N. 527/2008

Reg. Dec.

N. 3514 Reg. Ric.

Anno 2005 
 

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

     sul ricorso n. 3514 del 2005, proposto dal Ministero della giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliato ex lege, in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,

c o n t r o

     @@@@@@@@@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato difeso dagli avv. -

PER L’ANNULLAMENTO

     della sentenza del TAR Lazio - Sezione I, 7 febbraio 2007, n. 1086;

     Visto l‘appello con i relativi allegati;

     Visto l’atto di costituzione in giudizio @@@@@@@appellato.

     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese.

     Visti gli atti tutti della causa;

     Alla pubblica udienza del 16 ottobre 2007, relatore il Consigliere

      Uditi l’avv. dello Stato

     Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

F A T T O

     Con nota 46/RIS del 2 novembre 1998, la Direzione della Casa Circondariale di @@@@@@@ informava la locale Procura della Repubblica, nonché il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, in ordine a "comportamenti anomali posti in essere da alcuni appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria" ivi in servizio. In particolare; la relazione riservata n. 27.98 metteva in luce fatti di sesso e droga, commessi in luoghi all'interno dell'Istituto, da appartenenti al Corpo.

     Pertanto, in data 24 novembre 1998, nei confronti del sig. @@@@@@@ @@@@@@@, impiegato con la qualifica di Agente Scelto nel Corpo di Polizia Penitenziaria dello Stato, veniva avviato procedimento disciplinare con la contestazione delle infrazioni ex artt. 6, comma 2, lett. A e 5, comma 3, lett. F, del D.Lgs. 30 ottobre 1992, n. 449, concretizzatesi in comportamenti contrari al senso morale e @@@@@@@onore, in quanto si era appartato in caserma per compiere atti sessuali completi, nell’uso a scopo non terapeutico di sostanze stupefacenti, e nella frequentazione di persone dedite ad attività illecite. L'inchiesta veniva poi sospesa, in data 4 maggio 1999, dal Ministero di Grazia e Giustizia ai sensi dell'art. 9 D. Lgs. 30 ottobre 1992, n. 449, essendo stato accertato che, presso la Procura perugina pendeva, nella fase delle indagini preliminari, procedimento penale per gli stessi fatti.

     In data 7 maggio 2002, conclusasi la vicenda penale a carico dell'appellato, il procedimento disciplinare veniva ripreso e il Consiglio Centrale di Disciplina deliberava, in ottemperanza al disposto dell'art. 17 D. L.gs. 30 ottobre 1992, n. 449, e decideva di proporre al Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, l'irrogazione della sanzione della destituzione dal servizio ex art. 6, comma 2, lett. A, sanzione che veniva inflitta dal Capo Dipartimento con decreto 8 agosto 2002, n 0182296/32352, con il definitivo allontanamento dal Corpo del @@@@@@@.

     Contro la predetta sanzione l’interessato proponeva ricorso al TAR del Lazio, deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere in quanto:

     a). i fatti commessi, come emersi dalle risultanze istruttorie, non sarebbero così gravi da essere puniti con la destituzione;

     b). analoghi comportamenti posti in essere da colleghi non sarebbero stati oggetto della sanzione massima a lui inflitta;

     c). il Tribunale di @@@@@@@ ha disposto in merito a tali vicende l’archiviazione e questo dato deve essere considerato dall’amministrazione, sia pure nel libero esercizio del suo potere di valutazione;

     d). comunque il comportamento di cui sarebbe responsabile avrebbe dovuto portare all’applicazione della sanzione della sospensione dal servizio ex art. 5, comma 3, lett. f) del menzionato D. Lgs 30 ottobre 1992, n. 449.

     Il ricorrente deduceva ancora l’illegittimità della sanzione per difetto di motivazione e per contraddittorietà interna del procedimento disciplinare.

     L'amministrazione intimata resisteva al ricorso, deducendone l’infondatezza.

     Il TAR accoglieva il ricorso con la sentenza in epigrafe specificata, contro la quale il Ministero ha proposto il presente appello, chiedendone l’integrale riforma.

     L’originario ricorrente si è costituito in questo grado del giudizio, replicando alle argomentazioni poste a base del gravame e riproponendo le censure dedotte con l’atto introduttivo e non esaminate dal primo giudice.

     L’appellato ha ulteriormente illustrato la propria tesi difensiva con apposite memorie e l’appello è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 16 ottobre 2007.

