N. 01467/2010 REG.DEC.

N. 08237/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 8237 del 2009, proposto da:
Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
 

contro

@@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dall'avv. -

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA – SEZIONE STACCATA DI LECCE: SEZIONE III n. 01409/2009, resa tra le parti, concernente l’esclusione da procedura selettiva assunzione agenti di polizia penitenziaria – risarcimento danni.

 


 

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di @@@@@@@ @@@@@@@;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2010 il Cons. -

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


 

FATTO

Il sig. @@@@@@@ @@@@@@@, attuale appellato, ha partecipato nel 1996 alla selezione indetta dal Ministero della Giustizia per l’assunzione di agenti di Polizia Penitenziaria.

Nel febbraio 2001 il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria gli comunicò l’utile collocamento in graduatoria ai fini della convocazione per gli accertamenti psico-fisici, con l’espressa avvertenza che la posizione in graduatoria era stabilita “con riserva di accertamento dei requisiti e dei diritti risultanti dall’esame successivo della documentazione”.

In data 12.03.2001 è stato sottoposto - ai fini dell’assunzione nel Corpo di Polizia Penitenziaria - a prove strumentali e di laboratorio presso la Scuola di Formazione e di Aggiornamento del Corpo di Polizia e del Personale dell’Amministrazione Penitenziaria.

Con nota del 10.07.2001, il D.A.P. ha comunicato al @@@@@@@ la sua idoneità all’esame clinico generale ed alle prove strumentali e di laboratorio, ammettendolo alla frequenza del corso di formazione, invitandolo a presentarsi, per il successivo 5 settembre, presso la Scuola di Formazione ed Aggiornamento del Corpo di Polizia Penitenziaria.

Il ricorrente, già dipendente dell’@@@@@@@ di @@@@@@@, con qualifica di vigilante, al fine di partecipare al corso di formazione, presentò, nel settembre 2001, le proprie dimissioni dall’impresa privata. Iniziata la frequenza del corso, in data 22.10.2001 al ricorrente è stato notificato il decreto del Capo del D.A.P. del 18.10.2001, ove si afferma che, nella domanda di partecipazione lo stesso “aveva dichiarato di essere orfano o figlio rispettivamente di caduti per servizio nel settore pubblico o privato o mutilati e invalidi per servizio nel settore pubblico o privato”.

Per tali motivi, la Commissione gli aveva erroneamente assegnato il posto n. 3276 nella graduatoria, con punti 3,00.

In base all’accertamento successivo è stato quindi disposto l’esclusione del @@@@@@@ dall’assunzione nel Corpo di Polizia Penitenziaria, “per essergli stati attribuiti punti 1,00 (uno) in più nella graduatoria formulata” ed è stato rettificato il punteggio precedentemente attribuito, da punti 3,00 a punti 2,00, ponendolo nella graduatoria dopo l’aspirante @@@@@@@, collocato al n. 4522.

Con successivo provvedimento, del 24.10.2001, l’ Amministrazione penitenziaria ha emesso un nuovo decreto, emendando parzialmente il contenuto di quello precedente e specificando, nelle premesse, che il ricorrente effettivamente “non ha dichiarato di essere orfano o figlio rispettivamente di caduti per servizio nel settore pubblico o privato o mutilati e invalidi per servizio nel settore pubblico o privato”.

In conseguenza dell’errore in cui è incorsa l’Amministrazione il ricorrente con ricorso al TAR Puglia ha chiesto l’accertamento e la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito delle dimissioni presentate - e alla conseguente perdita della precedente occupazione - per potere partecipare al corso di formazione.

Con sentenza n. 1409/2009 il Tribunale Amministrativo Regionale ha accolto il ricorso, ritenendo sussistenti in capo all’Amministrazione tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi costitutivi della responsabilità e ha condannato l’amministrazione stessa al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 2.000.

Avverso la predetta sentenza ha interposto appello il Ministero della Giustizia, formulando un unico articolato motivo nel quale si afferma che il danno subito dal ricorrente era imputabile soltanto a lui stesso.

In particolare, si deduce nell’atto d’appello che << l’odierno appellato, sin dalla approvazione della relativa graduatoria, avvenuta con P.D.G. in data 23.6.1997, ..era perfettamente in grado di valutare, usando l’ordinaria diligenza, come il punteggio assegnatogli (pari a 3,00) fosse stato erroneamente attribuito e, dunque, destinato ad essere corretto non appena rilevato l’errore.

