
psichiche da costrittività organizzativa, ai fini dell'eventuale riconoscimento
del diritto all'indennizzo sociale, e le problematiche attenenti al diritto al
risarcimento da mobbing.
VI. 1.2. Erra il Tar circa la presunta contraddittorietà della previsione di
decentramento della trattazione delle denunce, pienamente conforme al modello
organizzativo dell'ente, interferendo la pronuncia sulle scelte organizzative
rimesse alla discrezionalità dell'ente, che, conclusa una fase di accentramento
finalizzata alla definizione di criteri istruttori uniformi, ha ricondotto alla
modalità ordinaria di trattazione anche le denunce delle patologie in questione.
VII.1.2. Dunque la circolare non ha effetto modificativo del regime legale delle
malattie professionali, contiene esclusivamente istruzioni operative alle unità
territoriali e, nell'ambito delle norme vigenti, ne assicura la corretta
applicazione senza incidere sulla loro portata.
Erra il Tar anche laddove assume apoditticamente la violazione di talune
indicazioni del Consiglio di indirizzo e vigilanza, essendo la circolare
espressione di mera attività di gestione, senza interferire sull'attività di
indirizzo politico-amministrativo che compete al CIV. Comunque la circolare è
stata preceduta dai lavori di un comitato scientifico istituito, allo scopo, dal
Consiglio di amministrazione con delibera 608\2001.
VIII.1.2. Il Tar nel rigettare il ricorso proposto avverso il DM 27 aprile 2004,
ha confermato la legittimità dell'inserimento delle malattie psichiche e
psicosomatiche da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro nella lista II, al
gruppo 7, quali malattie attualmente non tabellate, da osservare ai fini
dell'eventuale inserimento nell'elenco della tabellate. Tali patologie,
nonostante alcune differenze terminologiche, coincidono con quelle oggetto della
circolare. L'affermazione che una patologia, per poter essere indennizzata come
malattia professionale non tabellata, debba essere riconducibile al rischio
specifico di una determinata lavorazione, che costituisce il presupposto logico
dell'annullamento della circolare, oltre che infondata, è in insanabile
contrasto con la statuizione circa la legittimità del DM. e pregiudica
l'interesse dei lavoratori alla tempestiva trattazione della pratica relativa
alla domanda di indennizzo.
Si sono costituiti parte dei ricorrenti in primo grado, quali indicati in
epigrafe, deducendo l'infondatezza dell'appello e proponendo appello incidentale
sulla decisione di reiezione del gravame proposto avverso il DM 27 aprile 2004,
nella parte in cui inserisce il gruppo 7 "malattie psichiche e psicosomatiche da
disfunzioni dell'organizzazione del lavoro", deducendo i seguenti motivi:
I. Erra il Tar nel ritenere che la finalità di studio epidemiologico del DM
legittimerebbe l'inclusione in esso di malattie che, mai, quand'anche dimostrata
la loro eziologia professionale, potranno essere incluse nell'elenco delle
malattie indennizzabili. La disposizione dell'art.10 D.lgs.38\2000, fondante il
DM, stabilisce che l'inclusione tra le malattie "tabellate" debba conseguire a
studi finalizzati ad individuare nuove malattie ad origine certamente
professionale; la finalità di studio di realizza mediante attività di raccolta
di dati che discende dall'obbligo di segnalazione a carico dei medici dell'ASL e
dell'INAIL; le malattie in questione, inerendo all'organizzazione del lavoro, e
non allo svolgimento delle lavorazioni protette, non sono a priori suscettibili
di dare luogo ad indennizzo alcuno ad opera dell'INAIL; non v'è indennizzo, come
pure affermato dal Tar, se non per il rischio lavorativo specifico, cioè per la
derivazione dall'esercizio di una delle lavorazioni
di cui all'art.1 del DPR 30 giugno 1965, n.1124, e ciò, anche nel sistema misto,
cioè indipendentemente dalla inclusione della malattia nelle tabelle allegate
allo stesso DPR. Nulla osta che in adempimento dell'art.10 del D.lgs.38\2000,
l'INAIL disponga modalità tecniche di accertamento dell'eziologia professionale
di malattie diverse dal mobbing, causate dallo svolgimento delle lavorazioni
protette ex art.1 T.U.. Attuale risulta le lesione degli interessi della aziende
ricorrenti.