D I R I T T O

     1. Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso per la riconosciuta fondatezza della censura di eccesso di potere per illogicità e difetto di motivazione e per la violazione degli articoli 5 e 6 del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 449.

     Dopo avere ricordato che le infrazioni contestate erano state individuate nell’uso non terapeutico di sostanze stupefacenti, nella frequentazione di persone dedite ad attività illecite, nel cumulo di infrazioni relative all’uso di sostanze stupefacenti, e nel compimento di atti che rivelano mancanza del senso @@@@@@@onore e della morale consistenti nell’essersi appartato in caserma per compiere atti sessuali completi, il TAR, aderendo alla tesi del ricorrente, ha ritenuto che, nella specie, non sussistessero i presupposti della sanzione delineati nell'art. 6, comma 2, lett. a), del D. Lgs 30 ottobre 1992, n. 449 ("atti che rivelino mancanza del senso @@@@@@@onore o del senso morale").

     Ad avviso del primo giudice, infatti, il comportamento @@@@@@@inquisito, poteva, al massimo, integrare le infrazioni disciplinari di cui all’art. 5, comma 3, lett. e) e f) (assidua frequenza, senza necessità di servizio, di persone dedite ad attività illecite o di pregiudicati; uso non terapeutico di sostanze stupefacenti) per le quali è prevista la sanzione della sospensione dal servizio.

     A tale esito il TAR è pervenuto, osservando che l’art. 6, comma 2, citato, interpretato secondo un criterio di ragionevolezza, impone che i comportamenti previsti abbiano le caratteristiche della gravità e @@@@@@@idoneità ad arrecare un serio pregiudizio allo svolgimento della funzioni carcerarie.

     La norma in parola, difatti, proprio per la sua genericità, non può essere interpretata come clausola generale in cui l’amministrazione inserisca qualsiasi comportamento ritenga meritevole della sanzione della destituzione, senza vincoli o criteri che la regolino, almeno sotto i ricordati profili della gravità e della rilevanza dello stesso nella vita della casa circondariale in cui opera l’incolpato.

     E ciò tanto più ove si consideri che la destituzione costituisce la sanzione massima inflitta dall’amministrazione, con conseguenze irreversibili in tema di prosecuzione del rapporto di lavoro: pertanto, i suoi presupposti non possono che riguardare fatti e vicende di estrema gravità.

     In tale contesto interpretativo, il primo giudice ha escluso che i comportamenti ascritti al ricorrente integrino gli estremi degli “atti che rivelino mancanza del senso @@@@@@@onore o del senso morale” che costituiscono il presupposto della sanzione della destituzione dal servizio.

     Nel caso di specie, le infrazioni relative all’uso non terapeutico di sostanze stupefacenti e all’assidua frequenza di persone dedite ad attività illecite sono le ipotesi contemplate dalle lettere e) e f) @@@@@@@articolo 5, del decreto n. 449 del 1992, per le quali è prevista la sospensione facoltativa dal servizio. Dette infrazioni integrano fattispecie disciplinari specifiche e, anche se cumulate con il contestato comportamento contrario al senso morale e all’onore (comportamenti sessuali intrattenuti, illecitamente, all’interno della caserma), non potrebbero giustificare, contrariamente a quanto ritenuto dall’amministrazione, la grave sanzione espulsiva. Quella attinente il comportamento sessuale, difatti, costituisce infrazione che, anche se biasimevole da un punto di vista morale, non appare idonea, neanche se cumulata con le altre, a sorreggere la sanzione irrogata.

     Ad avvalorare la conclusione che, nella fattispecie, l’amministrazione ha forzato la lettera della norma, vi sarebbe il richiamo, nel secondo “considerato”, che “nel caso di uso di sostanze stupefacenti… l’esercizio del potere disciplinare non può mancare come monito nei confronti del restante personale…”: ciò che dimostrerebbe un uso illegittimo del potere medesimo, non essendo accettabile l’utilizzo della destituzione, in quanto sanzione più affittiva, come deterrente per gli altri dipendenti che sarebbero, quindi, dissuasi dal compiere atti analoghi a quelli puniti, poiché, in tale caso si avrebbe la violazione dei principi di proporzione della sanzione.