Peraltro… la convocazione nominativa del 10.7.2001 al corso di formazione veniva preceduta dalla convocazione del 12.2.2001 ricevuta per ammissione dello stesso appellato “nel febbraio 2001”…, in cui, in particolare, si evidenziava al @@@@@@@ come egli avesse “riportato un punteggio pari a punti 3,00, risultando così inserito in posizione utile per la convocazione agli accertamenti psico-fisici. Resta inteso che, come previsto dall ‘articolo 2, comma 2, ultimo capoverso, la posizione in graduatoria è stabilita con riserva di accertamento dei requisiti e dei diritti risultanti dall ‘esame successivo della documentazione “.

Ciò stante, il @@@@@@@, a far data dal 15 ottobre 1997 o, al più tardi, alla fine del mese di febbraio del 2001, era senza’altro consapevole di come, solo a causa dell’erronea attribuzione di punti 3, era stato collocato in posizione utile nella graduatoria; onde egli, in ossequio ai canoni della buona fede e della leale collaborazione (che, nell’ambito del contatto procedimentale, vincolano non solo la P.A., ma anche, e soprattutto, il privato) avrebbe dovuto contestare all’amministrazione l’errore materiale in cui era incorsa.

Al contrario, il @@@@@@@ è rimasto inerte, nell’evidente tentativo di lucrare un’ illegittima assunzione.

Dal canto suo, l’Amministrazione - una volta rilevato l’errore - non poteva non rettificarlo, rideterminando la graduatoria ed escludendo il @@@@@@@ dalla procedura (come, in effetti, correttamente avvenuto).

Il fatto che tale rettifica sia intervenuta ad ottobre del 2001, quando il corso di formazione era iniziato da più di un mese, è del tutto irrilevante, atteso che “ in tutti gli atti del procedimento era previsto e dichiarato il potere della P.A. di proceder4e in ogni momento alla verifica dei requisiti e dei titoli.

Si è costituito in grado d’appello il @@@@@@@ per ribattere puntualmente ai motivi dedotti dall’Avvocatura.

Alla camera di consiglio del 10 novembre 2009 l’istanza cautelare proposta dall’amministrazione appellante è stata rinviata al merito.

DIRITTO

1 - Al fine del decidere vale brevemente integrare la narrazione in fatto per meglio intendere l’oggetto del contendere.

Con domanda in data 12.12.1996, il sig. @@@@@@@, ricorrente in primo grado ed attuale appellato, ha chiesto di partecipare al concorso per l’accesso nel ruolo degli agenti di Polizia Penitenziaria, indetto con bando del 12.11.1996.

La commissione giudicatrice attribuiva al @@@@@@@ punti 3, dei quali punti 2 per “non aver riportato alcuna sanzione disciplinare durante il servizio prestato in qualità di ausiliario di leva nell’Arma dei Carabinieri” e punti 1 per “gli orfani o figli dei caduti per servizio nel settore pubblico o privato “.

 


 

2 - Occorre subito precisare – per sgomberare il campo da presunti intenti lucrativi del sig. @@@@@@@ adombrati nell’atto d’appello del Ministero - che lo stesso @@@@@@@ non aveva invocato né, tanto meno, indicato nella domanda di partecipazione la predetta appartenenza alla categoria protetta in questione.

Il @@@@@@@ veniva pertanto collocato al 3276° posto della graduatoria approvata con P.D.G. in data 23.6.1997, pubblicato sul Bollettino Ufficiale del Ministero di Grazia e Giustizia n. 19 del 15.10.1997.

Con nota n. 1.400/2406 del 12 febbraio 2001 – cioè a distanza di quasi quattro anni dalla predetta graduatoria - l’amministrazione comunicava al @@@@@@@ che “in relazione alle dichiarazioni rese aveva riportato un punteggio pari a punti 3,00, risultando così inserito in posizione utile per la convocazione agli accertamenti psico fisici “.

Dopo avere superato le prove di idoneità psico – fisica ed essere stato ammesso alla frequenza del corso, inopinatamente, con decreto del 24.10.2001 all’esito del successivo accertamento dei titoli, l’amministrazione disponeva l’esclusione del candidato “dall’assunzione nel Corpo di Polizia Penitenziaria, per essergli stati attribuiti punti 1 (uno) in più nella graduatoria formulata ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del D.M 12 novembre 2006 e approvata con P.D. G. in data 23 giugno 1997 “.

Infatti – come esplicitamente ammesso nello stesso atto d’appello - l’Amministrazione, “ per mero errore “, aveva assegnato al @@@@@@@ il predetto punto aggiuntivo, previsto dall’art. 2, co.2, del bando per “gli orfani o figli rispettivamente dei caduti in servizio nel settore pubblico e privato’, nonostante – ammette ancora la difesa dell’appellante - egli non avesse mai dichiarato di possedere tale titolo.