II. Erra il Tar nell'affermare che il DM attua il principio di precauzione,
poiché esso determina un oneroso sistema di controllo, imponendo obblighi di
segnalazione ai medici per il semplice sospetto di uno stato di disagio psichico
a violazione del dovere di sicurezza del datore di lavoro, pur nella totale
assenza di elementi di fatto che consentano di ritenere giustificato o
ragionevole il nesso causale tra malessere e lavoro.
III. Si lamenta l'omesso esame della censura di incompetenza assoluta del
Ministero del lavoro a proposito della definizione di malattie professionali,
rientrando tale attività in riserva assoluta di legge, avendo il Ministero,
sebbene sia ancora necessaria un'attività di studio, affermato che se occorrono
certe forme morbose e si accerta ad esempio un demansionamento, i due fatti sono
tra loro causalmente connessi, sicchè la prescrizione amministrativa individua
situazioni di danno riconducibili a responsabilità civile del datore, facoltà
che esula dalla potestà di organi diversi dal legislatore nazionale.
La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 27 gennaio 2009 onde è stata
trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
1. Va anzitutto disatteso il primo motivo di appello principale dell'INAIL con
cui si reitera l'eccezione di inammissibilità del ricorso avverso la circolare
n.71 del 17 dicembre 2003, sotto il profilo della carenza di interesse delle
associazioni e soggetti imprenditoriali ricorrenti in primo grado.
Il Tar non ha, invero, omesso di pronunziarsi sul punto, come dedotto nella
prima parte del motivo in esame, ma ha in sostanza ritenuto che la circolare
recava nel suo contenuto, contrariamente alla sua natura, delle "statuizioni",
nel senso di tendere alla modificazione dell'assetto delle malattie
indennizzabili.
La doglianza appellatoria aggiunge peraltro che ciò comunque non rende conto di
quale sia la lesione concreta ed attuale della sfera giuridica dei ricorrentiqui
(per una parte di essi) resistenti ed appellanti incidentaliattenendo l'oggetto
della circolare alle modalità di trattazione delle denunce di malattia
professionale non tabellata, con ciò incidendo al più sulla sfera giuridica dei
lavoratori e quindi sul riconoscimento del diritto di questi ultimi alle
prestazioni previdenziali.
1.1. Tuttavia, tale deduzione non appare tenere conto degli integrali riflessi
dell'atto impugnato, che, comunque, modifica, (come pure concede lo stesso
Istituto appellante), "l'assetto delle malattie indennizzabili", sicchè la
statuizione sul punto del Tar appare in linea di principio condivisibile,
sebbene vada meglio specificata e connotata.
Gli originari ricorrenti, infatti, già nel ricorso introduttivo, avevano
precisato che la circolare, con i suoi contenuti prescrittivi, "introduce de
facto una nuova categoria di malattia professionale non prevista nella fonte
sovraordinata e ciò ha fatto ledendo le prerogative partecipative all'attività
dell'INAIL della associazioni datoriali". In ogni modo, secondo gli originari
ricorrenti, prevedere, come fa la circolare, la indennizzabilità degli stati
patologici derivanti dalla "costrittività organizzativa", fa assurgere al rango
di malattia professionale tipizzata il c.d. "mobbing", esulando dalla natura
meramente ricognitiva ed esplicativa propria della circolare.
Prospettate in questi termini, deve ritenersi sussistente l'interesse ad agire
dei soggetti ricorrenti in primo grado, posto che la lesione lamentata consiste
appunto nell'ampliamento, allegato come illegittimo, dell'ambito delle malattie
professionali indennizzabili e ciò, in luce delle complessive censure dedotte,
anche al di là della loro assimilazione alle patologie "tabellate".
1.2. In proposito soccorre la pronuncia di questa Sezione 9 maggio 2002, n.2542,
(citata per la verità dall'INAIL a proprio sostegno), che ha evidenziato la
ipotizzabilità di un danno patrimoniale riveniente alle imprese proprio in
connessione all'aumento del tasso di premio conseguente alla ridefinizione del
rischio professionale. La stessa decisione ha sottolineato che tale premio,
gravante sulle imprese, si determina in base a dati statistici circa il rischio
medio su di esse gravante, e quindi, da un lato, tale interesse patrimoniale
potrebbe essere fatto valere da tutti i datori di lavoro esposti allo stesso
rischio, dall'altro, va aggiunto, è evidente che detto rischio avrebbe una
immediata consistenza maggiore ove fosse ampliato, in modo obiettivamente
rilevante, il novero delle malattie professionali indennizzabili.
Su tale ordine di argomentazioni si attesta d'altra parte, anche il ricorso di
primo grado laddove (pag.26) fa presente che la contribuzione, (ovvero i premi
dovuti dai datori di lavoro dall'INAIL), sono calcolati sulla base del rischio
medio nazionale per ogni singola lavorazione pericolosa, corretto dal c.d.
rischio ponderato, cioè dalla pericolosità della lavorazione in ogni singola
azienda".
1.3. L'interesse così definito, dunque, non è escluso dal principio di autonomia
del diritto alle prestazioni previdenziali, che impedisce soltanto, secondo le
stesse pronunce della Cassazione richiamate in appello, che il singolo datore
abbia interesse ad impugnare il capo di sentenza in cui viene affermato il
diritto del dipendente alla prestazione previdenziale, essendo certo
condivisibile che non possa ipotizzarsi un effetto dell'eventuale giudicato, in
ordine alla pretesa del lavoratore, sull'autonomo rapporto obbligatorio
intercorrente tra l'INAIL ed il singolo datore di lavoro (aspetto di carattere
processuale che, evidentemente, si colloca a valle rispetto ai riflessi sul
rischio professionale e sul corrispondente premio della determinazione in via
generale, sostanzialmente normativa, delle malattie indennizzabili).
2. Nell'ordine logico delle questioni da affrontare va poi esaminato il quarto
motivo di appello, censurante l'affermazione principale del capo di sentenza di
accoglimento in primo grado (e che in verità già in quella sede avrebbe avuto
carattere assorbente), implicante cioè autonomamente l'annullamento della
circolare impugnata; si ha riguardo alla statuizione che ha stabilito che anche
le malattie professionali "non tabellate" possono essere indennizzate soltanto
se causalmente ricollegate all'esposizione al "rischio specifico" di una delle
lavorazioni elencate dalla legge ai fini dell'individuazione dei soggetti
tutelabili o, più precisamente, dell'oggetto (ambito dell'attività lavorativa
protetta) della stessa assicurazione. Ed infatti, l'individuazione delle
lavorazioni in questione più che determinare i soggetti da assicurare, che sono
comunque, in linea di principio, i lavoratori dipendenti, conduce a
circoscrivere le situazioni di fatto "lavorative" considerate in sé
rischiose e dunque definisce l'oggetto naturale del rapporto assicurativo di
natura pubblicistica.
2.1. Il punto da trattare attiene quindi all'accoglimento relativo al quarto
motivo di ricorso di primo grado, in cui si deduceva che la soluzione apprestata
dalla circolare in ordine alla possibilità di intervento in materia di patologie
psichiche determinate dalle condizioni organizzativo\ambientali, non troverebbe
supporto nella sentenza della Corte costituzionale 18 febbraio 1988, n.179,
richiamata dalla circolare impugnata come fondamento di un interpretazione
aderente all'evoluzione delle forme di organizzazione dei processi produttivi.
La statuizione del Tar sul punto deve essere confermata.
2.2. Sostiene l'appello che tale pronuncia del giudice delle leggi avrebbe
introdotto un sistema c.d. "misto", che superando il sistema tabellare chiuso,
renderebbe tutelabile qualsiasi malattia di cui sia provata la derivazione
eziologica dal lavoro, fermo rimanendo il riferimento al rischio specifico di
una determinata lavorazione soltanto per le malattie "tabellate", cioè incluse
nell'elenco previsto dall'art.3 del DPR 30 giugno 1965, n.1124, per la quali
vige la presunzione semplice di origine professionale.
Tale assunto è in realtà infondato, dovendo condividersi l'affermazione del Tar
per cui, contrariamente ad esso, il sistema misto opera nel senso che la
malattia professionale è indennizzata, indipendentemente dalla sua inclusione
nelle tabelle allegate al DPR 30 giugno 1965, n.1124, se trova la sua
derivazione causale nell'esercizio di una delle lavorazioni di cui al precedente
art.1 dello stesso DPR, come appunto dedotto nel menzionato quarto motivo del
ricorso di primo grado.
