CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAVORO -
26 marzo 2010, n.7382. In tema di
mobbing.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso la società omissis s.r.l. denuncia
violazione dell’art. 2087 c.c. e vizi di motivazione e censura la
sentenza impugnata per aver ravvisato un grave inadempimento
contrattuale da pare del datore di lavoro ed una situazione di mobbing
ai danni del C. produttiva di danni alla persona. Sostiene la ricorrente
che la Corte territoriale non ha chiarito cosa debba intendersi per
mobbing né ha chiarito quali sono state le concrete violazioni
asseritamente poste in essere dalla omissis s.r.l. ai danni del C. e
riconducibili a tale figura di inadempimento contrattuale.
Con il secondo motivo, denunciando omessa e contraddittoria motivazione,
la ricorrente sostiene che la Corte territoriale non ha assolutamente
spiegato quali sono i ripetuti comportamenti di mobbing posti in essere
dal datore di lavoro, né da quali elementi probatori abbia tratto il
convincimento di un intento persecutorio della società. Non
costituiscono infatti comportamenti illeciti né il rimprovero subito nel
omissis da parte del direttore dello stabilimento per una errata
manovra, né la saltuaria assegnazione del C. ai forni dello stabilimento
di laterizi; la Corte peraltro non poteva ignorare i favori ricevuti dal
C. dall’azienda, quali la concessione in comodato gratuito di un
appartamento e di un locale adibito dal lavoratore a falegnameria, né il
comportamento del lavoratore che si rifiutava di svolgere i compiti a
lui non graditi.
Con il terzo motivo la società denuncia violazione dell’art. 3 della
legge n. 604/1966 e vizi di motivazione e censura la sentenza impugnata
per aver escluso l’esistenza del giustificato motivo oggettivo di
licenziamento invocato dal datore di lavoro e l’impossibilità di adibire
il lavoratore allo svolgimento di mansioni analoghe. Sostiene la
ricorrente di aver provato in giudizio sia l’esigenza di riassetto
organizzativo atto a fronteggiare il perdurante andamento negativo del
mercato, sia l’impossibilità di adibire il C. a mansioni equivalenti.
Tali prove, non valutate dalla Corte torinese, sono date dal bilancio
dell’anno omissis, dal quale risulta una consistente perdita di
esercizio, e dal libro matricola, dal quale si ricava che la società non
ha rinnovato i contratti di lavoro in scadenza e non ha assunto altri
dipendenti per sostituire i dimissionari, fino alla cessazione
dell’attività avvenuta nel omissis.
Con il quarto motivo di ricorso, denunciando violazione del principio di
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e violazione dell’art.
1917 c.c., nonché omessa motivazione, la società censura la sentenza
impugnata nella parte in cui ha qualificato come “doloso” il
comportamento del suo legale rappresentante ed ha escluso
l’applicabilità del contratto di assicurazione per i danni per malattia
professionale e biologici subiti dai dipendenti, respingendo la domanda
di manleva avanzata nei confronti della Fondiaria SAI. Osserva la
ricorrente che il C. aveva lamentato un comportamento persecutorio
tenuto, non già dal legale rappresentante della società, bensì dal
direttore dello stabilimento, sicché nel corso dei due giudizi di merito
il comportamento del legale rappresentante non era mai venuto in
considerazione. Rileva altresì che la Corte territoriale non ha affatto
spiegato sulla base di quali elementi probatori abbia tratto il
convincimento del “dolo” del legale rappresentante. Rileva che a norma
dell’art. 1917 c.c. la garanzia assicurativa si estende anche ai danni
recati dall’assicurato a terzi per fatto colposo.
I primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per la loro
connessione, sono infondati.
Questa Corte ha già avuto modo di precisare che per mobbing,
riconducibile alla violazione degli obblighi derivanti al datore di
lavoro dall’art. 2087 c.c., deve intendersi una condotta nei confronti
del lavoratore tenuta dal datore di lavoro, o del dirigente, protratta
nel tempo e consistente in reiterati comportamenti ostili che assumono
la forma di discriminazione o di persecuzione psicologica da cui
consegue la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente
nell’ambiente di lavoro, con effetti lesivi dell’equilibrio
fisiopsichico e della personalità del medesimo. È stato quindi precisato
che ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di
lavoro sono rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere
persecutorio posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il
dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o
della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta
del datore o del dirigente e il pregiudizio all’integrità psico-fisica
del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento
persecutorio. È stato infine ritenuto che la valutazione degli elementi
di fatto emersi nel corso del giudizio, ai fini dell’accertamento della
sussistenza del mobbing e della derivazione causale da detto
comportamento illecito del datore di lavoro di danni alla salute del
lavoratore, costituisce apprezzamento di fatto riservato in via
esclusiva al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità
se adeguatamente e correttamente motivato (cfr. Cass. n. 3785/2009, n.
22893/2008, n. 22858/2008).
Nella specie la Corte territoriale ha tenuto correttamente presenti gli
elementi costitutivi della figura del mobbing, come delineati dalla
giurisprudenza, né dal motivo di ricorso è dato comprendere sotto quale
profilo il giudizio della Corte si sia allontanato dalla fattispecie
astratta delineata dall’elaborazione giurisprudenziale, sicché la
censura di violazione dell’art. 2087 c.c. si rivela destituita di
fondamento.
