REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.624/2008

Reg.Dec.

N. 4506 Reg.Ric.

ANNO   2007

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 4506 del 2007 proposto dal Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso i cui Uffici è per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

contro

@@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dagli avvocati -

     visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

     vista la memoria di costituzione dell’appellato;

     visti gli atti tutti della causa;

     alla pubblica udienza del 13 novembre 2007, relatore il Consigliere

     ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

     1. Con ricorso n. 4487/2001 proposto innanzi al TAR per il Lazio, l’agente della Polizia di Stato @@@@@@@ @@@@@@@ chiedeva l’annullamento - unitamente a tutti gli altri atti comunque connessi - del decreto 15.12.2000 n. 333-D/3743 del Capo della Polizia, Direttore generale della Pubblica Sicurezza,  con il quale era stata disposta nei suoi confronti la destituzione dal servizio a decorrere dal 3.10.1997.

     Esponeva l’istante che, dopo la sospensione cautelare dal servizio in data 30.9.1997, adottata ai sensi dell’art. 9, comma 2, del DPR n. 737/1981, il Consiglio provinciale di disciplina aveva proposto, con delibera del 22.10.2000, nei suoi confronti la destituzione ai sensi dell’art. 7 del D..P.R. n. 737/1981, delibera alla quale aveva fatto seguito, infine, il provvedimento impugnato, basato sul presupposto che con la sentenza in data 29.10.1999, divenuta irrevocabile dal 29.12.1999, del Tribunale di Torino, sezione distaccata di Susa, il ricorrente stesso era stato condannato, in applicazione dell’art. 444 c.p.p., alla pena di mesi tre di reclusione e £ 750.000 di multa.

     A sostegno del gravame, l’interessato deduceva, quindi, con nove motivi di diritto, censure di violazione art. 21 del DPR 737/1981; erronea e falsa applicazione art. 9 L. 19/90; violazione art. 9 del DPR 737 del 1981; (Corte cost. n. 197/1999); estinzione del procedimento disciplinare per decorso del termine perentorio; violazione art. 24 del CCNL Comparto Ministeri del 16.5.1995; estinzione del procedimento per decorso del termine perentorio; contraddittorietà tra più atti; violazione di norme interne e circolari; estinzione del procedimento disciplinare; violazione di legge; erronea applicazione art. 9 L. 19/90; illegittimità per violazione di legge; eccesso di potere; violazione art. 1 del DPR 737/1981; violazione art. 3 L. 241/90; mancanza e/o illogicità e/o contraddittorietà della motivazione;  illegittimità per violazione di legge; violazione artt. 19 e 20 DPR 737 del 1981; violazione della l. 241/90; illegittimità per eccesso di potere; mancanza di autonoma valutazione dei fatti, illegittimità per violazione di legge; violazione art. 1 del DPR 737 del 1981; eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti.

     Nel giudizio si costituiva l’Amministrazione intimata che si opponeva al ricorso, concludendo per la sua reiezione.

     2. Con la sentenza in epigrafe specificata, l’adito TAR accoglieva il proposto gravame, ritenendolo fondato in relazione al primo ed assorbente motivo, con il quale l’interessato aveva prospettato – richiamando l’art. 9, comma 2, della legge 7.2.1990 n. 19 e la decisione della Corte Costituzionale n. 197 del 1999 – l’inapplicabilità della predetta disposizione al personale dipendente dalla Polizia di Stato e l’applicabilità, invece, delle norme di cui al T.U. n. 737 del 1981 (in particolare, dell’art. 9, che fissa il termine di 120 giorni per la sottoposizione a procedimento disciplinare decorrente dalla pubblicazione della sentenza penale ex art. 444 c.p.p., e comunque dalla data di irrevocabilità); veniva così condivisa con detta pronuncia la tesi del ricorrente, che aveva appunto sostenuto che la sentenza che lo riguardava era passata in giudicato il 29.12.1999, sicchè, sommando a tale data giorni 120, il termine per l’avvio del procedimento disciplinare era scaduto il 27.4.2000, mentre nella specie l’ instaurazione del procedimento stesso era avvenuta soltanto in data 29.5. 2000 (data di contestazione degli addebiti) e, quindi, tardivamente.