2.3. Va cioè condivisa la censura dedotta in prime cure, per cui l'art.1 del
cit. DPR n.1124\1965 ha condizionato l'intervento dell'assicurazione
obbligatoria per le malattie professionali, anche non tabellate, alla
sussistenza di un "rischio specifico" (e non già comune), cui è esposto il
lavoratore addetto a determinare lavorazioni, presuntivamente e preventivamente
valutate pericolose dal legislatore stesso, mediante, appunto, l'espressa
previsione delle "attività protette" di cui allo stesso art.1.
Al riguardo va notato che l'affermazione giurisprudenziale, richiamata
dall'Istituto appellante, della progressiva assimilabilità alla "causa di
servizio", cioè al sistema di tutela delle patologie professionali insorgenti
nell'ambito del pubblico impiego, dell'attuale indennizzabilità delle malattie
professionali non tabellate, (conseguente al predetto sistema misto), è una
logica implicazione, con riguardo al profilo della non più sussistente tipicità
delle conseguenze sanitarie (lesione dell'integrità psico-fisica) rilevanti nel
sistema assicurativo in discorso; ma detto indirizzo giurisprudenziale non
risulta aver del pari espressamente affermato il superamento del sistema legale
di determinazione dell'oggetto del rapporto assicurativo derivante dalla
individuazione delle lavorazioni "a rischio", operata, d'altra parte, mediante
una clausola aperta, riferita cioè ad attività complementari e sussidiarie a
quelle elencate dallo stesso art.1 del DPR n.1124\1965 (cfr; Cass,
Sez Lav, 25 febbraio 2005, n.4005, che pur riconoscendo una certa connessione
sotto il profilo del nesso causale, ribadisce espressamente la "autonomia dei
due istituti" e, comunque, non affronta, neppure per implicito, il problema qui
in rilievo della predeterminazione legale dell'oggetto del rapporto).
Dunque, il criterio determinativo del rischio rimane pur sempre connesso alla
enucleabilità di un segmento del ciclo produttivo e non anche ad una fase
dell'iniziativa imprenditoriale che costituisce il presupposto immanente e
generale dell'intera attività produttiva, qual è l'organizzazione del lavoro, la
quale, quindi, rimane concettualmente disomogenea rispetto all'attuale criterio
legale di determinazione del rischio e, dunque, al di fuori della possibilità di
integrazione analogica consentita dal criterio di cui al citato art.1, pur
assunto nell'interezza delle sue previsioni.
La conclusione ora riferita obiettivamente esclude, in quanto non rientrante
nell'elencazione di cui all'art.1 DPR n.1124\1965, la generalizzata rilevanza
delle malattie psichiche "riconducibili all'organizzazione aziendale delle
attività lavorative", quale categoria di rischio assunta nella sua globalità,
prevista dalla impugnata circolare; ciò trova peraltro conferma nella stessa
invocata sentenza n.179 del 1988 della Corte costituzionale. Questa ha bensì
postulato, in adeguamento al precetto di cui all'art.38 Cost., "l'aggiornamento
con adeguata frequenza degli elenchi delle malattie tipiche" nonché "anche e
soprattutto il riconoscimento che il sistema tabellare ora in vigore si pone in
contrasto con lo stesso precetto costituzionale..., in quanto, in aggiunta alla
previsione tabellare non consente (nell'ambito delle attività protette
industriali e agricole di cui rispettivamente agli artt. 1, 206, 207 e 208 del
DPR n.1124 del 1965) l'indagine sull'eziologia professionale
delle malattie indipendentemente dagli elenchi stabiliti e dai tempi della
manifestazione morbosa richiesti dalla legge" (cfr; punto 7, par.1 sent.cit.;
sottolineatura aggiunta).
2.4. L'inciso così esplicitato dalla Corte rende conto di come il sistema
"misto", introdotto per via di decisione manipolatrice (caducante "nella parte
in cui...") del distinto art.3 del DPR n.1124 del 1965, non sia il risultato di
un'immutazione coinvolgente l'art.1, per quanto qui interessa, di cui ha invece
serbato la capacità delimitatrice dell'oggetto del sistema assicurativo, avendo
cioè il decisum costituzionale riguardato solo la caducazione del principio
della tipicità tabellare.
