REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.3488/08
Reg.Dec.
N. 4062 Reg.Ric.
ANNO 2003
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 4062/2003, proposto dal Ministero dell’Interno – Dipartimento della P.S., in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in via dei Portoghesi n. 12, Roma
c o n t r o
– @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dall’avv. -
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma Sez. I, ter, n. 731 del 6 febbraio 2003.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di @@@@@@@ @@@@@@@;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 29 aprile 2008 il Consigliere Francesco Bellomo e uditi per le parti l’avv. dello Stato Elefante, l’avv. Di Mascio e l’avv. Mele;
Ritenuto quanto segue:
F A T T O
1. Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale @@@@@@@ @@@@@@@ domandava l'annullamento del decreto n. 333-D/2118 del 12 febbraio 2002 del Capo della Polizia con il quale ne era stata disposta la destituzione dal servizio prestato nella pubblica amministrazione a decorrere dal 20 gennaio 2001.
A fondamento del ricorso, premesso di essere stato destituito per un episodio per cui era stata avviata l’indagine penale, deduceva plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere. Si costituiva in giudizio per resistere al ricorso il Ministero dell’Interno.
Con sentenza n. 731 del 6 febbraio 2003 il TAR rigettava il ricorso.
2. La sentenza è stata appellata da Ministero dell’Interno, che contrasta le argomentazioni del giudice di primo grado. Si è costituito per resistere all’appello @@@@@@@ @@@@@@@.
La causa è passata in decisione alla pubblica udienza del 29 aprile 2008.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso di primo grado è stato accolto sull’assorbente motivo che la sanzione disciplinare è stata irrogata in pendenza del procedimento penale e, dunque, in violazione dell’art. 11 D.P.R. 737/81.
Obietta l’appellante che la norma – contemplante una fattispecie di sospensione obbligatoria del procedimento disciplinare – si riferisce ai casi di avvenuto esercizio dell’azione penale, e non già di mero avvio dell’istruttoria da parte dell’organo inquirente.
2. L’appello è infondato.
L’art. 11 D.P.R. 737/81 stabilisce che “Quando l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza viene sottoposto, per gli stessi fatti, a procedimento disciplinare ed a procedimento penale, il primo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato”.
Per quanti sforzi ermeneutici – di carattere storico e sistematico – vogliano farsi non può vedersi nella norma ciò che non è scritto, ed, in particolare, riferire la locuzione “procedimento penale” all’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero.
La disposizione in esame si colloca tra le norme del II tipo cd. <pure> , che si avvalgono, cioè, di concetti direttamente prelevati da altri ordinamenti giuridici e richiedono per la loro interpretazione la trasposizione del significato che il concetto ha nell’ordinamento di provenienza.
E’ pacifico che la nozione di “procedimento penale” fissata nel vigente codice di procedura penale faccia riferimento al sorgere di un procedimento giudiziario per un’astratta ipotesi di reato. Momento che deve identificarsi con quella della registrazione della notizia criminis presso la Procura della Repubblica e – relativamente al soggetto – con l’iscrizione della persona indagata (cfr. art. 335 Cpp).
Ma vi è di più.
Il codice di procedura penale, che si ispira al modello accusatorio, distingue chiaramente tra “procedimento” e “processo”, riservando quest’ultima espressione alle fasi del procedimento posteriori all’esercizio dell’azione penale.
La tesi che vuole l’art. 11 D.P.R. 737/81 far riferimento all’inizio del processo – pur talvolta sostenuta nella giurisprudenza del Consiglio di Stato – è, dunque, priva di qualsiasi fondamento logico. I precetti normativi non sono suscettibili di manipolazione e le tecniche dell’interpretazione devono sottomettersi alla peculiare natura delle disposizioni di legge, che – in quanto proposizioni convenzionali, portatrici di una verità formale – restano soggette al canone in claris non fit interpretatio, il che esonera dal confutare le argomentazioni portate a sostegno della tesi contraria (sulle quali, peraltro, v. C.d.S. sez. VI n. 115/07, che aderisce alla soluzione qui sostenuta).
3. L’appello deve essere respinto. Spese secondo soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l’appello.
Condanna il Ministero dell’Interno al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in 3000,00 euro.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 29 aprile 2008, con l'intervento dei sigg.ri:
Claudio Varrone Presidente
Carmine Volpe Consigliere
Domenico Cafini Consigliere
Bruno Rosario Polito Consigliere
Francesco
Bellomo Consigliere Est.
Presidente
CLAUDIO VARRONE
Consigliere Segretario
FRANCESCO
BELLOMO STEFANIA MARTINES
DEPOSITATA IN
SEGRETERIA
Il 11/07/2008
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
MARIA RITA OLIVA
CONSIGLIO DI STATO
In Sede
Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì...................................copia conforme alla presente è stata
trasmessa
al
Ministero..............................................................................................
a norma dell'art. 87
del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria
N.R.G. 4062/2003
FF