3 - Già da questa breve e incontestata ricostruzione dei fatti appare non solo l’infondatezza, ma addirittura la temerarietà dell’appello, con il quale si tenta di ribaltare il carico oggettivo delle responsabilità, accollando al privato un onere di diligenza insussistente all’evidente fine di coprire un comportamento certamente gravemente colposo posto in essere dall’amministrazione.

Il tentativo dell’amministrazione di rovesciare sul cittadino le proprie colpe appare evidente nella costruzione, da parte della difesa erariale, di un’imputazione, a carico del partecipante alla procedura concorsuale, di un comportamento negligente per non avere verificato - lui - la esattezza del punteggio attribuitogli.

4 - La prospettazione dell’amministrazione non merita, all’evidenza, considerazione.

In punto di diritto va ricordato che la responsabilità della P. A. si ricostruisce, nell’esperienza della giurisprudenza, in termini parzialmente diversi da quelli della responsabilità civile.

In particolare, per quel che qui interessa, la responsabilità per colpa della pubblica amministrazione non è di tipo oggettivo o formale.

Sia la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 500 / 1999, sia la costante giurisprudenza successiva, riconducono la colpa non a mera "inosservanza di leggi regolamenti, ordini o discipline", secondo la nozione fornita dall'art. 43 del codice penale, ma a violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero a negligenze, omissioni o anche errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili; tra le negligenze inescusabili vanno annoverati comportamenti sciatti, superficiali, sbrigativi nel compiere operazioni valutative di agevole e semplice esecuzione, come la verifica dell’esistenza o meno di titoli facili da verificare e non comportanti sottili e complicate indagini.

 

5 - Sotto quest'ultimo profilo, anche la prova della colpevolezza - che difficilmente, in base ai parametri indicati, può ritenersi "in re ipsa" - non può non connettersi alla particolare dimensione della responsabilità dell'Amministrazione per lesione di interessi legittimi, responsabilità che l'elaborazione giurisprudenziale rende non del tutto coincidente con quella aquiliana, sussistendo anche profili (rilevanti, in particolare, sul piano probatorio) assimilabili più a quelli della responsabilità contrattuale, in considerazione della natura dell’interesse protetto di chi instauri un rapporto procedimentale con l'Amministrazione.

Tale interesse è sinteticamente definibile come quello strumentale al cosiddetto "giusto procedimento ", che richiede competenza, attenzione, celerità ed efficacia, quali necessari parametri di valutazione dell'azione amministrativa, che in certa misura trascendono quelli tipicamente civilistici della correttezza e buona fede e sulla base dei quali occorre procedere alla valutazione dell’esistenza o meno dell’elemento “ psicologico “ ( rectius: soggettivo ) della colpa.

 

6 - Nell’ambito di una configurazione strumentale e procedimentale del diritto al risarcimento del danno, in quanto connesso alla pretesa lesione di un interesse legittimo, si parla, a tale riguardo, di una specifica relazione tra P. A. e cittadino, preventiva rispetto al fatto o atto produttivo di danno e perciò distinta dalla pura e semplice responsabilità extracontrattuale; relazione che ormai nel linguaggio giuridico ha assunto la denominazione di " contatto sociale qualificato" o di " responsabilità da contatto ", implicante, appunto, da parte della P. A. il corretto sviluppo dell'iter procedimentale secondo non solo le regole generali di diligenza, prudenza e perizia, ma anche e soprattutto di quelle specifiche del procedimento amministrativo, sulla base delle quali avviene la legittima emanazione del provvedimento finale (cfr., Cons. St.,sez. VI, 18 marzo 2008 , n. 1137 ; sez. V, 2.9.2005, n. 4461).

 


 

7 - In base alla costruzione della “ responsabilità da contatto “, anche se la presenza di vizi di illegittimità del provvedimento definitivo non integra di per sé gli estremi di una condotta colposa al fine risarcitorio nei confronti del destinatario dell'atto, non v’è dubbio tuttavia che essa vada accertata in relazione alla singole fattispecie concrete, prendendosi in considerazione il comportamento complessivo degli organi che sono intervenuti nel procedimento valutandolo alla luce delle regole generali e speciali del procedimento stesso.