La Corte non ha perciò intaccato il presupposto normativo per cui la malattia
professionale indennizzabile risulta collegata ad un obbligo di assicurazione
che si giustifica in ragione dell'esecuzione, da parte dei lavoratori "addetti",
degli specifici "lavori" previsti dall'elenco di cui allo stesso art.1 comma 3,
(e dai successivi commi relativi ai lavori "complementari e sussidiari"),
previsione che definisce il "rischio specifico" oggetto dell'assicurazione, dal
quale esula la generica categoria della "costrittività organizzativa" prevista
dalla circolare impugnata.
La possibilità di estendere l'ambito del rischio assicurato, e quindi la stessa
ascrivibilità alle prestazioni previdenziali delle malattie professionali
collegate alla generale "organizzazione aziendale delle attività lavorative",
richiamata dalla circolare medesima, richiede allo stato l'intervento del
legislatore, che riformuli in senso ampliativo lo stesso art.1, ma non può
essere compiuto mediante una circolare interpretativa dissonante, tra l'altro,
dalla stessa sentenza della Corte costituzionale che la circolare assume a
proprio fondamento.
2.5. La reiezione dell'appello sul punto ora trattato, determinante la conferma
dell'accoglimento del quarto motivo del ricorso di primo grado, comporta la
caducazione della circolare impugnata nella sua interezza e fa ritenere
assorbibili gli ulteriori motivi di appello, atteso che, anche in caso di loro
positiva delibazione, la circolare medesima non potrebbe rivivere, difettando
perciò un concreto interesse al loro accoglimento.
3. Alla stregua delle considerazioni che precedono va invece accolto l'appello
incidentale, proposto dagli attuali resistenti, relativo al capo di sentenza con
cui è stato respinto il ricorso avente ad oggetto la richiesta di annullamento
del decreto del Ministero del lavoro 27 aprile 2004, relativo all'individuazione
delle "malattie per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi e per gli
effetti dell'art.139 del DPR 30 giugno 1965, n.1124", nella parte in cui,
approvando la lista II, contenente "le malattie la cui origine lavorativa è di
limitata probabilità", vi ha inserito il gruppo 7 "malattie psicosomatiche da
disfunzioni dell'organizzazione del lavoro".
In effetti, come dedotto nel primo motivo di appello incidentale, tali malattie,
inerendo per definizione alla "organizzazione del lavoro", e non connettendosi
al presupposto legale del "rischio specifico", costituito dall'essere addetti
alle "lavorazioni protette", elencate nel già citato art.1 del DPR n.1124\1965,
per gli stessi motivi dianzi illustrati, non risultano a priori suscettibili di
dare luogo ad indennizzo.
Ne discende, come appunto dedotto nel motivo di gravame incidentale in esame,
che le stesse patologie, in quanto caratterizzate da tale eziologia legata non
all'esecuzione della lavorazioni protette ma al fattore
"ambientale-organizzativo", non sono legittimamente inseribili, neppure in
prospettiva, allo stato della legislazione vigente, tra le malattie di cui alla
tabella costantemente aggiornata ai sensi dell'art.3 del citato DPR,
aggiornamento a cui è volto il potere esercitato con il DM impugnato ai sensi
dell'art.10 del D.lgs. 23 febbraio 2000, n.38.
In conclusione, l'appello principale va respinto, nei sensi di cui alla
motivazione che precede, mentre va accolto l'appello incidentale, annullandosi
"in parte qua" il decreto impugnato con il ricorso di primo grado n.9497\2004
RG.
L'incertezza normativa della materia giustifica l'integrale compensazione delle
spese per entrambi i gradi di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il
ricorso in appello indicato in epigrafe, accoglie l'appello incidentale,
riformando in parte, per l'effetto, la sentenza impugnata.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 27.1.2009 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
- Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Giuseppe Barbagallo Presidente
Luciano Barra Caracciolo Consigliere est.
Domenico Cafini Consigliere
Maurizio Meschino Consigliere
Roberto Chieppa Consigliere