REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.1138/2008

Reg.Dec.

N. 6049 Reg.Ric.

ANNO   2007

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 6049/2007, proposto da:

-  Ministero dell’interno, Ministero dell’economia e finanze, in persona dei rispettivi Ministri in carica, e Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente in carica, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in via dei Portoghesi n. 12, Roma, appellanti;

contro

- @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dagli avv.ti -

per l'annullamento e/o la riforma, previa sospensione dell’efficacia,

della sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, sezione I-ter, n. 2975/2007, resa tra le parti e concernente la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio in Polizia per intervenuta condanna per concussione.

      Visto il ricorso in appello con i relativi allegati.

      Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato @@@@@@@ @@@@@@@.

     Visti gli atti tutti della causa;

     Relatore, alla pubblica udienza del 18 dicembre 2007, il Consigliere -

     Uditi, per le parti, l’avvocato dello Stato -

     Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

F A T T O

     Esponeva l’odierno ricorrente, in Polizia dal 1965, di essere stato tratto in arresto il 28 luglio 1992 poiché ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 317, c.p.: donde la sua sospensione dal servizio, disposta il 29 luglio 1982.

     Con decreto del 23 novembre 1982 il Ministero dell’interno disponeva poi la permanenza del ricorrente nella posizione di sospeso dal servizio in attesa della definizione del procedimento penale.

     Con sentenza del 14 ottobre 1993 il Tribunale penale  di Velletri condannava il ricorrente alla pena di anni due di reclusione ed alla pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la medesima durata.

     Con sentenza del 4 novembre 1996, avverso la quale il ricorrente non ha proposto ricorso per Cassazione, la Corte di Appello di Roma confermava la pronuncia di primo grado.

     Divenuta esecutiva il 5 aprile 1997 detta sentenza di condanna, la p.a. avviava l’azione disciplinare nei confronti dell’@@@@@@@ con la nomina del funzionario istruttore (da parte del Questore di Roma in data 12 maggio 1997) che, con nota 17 maggio 1997, formulava la contestazione degli addebiti.

     Questi primi atti della procedura venivano, tuttavia, annullati dallo stesso Questore di Roma con decreto del 30 giungo 1997, cui seguiva un nuovo atto di contestazione degli addebiti in data 7 luglio 1997.

     All’esito del procedimento interveniva il decreto 13 gennaio 1998 (notificato all’interessato il successivo 17 gennaio), con cui il Capo della Polizia infliggeva all’@@@@@@@ la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio.

     Donde il presente ricorso, proposto per:

  1. violazione dell’art. 9, legge n. 19/1990, ed eccesso di potere per errore nei presupposti, difetto di istruttoria e carenza di presupposti, poiché, attesa la natura perentoria dei termini di cui alla citata legge n. 19/1990, il procedimento non si sarebbe concluso nel termine stabilito, essendo l’atto finale dello stesso intervenuto il 13 gennaio 1998 e, dunque, mesi dopo la scadenza prescritta, da individuarsi nel 6 ottobre 1997;
  2. violazione degli artt. 16 e 20, d.P.R. n. 737/1981, anche in combinato disposto con l’art. 149, t.u. n. 3/1957, in quanto le questioni preliminari, poste dal dipendente in sede di procedimento disciplinare, sarebbero state decise non già dal Consiglio di disciplina, ma monocraticamente dal Presidente di detto organo collegiale, mentre sulla conseguente ricusazione del citato Presidente non si sarebbe pronunciato il Ministro dell’interno, ma lo stesso Presidente (ricusato) del Consiglio di disciplina;
  3. assoluto difetto di istruttoria e di motivazione, in rapporto ad una sanzione assolutamente ingiustificata e sproporzionata alla fattispecie.