     3. Avverso tale decisione del TAR Lazio, ritenuta erronea, ha proposto appello

     il Ministero dell’Interno,  deducendo, in sintesi, quanto segue:

     a) sarebbe errato il principio espresso nella sentenza impugnata in tema di termini da applicare per l’avvio  del procedimento disciplinare in questione, connesso ad un procedimento penale concluso con sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., dovendosi ritenere tale tipo di sentenza, quanto alla sussistenza del fatto, alla illiceità penale, all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, equiparata alla sentenza di condanna, di talché essa ha piena efficacia nel giudizio per responsabilità disciplinare, con la conseguenza che, in caso di procedimento disciplinare avviato a seguito di sentenza di patteggiamento, vanno applicati i termini di cui alla legge 7.3.1990, n.19, la quale disciplina appunto il procedimento disciplinare per destituzione connesso ad una sentenza di condanna, fissando, in tema di avvio, il termine di 180 giorni dalla data in cui la P.A. ha avuto conoscenza della sentenza irrevocabile;

     b) la sentenza della Corte Costituzionale n. 197 del 28.5.1999 richiamata dal ricorrente per sostenere l’inapplicabilità del termine predetto al caso in esame, ha affrontato in realtà il diverso problema relativo al termine finale previsto dalla legge 7.2.1990 n.19 per la conclusione del procedimento disciplinare in caso di sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., sostenendo che il termine di 90 giorni previsto dalla normativa anzidetta, non appare adeguato, giacchè, in tale ipotesi, l’Amministrazione potrebbe esperire autonomi accertamenti, che non siano stati eseguiti dal giudice penale, con la conseguenza che se c’è stata condanna a seguito di patteggiamento, per effetto della citata pronuncia della Corte il termine di 90 giorni previsto per la conclusione non si applica e si ritiene più logico che si applichi il termine complessivo di 270 giorni (180 giorni dalla data di conoscenza della sentenza definitiva, più 90 giorni per la conclusione);

     c) il termine di cui all’art.9, comma 6, del D.P.R. n.737/1981 riguarderebbe tutti i casi in cui vi è stata sentenza ma non di condanna e nell’ipotesi in esame è intervenuta una sentenza di patteggiamento che, quanto agli effetti sul procedimento disciplinare, conclusosi nella specie con la irrogata destituzione dal servizio, è pacifico che abbia la stessa valenza di una sentenza di condanna; sicchè appare chiaro che la normativa applicabile nel caso in esame non può essere che quella di cui alla legge 7.2.1990 n. 19, letta alla luce della citata sentenza della Corte Costituzione n. n.197/1999, in relazione alla quale si deve fare riferimento al termine complessivo di 270 giorni dalla data conoscenza della sentenza da parte della P.A a quella di emissione del decreto di destituzione, e che quindi la decisione n.10/2006 dell’Adunanza plenaria non ha stabilito in realtà che in caso di patteggiamento si applica la norma di cui all’art.9, comma 6, del D.P.R. n.737/1981, come invece avrebbe sostenuto erroneamente il TAR, essendo stata presa in considerazione in tale pronuncia un ipotesi del tutto diversa, ossia quella del procedimento penale conclusosi con sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione, ritenuta “assimilabile” alla sentenza penale di patteggiamento. 

     Resiste nell’attuale fase giudiziale l’originario ricorrente, che affida al deposito di memoria l’ulteriore illustrazione della propria posizione difensiva, concludendo per la reiezione dell’appello in esame, dopo avere riproposto, in parte, i motivi  di  primo grado, che il TAR ha dichiarato assorbiti.

     Alla camera di consiglio dell’8.7.2007 l’istanza incidentale di sospensione è stata accolta, considerati gli interessi coinvolti e ritenuta opportuna una sollecita definizione del merito.

