IMPIEGO PUBBLICO
Cons. Stato Sez. IV, Sent., 15-09-2010, n. 6914
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo

L'Agente di Polizia Penitenziaria ############### in relazione ad un procedimento penale che lo vedeva imputato per il reato di detenzione illegale di munizionamento di armi da guerra veniva dall'Amministrazione di appartenenza sospeso dal servizio a titolo obbligatorio prima e poi fatto oggetto di sospensione cautelare facoltativa.

Con la sentenza n. 68/2001 del 19 settembre 2001, il Tribunale di Sulmona lo condannava alla pena di mesi sei di reclusione e lire 180.000 di multa per il reato ascrittogli e avverso tale sentenza l'interessato proponeva relativo gravame.

Pendente l'appello, l'Amministrazione penitenziaria, con decreto del 1° febbraio 2005 disponeva la sospensione dal servizio sino all'esito del procedimento disciplinare contestualmente avviato ai sensi dell'art.6 del d.lgs n. 449 del 1992.

Quindi, in relazione alla intervenuta sentenza della Corte di Appello di L'Aquila n. 754 del 25 maggio 2005 di conferma della sentenza di primo grado, con nota ministeriale n.01586892006 del 10 maggio 2006 l'Amministrazione penitenziaria riassumeva la già attivata inchiesta disciplinare.

Facendo seguito alla proposta del Consiglio di Disciplina del 5 ottobre 2006, il decreto ministeriale n.018659/2006/33512 del 10 giugno 2006 ha irrogato la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio a decorrere dal 18 gennaio 2000, data dell'avvenuta sospensione cautelare obbligatoria.

L'interessato ha impugnato tale provvedimento innanzi al TAR per il Lazio, che con sentenza n.11645 /07 ha accolto il ricorso in relazione alla fondatezza dell'assorbente, dedotto rilievo della illegittimità del provvedimento sanzionatorio per il vizio di violazione dell'art. 7, comma 6, del decreto legislativo n. 449 del 1992, in quanto, ad avviso del giudice di primo grado, il procedimento disciplinare sarebbe stato riassunto oltre il termine perentorio previsto dalla norma suindicata per l'inizio dell'azione disciplinare

Il Ministero della Giustizia ha impugnato la suindicata sentenza ritenendola erronea nelle rese statuizioni e prese conclusioni.

Nel proposto appello si sostiene che l'Amministrazione, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, avrebbe tempestivamente proceduto a contestare gli addebiti disciplinari, atteso che il dies a quo per l'inizio o la riassunzione del procedimento deve coincidere quello in cui perviene alla stessa P.A. l'atto di condanna dell'A.G. divenuto irrevocabile, di talchè, nella specie, avuto riguardo alla data della conoscenza formale della sentenza (3 maggio 2006) il procedimento disciplinare sarebbe stato avviato a distanza di appena cinque giorni (il successivo 10 maggio) e dunque nel più ampio rispetto del termine iniziale previsto dalla legge.

L'appellato dal canto suo resiste al gravame proposto dall'Amministrazione e presenta nel contempo appello incidentale nei confronti della suindicata sentenza di primo grado, denunciando la illegittimità dell'atto amministrativo della destituzione perché adottato in contrasto con altre disposizioni della legge n. 449 del 1992 e in quanto affetto dal vizio di eccesso di potere sotto i profili della generica e lacunosa motivazione, della erronea valutazione dei fatti e della illogicità manifesta.

All'odierna udienza pubblica la causa passa in decisione.
Motivi della decisione

1. L'appello del Ministero della Giustizia si appalesa fondato.

Il Collegio è chiamato in primo luogo a verificare se nella fattispecie all'esame sia stato osservato o meno il termine previsto per l'avvio e/o la riassunzione dell'azione disciplinare conseguente a sentenza definitiva di condanna inflitta

L'Amministrazione col proposto gravame deduce l'erroneo convincimento del TAR in ordine all'affermato inverarsi nella fattispecie della violazione della norma di cui all'art. 7, comma 6, del d. lgs n. 449 del 30 ottobre 1992 secondo cui "l'appartenente al Corpo della Polizia penitenziaria deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione"

La censura merita positiva considerazione.