     Pertanto, pur riconoscendo la sussistenza del potere discrezionale @@@@@@@amministrazione in materia disciplinare, con conseguente facoltà di una diversa e autonoma valutazione della fattispecie rispetto a quella emersa in sede penale, e della sua rilevanza concreta nell’organizzazione dei singoli uffici, il TAR ha, tuttavia, ritenuto fondate le doglianze di illegittimità del provvedimento impugnato per violazione di legge ed eccesso di potere.

     2. Le conclusioni del giudice di primo grado non possono essere condivise, perché muovono da una non corretta interpretazione ed applicazione della normativa di riferimento.

     Com’è ampiamente noto, secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza amministrativa, la valutazione della gravità di un comportamento ai fini disciplinari e la proporzione tra la sanzione disciplinare irrogata e la gravità dei fatti contestati, rientrano nel discrezionale apprezzamento @@@@@@@amministrazione, suscettibile di sindacato di legittimità solo per macroscopici vizi logici che nella specie non sussistono (cfr., Sez. IV, 25 maggio 2005 n. 2705; 15 maggio 2003 n. 2624).

     Nel procedimento disciplinare, infatti, il giudizio si svolge con una larga discrezionalità da parte dell'Amministrazione in ordine al convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e della conseguente sanzione da irrogare, né il giudice amministrativo può sostituirsi agli organi dell' Amministrazione nella valutazione dei fatti contestati se non nei limiti in cui la valutazione stessa contenga un travisamento dei fatti, oppure il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente (Sez. IV, 11 marzo 2003 n. 1319).

     Nella fattispecie in esame il provvedimento impugnato appare pienamente rispondente ai principi appena indicati.

     Viceversa, la sentenza impugnata si pone in chiaro contrasto con i principi prima richiamati, laddove afferma, erroneamente, che i comportamenti contestati al ricorrente non sarebbero connotati dai requisiti della gravità e @@@@@@@idoneità ad arrecare un serio pregiudizio allo svolgimento della funzioni carcerarie, e, soprattutto, che lo stesso contestato comportamento sessuale, anche se biasimevole da un punto di vista morale, non appare idoneo, neppure se valutato complessivamente con le altre due, a giustificare la destituzione.

     Si tratta di affermazione che, all’evidenza, esorbita dai limiti del sindacato di legittimità consentito al giudice amministrativo ed invade la sfera di discrezionalità propria @@@@@@@amministrazione.

     Ed, invero, posto che il giudizio di gravità di una sanzione disciplinare è direttamente correlato alla qualità @@@@@@@interessato, non può revocarsi in dubbio che una tale qualità rivesta il comportamento di un agente del Corpo di polizia penitenziaria, istituzionalmente preposto alla tutela @@@@@@@ordine, il quale faccia uso non terapeutico di sostanze stupefacenti, si accompagni con una frequenza assidua a persone dedite ad attività illecite, intrattenga illecitamente all’interno della caserma rapporti sessuali con persona addetta alle pulizie, rivelando in tal modo una consistente mancanza di senso @@@@@@@onore e di senso morale. Gravità questa che appare ancor più deplorevole, ove si tenga conto che l’inquisito svolge la propria attività all’interno di una casa circondariale, in ambiente, cioè, nel quale si registra la presenza di un gran numero di detenuti ristretti per reati connessi all’uso di sostanze stupefacenti, nei confronti dei quali l’agente è istituzionalmente chiamato a svolgere un servizio non di semplice custodia ma di partecipazione alla rieducazione ed al recupero.

     La vicenda di cui il @@@@@@@@@@@@@@ si è reso protagonista, avuto riguardo alle modalità di tempo e di luogo in cui è maturata e si è sviluppata, rileva non solo la mancanza del senso @@@@@@@onore e del senso morale ma dimostra anche la dolosa violazione dei doveri istituzionali, con grave pregiudizio all’amministrazione di appartenenza, per cui la riscontrata mancanza di affidamento sulle doti morali e caratteriali @@@@@@@agente, che sostanzialmente sono alla base della destituzione, non appare censurabile.

      Come emerge dall’esame della documentazione agli atti, tali fatti, contrariamente a quanto sostiene l’originario ricorrente, risultano ampiamente provati, posto che, oltre alla stessa ammissione @@@@@@@inquisito per quanto attiene all’uso di sostanze stupefacenti, essi sono stati confermati dalle dichiarazioni rese dalle signore --e dai colleghi ----

     Né può sostenersi che il provvedimento di destituzione manca di motivazione, in quanto la formula adottata sarebbe pedissequa ripetizione del testo della norma applicata (art.6, comma 2, del  d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 449), precludendo in  tal modo di comprendere perché i fatti addebitati fossero tali da non consentire neppure la prosecuzione del rapporto di servizio.