     4. La causa è stata, infine, assunta in decisione, su conforme richiesta delle parti all’odierna pubblica udienza.

MOTIVI DELL DECISIONE

     1. Con l’impugnata sentenza il TAR del Lazio ha accolto il ricorso proposto dall’agente della Polizia di Stato @@@@@@@ @@@@@@@ avverso il decreto del 15.12.2000, con cui il Capo della Polizia gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio dall’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, ritenendo fondato il primo e assorbente mezzo di gravame (relativo alla denunciata violazione dell’art. 21 del DPR n. 737/1981), con il quale l’interessato, richiamando l’art. 9, comma 2, della legge 7.2.1990 n. 19 e la decisione della Corte Costituzionale n.197/1999, ha prospettato l’inapplicabilità della disposizione anzidetta al personale della Polizia di Stato e la applicazione delle diverse norme di cui al T.U n. 737 del 1981, in particolare dell’art.9, che fissa il termine di 120 giorni per la sottoposizione a procedimento disciplinare decorrente dalla data della pubblicazione della sentenza penale ex art. 444 c.p.p. e comunque dalla data della sua irrevocabilità (29.12.1999), sentenza che nella specie aveva applicato nei confronti del ricorrente la pena di tre mesi di reclusione e di £. 750.000 di multa con sostituzione della pena detentiva ex art. 53 della L. n.689/1981 nella corrispondente pena di £. 6.750.000.

     Ora, come sopra accennato, il Giudice adito ha annullato la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio disposta nei confronti  dell’interessato dal Capo della Polizia, ritenendo, nella sostanza, che al momento dell’inizio del procedimento il potere disciplinare si fosse già estinto a causa del superamento dei termini previsti dall’art. 9, comma 6, del DPR n. 737/1981, norma secondo la quale, appunto, “quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione”.

     2. Nel contestare siffatta statuizione, il Ministero appellante osserva sostanzialmente ora, con i rilievi sopra specificati al punto 3 lett. a),  b) e c),  che nella specie deve essere applicato invece il termine di 180 giorni dalla data di conoscenza della sentenza definitiva per l’avvio del procedimento disciplinare, più 90 giorni per la sua conclusione, a norma dell’art. 9, comma 2, della legge n.19/1990.

     3. Tale tesi dell’Amministrazione appellante non può essere condivisa.

     La consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, dalla quale la Sezione non ravvisa ragioni per discostarsi, ha  già rilevato che la norma contenuta nell'art. 9 della L. 7.2.1990 n. 19 – che stabilisce il termine perentorio di 180 giorni dalla data in cui l' Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna penale ai fini dell’avvio del procedimento disciplinare a carico di dipendenti pubblici - ha portata estensiva in tutto il settore del pubblico impiego ed è applicabile, pertanto, anche nei confronti del personale dipendente dalla  Polizia di Stato, in luogo della speciale normativa di settore di cui al D.P.R. 25.10.1981 n. 737.(cfr., Cons. St., IV Sez., 11.4.2003  n. 1933; e, più recentemente, VI Sez., 30.10.2006, n.6448; 12.2.2007, n.537); ma  ha anche stabilito che il termine di conclusione del procedimento disciplinare ha natura perentoria, tranne l’ipotesi, che è appunto quella della fattispecie all’esame, che tale procedimento consegua ad una sentenza penale di condanna pronunciata su accordo delle parti (la c.d. sentenza di patteggiamento); (in tal senso, cfr. Cons. St., Sez. VI n.537/2007 cit.; Ad. Pl., n. 4 e n.15, rispettivamente, del 25.1.2000 e n. 15 del 26.6. 2000).

     Ciò posto in via generale, non possono trovare favorevole ingresso, quindi, le argomentazioni svolte dall’Amministrazione appellante che insiste nel ritenere applicabile al caso in esame, per l’inizio del  procedimento disciplinare in questione il più lungo termine previsto dalla legge n.19/1990.