La norma che l'appellato assume violata fissa due alternativi termini di attivazione del procedimento disciplinare (120 e 40 giorni), ancorandoli rispettivamente a distinte circostanze, la pubblicazione della sentenza e la notificazione della stessa all'Amministrazione, dovendosi intendere per quest'ultima il momento in cui l'Amministrazione viene portata a conoscenza della sentenza definitiva.

Il legislatore ha inteso così sollecitare la definizione della posizione del dipendente fissando un termine a quo del procedimento disciplinare, fermo restando, però, che nella seconda ipotesi di cui al citato art. 7 citato il termine (40 giorni) cominci a decorrere dalla data dell'acquisita conoscenza da parte della P.A. della sentenza definitiva di condanna.

Che la decorrenza dell'attivazione dell'esercizio dello jus poenitendi possa coincidere con la data dell'avvenuta notiziazione della sentenza è circostanza più volte affermata dal Consiglio di Stato in numerose, significative pronunce (in tal senso, decisioni dell'Adunanza Plenaria 25 gennaio 2000, n. 4, e 14 gennaio 2004, n. 1; idem Sezione VI, 28 febbraio 2006, n. 869) con argomentazioni che il collegio condivide e fa propri.

Sicchè, dal momento che la sentenza della Corte d'Appello di L'Aquila è stata comunicata ufficialmente all'Amministrazione della Giustizia solo in data 3 maggio 2006, tenuto conto che il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria con nota n.158669 del 10 maggio 2006 ha disposto la riassunzione dell'inchiesta disciplinare, nella specie deve necessariamente dedursi che il termine iniziale di attivazione del procedimento risulta essere stato ampiamente rispettato, lì dove appunto, la stessa Amministrazione si è mossa ampiamente entro il termine iniziale di carattere perentorio fissato dalla legge (quaranta giorni dalla notificazione)

E allora, se non è contestata in causa la circostanza relativa alla data di acquisizione della sentenza definitiva di condanna da parte dell'Amministrazione (3 maggio 2006), va considerata infondata la deduzione secondo cui non si potrebbe fare riferimento, nella determinazione del dies a quo in contestazione, alla data di notificazione e quindi notiziazione ufficiale dell'atto di condanna, mentre si dovrebbe far riferimento secondo la statuizione (errata del giudice di prime cure alla data di pubblicazione della sentenza (il 16 luglio 2005) o di avvenuta irrevocabilità della stessa (16 ottobre 2005).

Peraltro, va richiamato il principio per cui l'Amministrazione deve esercitare la potestà disciplinare, nel senso di definire il procedimento disciplinare, nel perentorio e complessivo termine di 270 giorni a partire dall'acquisita cognizione della sentenza penale di condanna (cfr, oltreché le decisioni dell'Adunanza Plenaria sopra citate, Sezione VI, 20 gennaio 2003, n.198; idem 22 marzo 2002, n. 1651; 7 ottobre 2008, n. 4834): tale termine risulta palesemente osservato, ove si consideri che il provvedimento di destituzione è stato emesso in data 10 novembre 2006 e il relativo procedimento è stato riassunto il 10 maggio 2006.

Per concludere, il termine decadenziale di inizio dell'azione disciplinare (oltreché quello di definizione della stessa) risulta essere stato osservato e non sussiste, quindi, il vizio di violazione dell'art. 7, comma 6, del d. lgs n. 449 del 30 ottobre 1992, per cui, in accoglimento del motivo di doglianza dedotto dall'appellante Ministero della Giustizia, il proposto gravame principale va accolto.