Ove quelle regole non siano state rispettate, occorrerà ulteriormente valutarsi se il quadro delle norme rilevanti ai fini dell'adozione della statuizione finale, la presenza di possibili incertezze interpretative in relazione al contenuto prescrittivo delle disposizioni medesime, le condizioni particolarmente gravose e complesse del procedimento ed altre circostanze concrete possano escludere qualsiasi atteggiamento di colpa e configurare una causa esimente della responsabilità ed apprezzare se l'organo procedente sia incorso in violazione delle comuni regole di buona amministrazione, di correttezza, di imparzialità e buon andamento (cfr. Cons. St., sez. VI, 13 dicembre 2006 , n. 7386; Sez. IV, n. 5500 del 10.08.2004; n. 8363 del 19.12.2003; Sez. V^ n. 529 del 04.02.2003; n. 1133 del 01.03.2003; Corte di Cassazione, Sez. I^, n. 5259 del 04.04.2003).

8 - Esulano dalla presente sede, in quanto estranee alle questioni introdotte con l’atto d’appello, le tematiche relative all’orientamento - allo stato piuttosto diffuso – secondo cui il danno da ritardo sarebbe risarcibile solo se il privato abbia titolo al rilascio del provvedimento finale, se cioè gli spetti il «bene della vita» (Ad. Pl. 15 settembre 2005, n. 7); ritenendosi ulteriormente, nell'ambito di tale indirizzo giurisprudenziale, che il titolo al risarcimento andrebbe accertato azionando il procedimento del silenzio e sindacando il successivo diniego espresso, ovvero, all’opposto, che il giudice, adito in sede risarcitoria, dovrebbe effettuare un giudizio prognostico sulla spettanza del titolo, ai soli fini del risarcimento ( cfr. Cons. St,, sez. IV, 29 gennaio 2008 , n. 248 ).

9 - Si tratta, come detto di tematica che esula dalla materia del contendere e che comunque appare estranea ad una fattispecie, come quella in esame, in cui il privato, pur non avendo un diritto pieno al bene finale della vita per il cui conseguimento ha partecipato al procedimento, abbia subito, solo per effetto di comportamento colposo dell’amministrazione, un danno da ritardo non scusabile, in relazione ad altri elementi del patrimonio del singolo, esterni a quelli coinvolti dal “ contatto “ ma comunque sempre legati al primo da un nesso di necessaria consequenzialità.

10 - In concreto, nella specie non appare dubitabile che in relazione al procedimento concorsuale in oggetto l’amministrazione, sotto il profilo procedimentale, abbia violato le più elementari regole di buona amministrazione legate alla tempestività ed accuratezza nella valutazione di titoli di agevole ed immediato riscontro attraverso anzitutto la lettura delle domande di partecipazione.

11 - Vale ricordare che fra i principi che regolano le procedure concorsuali l’articolo 35, comma 3, del d. lgs. n. 165/2001 individua espressamente quelli di “economicità e celerità di espletamento “. Il predetto principio trova esplicitazione nell’articolo 11 del regolamento generale sui concorsi per l’accesso ai pubblici uffici di cui al DPR n. 487/1994, secondo cui “prima dell'inizio delle prove concorsuali la commissione, considerato il numero dei concorrenti, stabilisce il termine del procedimento concorsuale e lo rende pubblico. “.

12 - E’ vero che si tratta di una disposizione rivolta alla commissione giudicatrice ed attiene alle operazioni valutative e tuttavia essa è espressione di un ancor più generale principio per il quale il procedimento di selezione, proprio per la vastità, pluralità e complessità degli interessi pubblici e privati coinvolti, tutti aventi valenza di rango costituzionale ( il buon andamento per la P. A. ed il diritto al lavoro per i partecipanti ) deve avere una definizione quanto più possibile sollecita. Per cui, il criterio della possibilità di verifica “ in qualsiasi momento “, se da un lato non fa perdere il potere della P. A. di procedere agli accertamenti sul possesso dei requisiti e dei titoli per il mero decorso del tempo, dall’altro non fa certo perdere al cittadino il diritto al risarcimento dei danni per l’abuso che della formula “ in qualsiasi momento l’amministrazione abbia compiuto.

13 - I predetti principi di tempestività e celerità – che segnano i confini della diligenza con riferimento al ritardo giustificabile e scusabile – sono stati ampiamente superati, nel caso di specie, dall’amministrazione, la quale ha comunicato al candidato l’attribuzione di un punteggio indebito a distanza di oltre quattro anni dalla pubblicazione del graduatoria e dopo averlo sottoposto a tutti gli accertamenti di idoneità, in tal modo ingenerando un plausibile e legittimo affidamento; né di tale superamento di termini ragionevoli l’amministrazione ha fornito, sia in primo grado che con l’atto d’appello, alcuna valida e plausibile giustificazione.