Si costituivano in giudizio con memorie di stile le intimate amministrazioni, che resistevano al ricorso, poi accolto dai primi giudici con sentenza prontamente impugnata dalle pp.aa. soccombenti in prime cure per:

    1. l’avvenuto rispetto del termine di 270 giorni computati dal giorno 19 aprile 1997 (v. nota informativa del Compartimento della Polizia stradale al Questore di Roma), richiamato nella gravata sentenza, fino al giorno 13 gennaio 1998 (data del provvedimento destitutorio), per un totale di 269 giorni;
    2. l’avvenuta rimessione al Capo della Polizia (che le avrebbe poi esaminate nel decreto sanzionatorio conclusivo) di ogni questione preliminare concernente il Consiglio provinciale di disciplina ed il suo presidente;
    3. la gravità del reato (concussione) commesso dall’attuale appellato, già assistente capo della Polizia di Stato.

      L’appellato @@@@@@@ (collocato a riposo, a domanda, dal 29 luglio 1992, con provvedimento dell’8 aprile 1998) si costituiva in giudizio e riproponeva le medesime argomentazioni già prospettate in prima istanza, insistendo (al mero scopo di una possibile ricostruzione giuridico-economica della propria carriera) in quelle non esaminate dai primi giudici: illegittimità derivata per violazione degli artt. 3 e 24, Cost., e degli artt. 9 e segg., d.P.R. n. 737/1981, nonché assoluto difetto istruttorio e motivazionale, per l’impossibilità di avvalersi di un difensore in sede disciplinare e per l’omesso esame autonomo delle risultanze fattuali emerse dalla sentenza di condanna.

      All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione, dopo l’accoglimento della connessa istanza cautelare (con ordinanza n. 125/2007 di questa stessa sezione).

D I R I T T O

     L’appello è infondato e va respinto.

     Dispone il secondo comma dell’art. 9, legge n. 19/1990, che “la destituzione può sempre essere inflitta all'esito del procedimento disciplinare che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni”.

     Detta norma ha portata estensiva in tutto il settore del pubblico impiego ed è, quindi, applicabile anche al personale della Polizia di Stato, in luogo della norma speciale di cui all'articolo 9, d.P.R. n. 737/1981 (cfr. Cons. Stato, IV Sezione, 7 ottobre 1998 n. 1298).

     I termini previsti dall'art. 9, comma 2, legge n. 19/1990, per l'avvio e la conclusione del procedimento disciplinare a carico del pubblico impiegato, hanno carattere perentorio, con la conseguenza che dal loro superamento deriva la decadenza dell'azione disciplinare (cfr. Cons. Stato, IV Sezione, 16 maggio 2006 n. 2782).

     Tanto premesso, con decisioni n. 4 del 25 gennaio 2000 e n. 1 del 14 gennaio 2004, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che il termine perentorio di novanta giorni comincia a decorrere non già dall'avvio del procedimento disciplinare, ma dalla scadenza virtuale del termine di centottanta giorni, fissato dall'art. 9, legge n. 19/1990, per l'inizio del procedimento stesso e decorrente "dalla data in cui l'Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna".

     In relazione a quest'ultimo aspetto l'Adunanza plenaria ha osservato che il legislatore ha inteso sollecitare la definizione della posizione del dipendente, prevedendo un complessivo termine di duecentosettanta giorni, decorrente dall'avvenuta "notizia della sentenza irrevocabile", entro il quale la p.a. può legittimamente attivare e concludere il procedimento disciplinare.

     Il periodo che non può essere superato, a pena di violazione della perentorietà del termine è, quindi, quello totale di 270 giorni (cfr. Cons. St., Sezione VI, decc. 20 gennaio 2003 n. 198 e 28 febbraio 2006 n. 869).

     Nella specie, la prova di una conoscenza certa della sentenza di condanna divenuta esecutiva è riconducibile, al più tardi, alla nota del 19 aprile 1997 con cui il Dipartimento di P.S., dopo aver appunto dato atto di aver già (eventualmente appena) conosciuto la sentenza di condanna, invitava il Questore di Roma a procedere ai sensi dell’art. 19, d.P.R. n. 737/1981.

     Rispetto a tale ultima data il provvedimento di destituzione è intervenuto entro l'arco temporale di 270 giorni (di preciso: 269) complessivamente assegnato alla p.a. dall'art. 9, legge n. 19/1990, per l'esercizio della potestà disciplinare.