     In realtà, basta la semplice lettura del decreto di destituzione per rendersi conto che il medesimo, oltre ad essere motivato mediante rinvio al contenuto  della deliberazione del Consiglio Centrale di disciplina del 2 luglio 2002, elenca i fatti ascritti al @@@@@@@@@@@@@@ e indica le ragioni in base alle quali i fatti contestati si pongono in gravissimo contrasto con i doveri derivanti dalla qualifica rivestita di Agente del Corpo di polizia penitenziaria  e di agente di P.G. e di P.S., sono chiaramente lesivi  del prestigio del Corpo, nonchè di grave pregiudizio nell’assolvimento dei compiti istituzionali e, quindi, comportano l’inaffidabilità d’impiego nei servizi d’istituto e costituiscono, in ultima analisi, un insuperabile ostacolo al suo mantenimento in servizio.

     Le conclusioni raggiunte dimostrano, come esattamente osserva l’amministrazione, l’ininfluenza @@@@@@@affermazione del TAR, secondo cui la formula utilizzata dall’art. 6, comma 2, lett. a) del D. Lgs n. 449 del 1992, è generica e poco rispondente ai principi di legalità e tassatività che regolano la materia delle sanzioni disciplinari.

     Al contrario, la formulazione generica della norma in parola è evidentemente finalizzata a riconoscere all’amministrazione un ampio potere discrezionale, e, tuttavia, come è stato riconosciuto con l’identica formula utilizzata per la destituzione degli impiegati civili dello Stato, dall' art. 84, lett. a ) del T.U. 10 gennaio 1957 n. 3, tale potere discrezionale ai fini dell' irrogazione della misura sanzionatoria estintiva del rapporto d' impiego, non vanifica nè il diritto di difesa dell' inquisito né il sindacato giurisdizionale, essendosi rilevato in primo luogo che i doveri di condotta, sanciti a carico dei dipendenti pubblici, costituiscono un parametro per le valutazioni dell'Amministrazione che esclude la possibilità di valutazioni arbitrarie da parte della stessa e che, comunque, a fronte dei provvedimenti applicativi della norma in argomento, il dipendente non è privo di tutela giurisdizionale, poiché la scelta discrezionale dell' Amministrazione può sempre formare oggetto di sindacato dinanzi al giudice amministrativo. 

     Le considerazioni che precedono dimostrano, infine, la infondatezza delle censure sollevate dall’inquisito con l’atto introduttivo del giudizio  e la piena conformità alla normativa del provvedimento impugnato.

     In particolare, è da escludere che, in considerazione del fatto che le prime due infrazioni sono configurate dall’art. 5, comma 3, del D. Lgs n. 449 del 1992 come ipotesi di sospensione dal servizio, l’amministrazione abbia operato con la terza infrazione contestata un’illegittima estensione della norma di cui al menzionato art. 6, comma 2, lett. a), includendo fattispecie disciplinari varie ed eterogenee.

     Si sono, invero, ampiamente chiarite le ragioni che inducono a ritenere il comportamento @@@@@@@amministrazione immune dai vizi denunziati e ciò, senza considerare che anche l’uso di sostanze stupefacenti può essere assunto, avuto riguardo alle modalità di tempo e di luogo in cui la vicenda si inserisce, a base della destituzione.

     Nel caso di specie, i fatti contestati risultano ampiamente provati  e l’amministrazione ha adeguatamente motivato sulle ragioni in base alle quali il comportamento mantenuto dal ricorrente nella sua qualità di agente del Corpo della polizia penitenziaria è stato ritenuto incompatibile con quelle funzioni, facendo venir meno, secondo una valutazione discrezionale propria @@@@@@@Amministrazione, il necessario rapporto di fiducia che deve sempre permanere tra l’Amministrazione ed i suoi dipendenti.

      Non sussiste, pertanto, l’asserita illegittimità per mancata applicazione @@@@@@@art. 5, comma 3, lett. e) ed f) e per errata interpretazione @@@@@@@art. 6, comma 2, lett. a) del più volte citato D. Lgs 30 ottobre 1992, n. 449.