Quanto poi al concreto apprezzamento dei fatti emersi nel corso del
giudizio, va osservato che la Corte territoriale ha dato compiuta
ragione della sua decisione partendo da un attento esame di tutte le
testimonianze raccolte, valutate sia nel loro complesso che
singolarmente. Il giudice di appello, sulla scorta delle varie
testimonianze, è pervenuto al convincimento che il C., a partire dal
omissis, fu preso di mira dal direttore dello stabilimento e fatto
oggetto di continui insulti e rimproveri, umiliato e ridicolizzato
avanti ai colleghi di lavoro, adibito sempre più spesso ai lavori più
gravosi (addetto ai forni) rispetto a quelli svolti in passato (addetto
alla pulizia degli uffici), nella indifferenza, tolleranza e complicità
del legale rappresentate della società. In questa complessiva
valutazione negativa del comportamento datoriale non ha inciso in senso
limitativo o riduttivo la circostanza, non ignorata dal giudice di
appello, che al C. dalla società fosse stato concesso in comodato un
appartamento. In definitiva deve ritenersi che la Corte di Appello abbia
correttamente valutato tutti gli elementi probatori acquisiti ed abbia
motivato in modo ampio e privo di contraddizioni e vizi logici il
proprio giudizio, con la conseguenza che le valutazioni del giudice di
appello, risolvendosi in apprezzamenti di fatto, non sono suscettibili
di riesame in sede di legittimità.
Infondato è anche il terzo motivo di ricorso. La Corte di Appello ha
osservato che la società non aveva provato la riduzione della produzione
ed il riassetto organizzativo che aveva posto a base del licenziamento
del C.. Ha rilevato, anzi, che le testimonianze raccolte inducevano a
ritenere che nell’anno del licenziamento la crisi del settore edilizio
era ormai superata, tanto che la società aveva assunto un altro operaio
da adibire ai forni. Ma soprattutto il giudice di appello ha rilevato
che la società non aveva in alcun modo provato di non poter utilizzare
il C. all’interno dell’azienda in mansioni equivalenti, tenuto conto in
particolare del fatto che il lavoratore, come riferito dai testi, era in
grado di lavorare su tutte le macchine di produzione e di svolgere anche
lavori di manutenzione degli impianti. Il mancato assolvimento
dell’obbligo di repéchage, in ordine al quale la società non deduce
specifiche censure, costituisce autonoma ragione di illegittimità del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo ed è di per sé
sufficiente a giustificare la conferma della pronuncia dei giudici di
merito.
Infondato, infine, è anche il quarto motivo di ricorso.
La società lamenta in primo luogo che il giudice di appello avrebbe
qualificato come “doloso” il comportamento del legale rappresentante
benché il C. non avesse mai allegato e provato un siffatto atteggiamento
psicologico del datore di lavoro. La censura è priva di fondamento ove
si consideri che nella specie si discute del rapporto assicurativo
intercorso tra la omissis s.r.l. e la Fondiaria, per cui non ha senso
lamentare una violazione del principio di corrispondenza ex art. 112
c.p.c. con riferimento ad una domanda di accertamento della
illegittimità del licenziamento e di risarcimento danni posta da altro
soggetto in relazione a diverso rapporto giuridico.
La società lamenta in secondo luogo che il giudice di appello ha
erroneamente escluso la garanzia assicurativa benché mancasse del tutto
la prova che l’evento dannoso fosse conseguenza del comportamento doloso
del rappresentante della società. La censura è priva di fondamento.
Nella specie, come si evince dalla clausola contrattuale trascritta in
memoria dalla compagnia, si tratta di polizza di assicurazione per la
responsabilità civile della società verso i propri dipendenti per
infortuni sul lavoro derivanti da fatti commessi dall’assicurato o da
suoi dipendenti. Trattasi dunque di contratto di assicurazione stipulato
a norma dell’art. 1917 c.c., per il quale opera la disposizione di cui
al primo comma della norma citata, secondo cui dalla copertura
assicurativa “sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi”. A
quest’ultima disposizione ha fatto espresso riferimento la Corte di
Appello per respingere la domanda di garanzia avanzata dalla omissis
s.r.l. nei confronti della Fondiaria.
La Corte territoriale ha rilevato che dal materiale probatorio emergeva
incontestabilmente anche il dolo del sig. F. G., amministratore unico
della società omonima. A giudizio della Corte, che ha richiamato le
testimonianze di tali Gr., B., Gu. e Bo., è risultato provato che lo
stesso F. G. fu sempre consapevole dei comportamenti aggressivi e
vessatori tenuti dal L. nei confronti del C. e che tollerò e assecondò
detti comportamenti senza far nulla per farli cessare, cosi accettando
consapevolmente il rischio che da tali comportamenti illeciti potessero
derivare conseguenze dannose a carico dei dipendenti. Questa valutazione
delle suddette testimonianze non ha formato oggetto di alcuna censura da
parte dell’attuale ricorrente sotto il profilo di eventuali vizi logici
o incongruenze del ragionamento del giudice, essendosi limitato il
ricorrente a lamentare la mancanza di prove del dolo, in insostenibile
contrasto con quanto affermato nella sentenza impugnata.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto con conseguente condanna
della omissis s.r.l. al pagamento in favore di @@@@@@@ e della Fondiaria
Sai s.p.a. delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in
dispositivo. Delle spese liquidate in favore del sig. C. va disposta la
distrazione all’avv. @@@@@@@ che si è dichiarato anticipatario.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, liquidate in euro 45,00 per esborsi ed in
euro tremila per onorari in favore di ciascuna parte resistente, con
distrazione in favore dell’avv. @@@@@@@ delle spese liquidate al
resistente @@@@@@@.