14 - Vale sottolineare ancora una volta che il punto non spettante è stato attribuito al candidato non per sue dichiarazioni erronee o tanto meno fraudolente, ma solo per un comportamento quantomeno superficiale dell’amministrazione, la quale si è inventata essa stessa e da sola un titolo non posseduto, non dichiarato e non indicato dall’interessato, per poi ammettere un “ mero “ errore in danno dell’interessato a distanza di alcuni anni.

15 - L’amministrazione appellante, come già sopra accennato, pur riconoscendo l’errore da essa commesso, ne invoca la riconoscibilità e la conseguente scusabilità, in relazione ad una presunta mancanza di diligenza da parte del partecipante al concorso, la quale avrebbe determinato, secondo la tesi dell’amministrazione, un atteggiamento di affidamento colpevole; ma anche questo argomento è infondato. La tesi dell’appellante confonde, infatti, tra colpa inescusabile, affidamento e concorso del danneggiato nella causalità del danno ed affidamento incolpevole.

16 - Quanto alla colpa, essa consiste, come detto, nella violazione delle regole temporali e di diligenza accertativa ed istruttoria non agevolata da alcun comportamento del candidato, che non aveva formulato alcuna dichiarazione tale da indurre in errore l’amministrazione.

17 - Quanto all’affidamento, esso deve considerarsi sussistente in tutte le ipotesi in cui, come nella specie, il candidato si sia attenuto scrupolosamente alle prescrizione del bando, non essendo certo suo onere controllare la legittimità e correttezza delle operazioni valutative rimesse all’esclusiva competenza dell’amministrazione e per essa della commissione valutatrice.

18 - Quanto all’affidamento, esso anzitutto rileva non sul piano della colpa ma della sua riconoscibilità e, quindi, sul piano del nesso di causalità; in secondo luogo, non si vede in base a quale parametro di diligenza l’interessato avrebbe dovuto accorgersi di un errore commesso in suo favore e non in suo danno. E’ fatto notorio fondato su elementari meccanismi della psicologia della percezione che l’attenzione si risveglia a fronte di eventi dannosi o pericolosi, mentre resta latente a fronte di fatti piacevoli e favorevoli.

19 - L’assunto dell’amministrazione appellante, al riguardo, potrebbe avere forse un qualche appiglio ove nella graduatoria illustrativa dei punteggi conseguiti da ciascun candidato fosse stato indicato il titolo dell’attribuzione stessa con conseguente scomposizione del punteggio complessivo in relazione a singoli e ben indicati elementi di valutazione.

Ma così non è stato nel caso di specie, ciò che rendeva impossibile per gli interessati, se non facendo uso di una capacità di analisi e di controllo, non richiesta e non comune , di addentrarsi in complicati ( per loro sì ) ed ipotetici percorsi ricostruttivi del processo valutativo della commissione, dipanati attraverso la pluralità e varietà delle categorie dei diversi titoli di merito.

 


 

20 - Su tale puto l’amministrazione, insistendo nella sua teoria della violazione dei doveri di leale collaborazione inerenti proprio alla responsabilità da contatto, insiste su un profilo di “ semplicità e linearità dei criteri previsti dal bando “, che avrebbe consentito, anzi imposto, all’appellato di procedere ad un’agevole operazione di calcolo.

L’assunto è abnorme per più profili: anzitutto, perché proprio l’invocata semplicità dei criteri valutativi rende ancor più evidente la negligenza inescusabile di un’amministrazione che non ha saputo applicare tempestivamente quei criteri; in secondo luogo, perché addossa al privato una capacità di valutazione, analisi e calcolo che solo un dovere di attenzione suscitato da un esito negativo della valutazione avrebbe potuto giustificare.

Oltretutto, la tesi della difesa erariale urta contro il dato teorico che la colpa della P. A. va riferita non ad un elemento “ psicologico “, ma ad un dato soggettivo, cioè individuato e valutato con riguardo ad un apparato, fornito e dotato, con ampio assorbimento di risorse a carico dell’intera collettività, di mezzi, strutture e funzionari addestrati che certo il privato non ha.

 


 

21 - In conclusione, l’appello va respinto.

Le spese, liquidate in dispositivo nella misura derivante dalla evidente infondatezza dell’appello, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ( sezione Quarta ) respinge l’appello.

Condanna l’amministrazione al pagamento delle spese ed onorari di lite liquidati in euro 4.000,00 oltre IVA, spese generali e CPA.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2010 con l'intervento dei Signori:

 

 

Goffredo Zaccardi, Presidente FF

Armando Pozzi, Consigliere, Estensore

Vito Poli, Consigliere

Sandro Aureli, Consigliere

Vito Carella, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

Il Segretario


 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 12/03/2010

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Dirigente della Sezione