      Né sussiste contraddittorietà tra contestazione e provvedimento sanzionatorio finale, posto che il provvedimento impugnato, oltre a contenere una chiara e diffusa motivazione, si richiama esplicitamente anche al contenuto del procedimento disciplinare ed alla ricostruzione emersa in sede di Commissione di Disciplina.

      Né vale invocare la circostanza che il procedimento penale instauratosi si è concluso con l’archiviazione, essendo ben noto che l’amministrazione conserva il potere di procedere in sede disciplinare e sottoporre gli stessi fatti ad un' autonoma valutazione

     Infine, nessun rilievo assume ai fini della legittimità del provvedimento impugnato, l’affermazione in esso contenuta, secondo cui “nel caso di uso di sostanze stupefacenti… l’esercizio del potere disciplinare non può mancare come monito nei confronti del restante personale…”: ciò che dimostrerebbe la palese violazione dei principi di proporzionalità della sanzione, non essendo ammissibile che la massima sanzione affettiva, quale è la destituzione, venga irrogata come deterrente per gli altri dipendenti al fine di dissuaderli dal compiere atti analoghi a quelli compiuti dal ricorrente.

      Dall’esame della motivazione posta a base della destituzione si ricava agevolmente la conclusione che essa non è stata inflitta come monito, e la criticata affermazione non introduce nella economia motivazionale alcun ulteriore elemento, essendo evidente che qualsiasi sanzione disciplinare costituisca, di per sé, anche un monito nei riguardi del restante personale.

     3. La riconosciuta fondatezza @@@@@@@appello impone di esaminare il sesto motivo del ricorso di primo grado, rimasto assorbito e riproposto in questo grado del giudizio.

      Si tratta di motivo con il quale si deduce la violazione degli artt. 7, comma 6, 9 e 15, comma 5 del D. Lgs 30 ottobre 1992, n. 449, concernenti rispettivamente, la sospensione cautelare in pendenza di procedimento penale, il rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare, l’inchiesta preliminare ed i termini entro i quali la medesima deve concludersi.

      Al riguardo, conviene ricordare che, secondo il pacifico orientamento di questo Consiglio di Stato (Sez. IV, 15 novembre 2004, n. 7459), ribadito anche di recente (Sez. VI, 15 gennaio 2008, n. 80), i termini previsti per il compimento di atti infraprocedimentali nel corso del procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti pubblici non hanno natura perentoria, bensì ordinatoria, ove non sia prevista alcuna decadenza per la loro inosservanza, né sia stabilita l'inefficacia degli atti compiuti dopo la loro scadenza, essendo garanzia sufficiente per l'incolpato quella del termine perentorio fissato per l'intero provvedimento disciplinare.

      Ciò premesso, per quel che concerne l' art. 15, comma 5, che fissa in trenta giorni, prorogabili una sola volta di quindici giorni, per la conclusione @@@@@@@inchiesta disciplinare, va osservato che tale termine risulta rispettato, posto che detta inchiesta è iniziata in data 26 novembre 1998 di nomina del funzionario istruttore e si è conclusa in data 23 gennaio 1999, dopo la proroga di quindici giorni concessa in data 23 dicembre 1998.

     La relativa doglianza è, quindi, infondata.

     Ad identiche conclusioni deve pervenirsi in ordine ai termini per la ripresa e la definizione del procedimento disciplinare all'esito di quello penale.

     Il procedimento disciplinare è stato riavviato dopo aver appreso in maniera definitiva dalla Procura della Repubblica che nei confronti del @@@@@@@ la vicenda penale si era conclusa con l'archiviazione. La nota dell'Autorità giudiziaria n. 99/02 del 8 aprile 2002, è pervenuta all'Amministrazione il 19 Aprile ed il procedimento disciplinare è stato ripreso il 7 Maggio successivo e si è concluso con l’adozione del decreto di destituzione del 8 agosto 2002.

     Il che dimostra che l'intera procedura si è conclusa abbondantemente nel termine dei duecentosettanta giorni entro i quali il procedimento disciplinare avviato ai sensi dell'art. 6 del D. Lgs. 449/1992 deve essere concluso (cfr., Ad. Plen., 4 gennaio 2000, n. 4)

     4. In base alle considerazioni che precedono, l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado.

     In ragione della peculiarità della controversia stimasi equo disporre la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), pronunciando sull’appello in epigrafe specificato, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

     Spese del doppio grado di giudizio compensate.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

      Così deciso in Roma, addì 16 ottobre 2007, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), riunito in Camera di Consiglio, con l’intervento dei signori