2. Passando poi all'appello incidentale, l'interessato con tale mezzo di gravame ripropone sostanzialmente gli altri motivi fatti valere in primo grado, riassumibili sotto i seguenti tre profili di illegittimità:

l'Amministrazione sarebbe incorsa nella violazione dell'art. 6, comma 3, lettera a), del d. lgs n. 449 del 1992, che prevede la possibilità di irrogazione della sanzione della destituzione dal servizio per "qualsiasi altro delitto non colposo per il quale sia stata irrogata una pena non inferiore ad un anno di reclusione" e nella specie all'appellante incidentale è stata inflitta una condanna di soli sei mesi di reclusione;

la sanzione disciplinare non sarebbe stata preceduta da una autonoma valutazione della rilevanza dei fatti;

la responsabilità disciplinare sarebbe stata indebitamente preceduta dalla preventiva valutazione della Direzione Generale del Personale del DAP e del Funzionario Istruttorio.

Le censure formulate, da trattarsi unitariamente per la loro connessione, non si appalesano fondate.

Quanto alla prima questione, la censura è priva di giuridico fondamento sol che si osserva che nella specie, come compiutamente specificato nella parte narrativa dello stesso provvedimento in contestazione, il procedimento è stato avviato in applicazione dell'art.6 comma 1 lettere a), b) e d) e cioè per fattispecie di responsabilità squisitamente disciplinari (atti che rivelino mancanza del senso dell'onore o del senso morale, atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento, dolosa violazione dei doveri che abbia arrecato grave pregiudizio all'amministrazione penitenziaria) che scaturiscono da fatti aventi rilevanza disciplinare del tutto autonoma dalla responsabilità penale per il quale l'appellante è stato condannato.

L'Amministrazione, a ben vedere, non ha fatto applicazione della norma cui fa riferimento l'interessato, quella recata dal punto 3 del citato art. 6, e né al riguardo alcunché gli ha contestato, di talchè alcuna violazione della disposizione invocata dall'interessato appare configurabile.

Quanto al dedotto profilo di illegittimità di cui al suindicato punto b) è ben noto alla Sezione l'orientamento giurisprudenziale affermatosi in subjecta materia secondo cui l'Amministrazione ha l'onere di compiere un autonomo e motivato accertamento sulla rilevanza disciplinare dei fatti in ordine ai quali il dipendente è stato condannato (per tutte, Cons. Giust. Amm. Regione Siciliana, 6 maggio 2008, n. 424): Nella specie, tuttavi, un attento esame della documentazione di causa consente di appurare come una tale regola sia stata adeguatamente osservata, lì dove sia in sede di istruttoria sia nel provvedimento finale di irrogazione della sanzione della destituzione sì fornisce esaustiva contezza in ordine alla rilevanza disciplinare e in particolare al disvalore comportamentale del dipendente nella sua qualità di appartenente al Corpo della Polizia penitenziaria.

Relativamente infine alla doglianza di cui alla citata lettera c), la preventiva indicazione della sanzione della destituzione da irrogare, da parte della Direzione Generale del Personale del DAP e del Funzionario Istruttore, è circostanza che non vale ad inficiare la validità del procedimento disciplinare, sia perché del tutto inidonea di per sé ad influenzare la gestione e l'esito del procedimento stesso, sia perché in realtà si è trattato di una sorta di ipotesi ventilata in modo del tutto autonomo ed in via assolutamente ultronea, senza che ciò possa ridondare a detrimento del legittimo andamento del procedimento.

Sulla scorta di quanto suesposto, l'appello incidentale, in quanto infondato, va respinto.

3, Per le ragioni che precedono, l'appello principale va accolto e quello incidentale va respinto, sicché - in riforma della sentenza gravata - il ricorso di primo grado va respinto.

Sussistono giusti motivi, in ragione della peculiarità della vicenda, per compensare tra le parti le spese e competenze dei due gradi di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) accoglie l'appello principale, respinge l'appello incidentale e, in riforma dell'impugnata sentenza, rigetta il ricorso di primo grado.

Compensa tra le parti le spese e competenze dei due gradi del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.