     Sostiene, inoltre, l’appellante l’estinzione del procedimento disciplinare per essersi concluso, in violazione dell’art. 9, comma 2, legge n. 19/1990, una volta decorso il termine di 90 giorni dall’inizio dell’azione disciplinare.

     Circa la non perentorietà di detto termine, perlomeno nel caso di procedimento penale conclusosi con sentenza patteggiata e pertanto priva dei necessari approfondimenti istruttori, si è pronunziata l’ Adunanza plenaria con decisione n. 15 del 26 giugno 2000, in linea con le valutazioni al riguardo espresse dalla Corte costituzionale con sentenza n. 197 del 14/28 maggio 1999; a maggior ragione, detto principio potrebbe valere nel caso in esame, in cui il giudizio penale non ha beneficiato di una terza fase di controllo giurisdizionale in Cassazione, ma tutto ciò non rileva, dato che, come si è visto, i discussi termini sono stati rigorosamente rispettati.

     Infondate sono, poi,  le censure con cui si deduce  violazione degli artt. 16 e 20, d.P.R. n. 737/1981, anche in comb. disp. con l’art. 149, t.u. n. 3/1957.

     Dispone l’art. 20 citato che “il consiglio delibera a maggioranza di voti, con le seguenti modalità: a) il presidente sottopone separatamente a decisione le questioni pregiudiziali, quelle incidentali la cui decisione sia stata differita, quelle di fatto e di diritto riguardanti le infrazioni contestate e, quindi, i componenti del consiglio danno il loro voto su ciascuna questione”.

     Nella specie, il Presidente del Consiglio di disciplina ha legittimamente ritenuto di soprassedere a due questioni preliminari poste dall’incolpato in sede di procedimento disciplinare, senza sottrarle all’esame al competente organo collegiale, ma solo affidandone la soluzione al Capo della Polizia.

     E che la soluzione di dette questioni preliminari non sia di competenza del Consiglio di disciplina è stato di recente ribadito anche dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, VI Sezione, 11 maggio 2006 n. 2631): la pronuncia sull’istanza di ricusazione del Presidente del Collegio provinciale di disciplina viene correttamente affidata al Capo della Polizia, in base al principio stabilito dall’art. 149, comma 3, cit., che rimette all’organo di vertice dell’amministrazione di appartenenza la verifica, in posizione di terzietà, dell’eventuale sussistenza di ipotesi di incompatibilità ascritte al presidente dell’organo di disciplina.

     Infatti, l’art. 16, d.P.R. n. 737/1981, è chiaro nel prescrivere che il presidente od i membri dei consigli di disciplina possono essere ricusati o debbono astenersi ove si trovino nelle condizioni di cui all'art. 149, d.P.R. n. 3/1957, e che il relativo procedimento è regolato da detta ultima disposizione: del che risulta traccia nel provvedimento conclusivo che infligge la sanzione.

     Infine, quanto alle residue doglianze, asseritamente riproposte in quanto non esaminate dai primi giudici, la Corte costituzionale ha ritenuto compatibile con la Carta fondamentale l’attuale sistema difensivo in sede disciplinare (cfr. sentenza n. 239/1988 della Consulta), mentre le motivazioni articolate per relationem a quanto accertato in sede penale rendono sufficientemente giustizia all’esigenza di un’adeguata e congrua  istruttoria in campo amministrativo, in rapporto ai gravi fatti riscontrati a carico dell’@@@@@@@.

     L’appello va, dunque, accolto, con riforma dell’impugnata sentenza e rigetto del ricorso di prima istanza, mentre le spese del doppio grado di giudizio possono integralmente compensarsi, per giusti motivi, tra le parti in causa, tenuto anche conto delle alterne vicende processuali. 
 

P.Q.M.

      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta,

      Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

      Così deciso in Roma, Palazzo Spada, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 18 dicembre 2007, con l'intervento dei signori magistrati:

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