     Come osservato nella sentenza impugnata – che al riguardo ha richiamato i principi indicati dalla decisione n.10/2006 dell’adunanza Plenaria; e cioè, da una parte, l’applicabilità dell’art.9 L n.19/1990 anche al personale della Polizia di Stato nell’ipotesi in cui si sia in presenza di sentenza penale di condanna, e, dall’altra, la non applicabilità dell’art.9, comma 2, della legge appena citata nei casi di procedimento penale conclusosi con dichiarazione per intervenuta prescrizione e di sentenza penale di patteggiamento, ribadendo che già, con la sentenza 28.5.1999 n.197, la Corte Costituzionale ha escluso che la norma di cui all’art. 9, comma 2, L, n.19/1990 trovi applicazione quando il procedimento sia instaurato a seguito di sentenza che applichi la pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 c.p.p., non potendosi escludere, in tal caso, per le particolari modalità del procedimento penale, la necessità di autonomi accertamenti in sede disciplinare –  ritiene  il Collegio, infatti, che nel caso in esame debba applicarsi, in linea con la richiamata giurisprudenza, l’art.9 del D.P.R. n.737/1981, riferendosi il procedimento disciplinare instaurato  nei confronti dell’agente @@@@@@@ ad una sentenza irrevocabile “patteggiata” e che, pertanto, sussistendo nel procedimento stesso la violazione del termine previsto in tale norma, come denunciato nel giudizio di primo grado e ora ribadito dall’appellato, debba ritenersi corretta la statuizione dei primi giudici di annullamento degli atti impugnati col ricorso originario.

     Che sia l’art. 9, comma 6, del D.P.R. 737/1981 (che fissa appunto il termine di120 giorni ai fini dell’avvio del procedimento disciplinare) la disposizione applicabile al caso di specie discende dunque  dal fatto che il procedimento a carico del ricorrente è stato instaurato a seguito di una sentenza di “patteggiamento”, in presenza della quale non trovano applicazione i diversi termini stabiliti per l’avvio e la conclusione del procedimento disciplinare dall’art. 9 della legge n. 19/1990, che, in tema di destituzione dei pubblici dipendenti a seguito di condanna penale, secondo l’orientamento giurisprudenziale richiamato, ha portata estensiva in tutto il settore del pubblico impiego ed è, quindi, riferibile anche al personale della Polizia di Stato, in luogo della normativa speciale contenuta nel dianzi citato D.P.R. n. 737/1981.

     4. Nel caso in esame la violazione dedotta col primo motivo del ricorso originario deve ritenersi, dunque, sussistente in punto di fatto, come giustamente rilevato dal TAR Lazio, ove si consideri che il decorso del termine di cui all’art. 9, comma 6, del  D.P.R. 737/1981 presuppone l’irrevocabilità della sentenza penale emessa nei confronti del dipendente (cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. IV, 22.6.2004, n. 4464); e poiché la sentenza di condanna sopra menzionata è divenuta irrevocabile il 29.12.1999, l’instaurazione del procedimento disciplinare nei confronti dell’agente @@@@@@@, intervenuta mediante contestazione degli addebiti il 29.5.2000, risulta intempestiva, in quanto successiva alla scadenza del 120° giorno dalla data in cui la sentenza anzidetta era divenuta irrevocabile.

     5. Alla luce delle considerazioni come sopra svolte, le doglianze prospettate nell’odierno appello sotto i profili avanti precisati non appaiono idonee a scalfire le conclusioni a cui sono pervenuti i primi giudici nell’esaminare la questione sottoposta al loro esame.

     In conclusione, in ragione dell’applicabilità alla vicenda dell’art. 9 del citato DPR n.737 del 1981 e in base alla violazione del detto termine, il ricorso in appello deve essere respinto, senza che sia necessario passare all’esame delle riproposte censure della parte appellata, restate assorbite nella gravata pronuncia, la quale va quindi confermata, con la statuizione di annullamento dell’atto impugnato.

     Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe specificato, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado.

     Spese compensate.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

     Così deciso in Roma, il 13 novembre 2007 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori: