REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.5670/2008

Reg.Dec.

N.1773 Reg.Ric.

ANNO   2008

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 1773 del 2008 proposto dal sig. @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dagli Avvocati

c o n t r o

- il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, 12;

- il Capo della polizia di Stato – Dipartimento Generale della Pubblica Sicurezza, non costituito in giudizio;

per l’annullamento o la riforma

della sentenza n. 3813/07 del T.A.R. per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, Sez. III, depositata in data 9 novembre 2007;

     visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

     visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero intimato;

     viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

     visti gli atti tutti della causa;

     udito all’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2008 il Relatore,

     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

     L’appellante sig. @@@@@@@ @@@@@@@, già Sovrintendente della Polizia di Stato, riferisce di essere stato destituito dal servizio con il decreto del Capo della Polizia in data 31 gennaio 2007, impugnato in prime cure.

     Dall’esame della parte motiva del provvedimento è dato apprendere che il procedimento disciplinare conclusosi con l’adozione della sanzione destituiva era stato avviato in quanto, dal contenuto di alcune intercettazioni effettuate su utenze telefoniche a sua disposizione, “è emersa l’assidua frequentazione, senza ombra di dubbio, con un appartenente ad una associazione a delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, con il quale il dipendente intratteneva rapporti fiduciari e professionali, fornendo informazioni riservate relative ad attività di servizio e fissando con il predetto pluripregiudicato appuntamenti durante l'orario di servizio”.

     Ancora, nel provvedimento in questione si dava atto che “il dipendente, durante la trattazione orale, ha ammesso di conoscere il frequentare un pluripregiudicato ed altri pregiudicati a lui vicini (…)”.

     Pertanto, il provvedimento in questione concludeva nel senso che la specifica gravità dei fatti ascritti a carico del sig. @@@@@@@ risultasse inconciliabile con la permanenza nel Corpo di Polizia, che denotasse mancanza del senso dell’onore e della morale, che non desse garanzia ai fini dell’imparziale esercizio delle delicate funzioni demandate e, in definitiva, che avesse determinato in modo irrimediabile la compromissione del rapporto di fiducia con l’Amministrazione di appartenenza.

     Conseguentemente, il Capo della Polizia (in senso conforme alla proposta del Consiglio Provinciale di disciplina di @@@@@@@) riteneva nella specie sussistere i presupposti per procedere alla destituzione del dipendente, richiamando le previsioni di cui all’art. 7 del d.P.R. 25 ottobre 1981 (in tema di ‘Sanzioni disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti’), punti 1) (per atti che denotino mancanza del senso dell’onore o della morale), 2) (per atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento) e 3) (per grave abuso di autorità o di fiducia).

     Il provvedimento in questione veniva impugnato dal sig. @@@@@@@ innanzi al T.A.R. per la Puglia – Sezione staccata di Lecce il quale con la sentenza oggetto dell’odierno gravame lo respingeva.

     In particolare, il primo giudice riteneva: i) che nel caso di specie nessuna violazione procedimentale viziasse il provvedimento espulsivo; ii) che, con riferimento alla presunta inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ai fini disciplinari, il motivo non  potesse essere accolto in quanto il contenuto delle intercettazione in questione era stato comunque confermato dal sig. @@@@@@@ in sede di audizione orale; iii) che, nel merito, la determinazione tradottasi nell’adozione della gravissima sanzione espulsiva non presentasse profili di irragionevolezza, incongruità o irrazionalità, anche in considerazione della specifica gravità dei fatti addebitati all’odierno appellante.

     La sentenza in questione veniva gravata in appello dal sig. @@@@@@@, il quale ne chiedeva l’integrale riforma articolando un unico, complesso  motivo di doglianza.

     Si costituiva in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato, la quale concludeva nel senso dell’infondatezza della censura e quindi per la reiezione del ricorso.

     All’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2008 i Procuratori delle Parti costituite rassegnavano le proprie conclusioni ed il ricorso veniva trattenuto in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

     1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Sovrintendente della Polizia di Stato @@@@@@@ @@@@@@@ avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Sezione staccata di Lecce con cui è stato respinto il ricorso avverso il decreto di destituzione dal servizio adottato a suo carico, ai sensi dell’art. 7 del d.P.R. 25 ottobre 1981 (in tema di ‘Sanzioni disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti’).

     2. Con il primo motivo di ricorso il sig. @@@@@@@ lamenta l’erroneità della sentenza gravata per la parte in cui ha ritenuto provati i fatti a lui addebitati (come risultanti dalle intercettazioni telefoniche) senza valutare l’irritualità ed inutilizzabilità dei verbali in questione anche ai fini disciplinari, per violazione degli artt. 269 (in tema di limiti temporali alla conservazione dei verbali di intercettazione) e 270 (in tema di limiti all’utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli in cui sono state disposte ed assunte) del codice di procedura penale.

     In particolare, la sentenza in questione risulterebbe erronea per la parte in cui ha ritenuto che le richiamate ragioni non ostassero comunque all’utilizzo dei verbali in questione ai fini disciplinari, atteso che “i fatti emersi in sede di intercettazioni telefoniche, denotanti frequentazioni del ricorrente con pregiudicati, aventi ad oggetto anche la disponibilità a fornire informazioni attinenti all’attività di servizio, sono stati confermati dall’interessato in sede di audizione orale” (sentenza, cit., pag. 4).

     Nella tesi dell’appellante, l’affermazione in questione sarebbe censurabile sin dai presupposti di fatto, atteso che egli non avrebbe in alcun modo ‘confermato in contraddittorio’ i contenuti delle intercettazioni, avendone piuttosto fornito una lettura diversa rispetto a  quella fatta propria dall’Amministrazione (a tal fine, il sig. @@@@@@@ si riporta a quanto da lui stesso affermato in sede disciplinare nel corso delle audizioni in data 13 ottobre e 14 dicembre 2006).

     Nel merito della questione, inoltre, egli richiama singulatim il contenuto di alcune delle telefonate in contestazione, al fine di sottolineare l’irrilevanza dei relativi contenuti (irrilevanza confermata, del resto, dal fatto che con provvedimento in data 6 luglio 2006, il G.I.P. presso il Tribunale di Lecce avesse disposto l’archiviazione del procedimento penale instaurato a suo carico in relazione ai medesimi fatti, ritenendo la carenza di riscontri decisivi in merito all’attività di indagine svolta).

     2.1. Il motivo, nel suo complesso, non può essere condiviso.

     Al riguardo, il Collegio ritiene di confermare la correttezza della sentenza gravata per la parte in cui ha ritenuto che, anche a prescindere dalla ritualità dell’acquisizione delle intercettazioni (e della conseguente verbalizzazione) in sede penale, nondimeno i fatti storici in esse documentati fossero stati comunque confermati – almeno nella loro materialità – dell’odierno appellante, il quale si era piuttosto limitato a fornirne una diversa lettura nell’ottica della gravità ai fini disciplinari.

     In definitiva, il fatto storico rappresentato dalle avvenute conversazioni con alcuni pregiudicati non solo non è stato negato dal sig. @@@@@@@ in sede disciplinare, ma inoltre è stato confermato nello stesso atto d’appello, laddove il medesimo sig. @@@@@@@ ha richiamato le singole conversazioni oggetto di verbalizzazione, sia pure al diverso fine di fornirne una chiave di lettura diversa rispetto a quella fatta propria dal Ministero appellato e dal primo giudice.

     3. Ancora con il primo motivo di ricorso (sostanzialmente riproduttivo di analogo motivo già articolato in primo grado) il sig. @@@@@@@ contesta la correttezza del provvedimento di destituzione per avere erroneamente ed immotivatamente ravvisato nelle condotte a lui ascritte i presupposti per l’irrogazione della sanzione espulsiva di cui all’art. 7 del d.P.R. 737 del 1981 (articolo che elenca le ipotesi di illecito disciplinare che danno luogo al provvedimento di destituzione).

     Nella tesi dell’appellante, le condotte a lui ascritte avrebbero piuttosto dovuto essere ascritte all’ipotesi disciplinare di cui all’art. 4, secondo comma, n. 3) (il quale punisce con la pena pecuniaria le ipotesi di mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico di estimazione), ovvero all’ipotesi di cui all’art. 6, terzo comma, n. 7) (il quale punisce con la sospensione dal servizio le ipotesi di “assidua frequenza, senza necessità di servizio ed in maniera da suscitare pubblico scandalo, di persone dedite ad attività immorale o contro il buon costume, ovvero di pregiudicati”).

     Ad ogni modo, non sussisterebbero nel caso di specie i presupposti per applicare la grave sanzione della destituzione (sotto tale profilo, l’illegittimità dell’operato dell’Amministrazione emergerebbe con tanta maggiore evidenza dal momento che la Amministrazione avrebbe ritenuto sussistere in modo cumulativo ben tre delle ipotesi espulsive di cui all’art. 7, cit.).

     Il motivo è fondato e meritevole di accoglimento.

     In particolare, il Collegio osserva che, nel ricondurre la condotta contestata al sig. @@@@@@@ alla più grave ipotesi espulsiva di cui all’art. 7, d.P.R. 737, cit., l’Amministrazione appellata non sembra aver applicato in modo adeguato i generali principi di tipicità/tassatività e di gradualità delle sanzioni applicabili a fronte di ciascuna ipotesi di violazione disciplinare.

     Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale dal quale non si rinvengono nel caso di specie motivi onde discostarsi, se è vero che in via generale l’applicazione del principio di proporzionalità dell'azione amministrativa, ed il suo corollario in campo disciplinare rappresentato dal c.d. gradualismo sanzionatorio, non consentono in via ordinaria al giudice amministrativo di sostituirsi alle valutazioni discrezionali compiute dall'autorità disciplinare, nondimeno un siffatto sindacato ab externo risulta comunque possibile quante volte le determinazioni dell’Amministrazione presentino profili di palese incongruità (sul punto, cfr. – ex plurimis -: Cons. Stato, Sez. IV, sent. 31 maggio 2007, n. 2830; id., Sez. IV, sent. 18 dicembre 2006, n. 7615).

     Questo essendo il sostrato concettuale entro il quale inquadrare la risoluzione della vicenda di causa, il Collegio osserva che la determinazione sanzionatoria assunta dal Ministero risulti affetta dai lamentati profili di incongruenza per la parte in cui ha ritenuto di irrogare la più grave sanzione della destituzione dal servizio, nonostante le condotte contestate all’odierno appellante fossero più agevolmente riconducibili alle ipotesi di cui agli artt. 4 e 6 del d.P.R. 737, cit.

     In particolare, dagli atti di causa emerge che la frequentazione dell’odierno appellante con il pregiudicato Di Lauro, per le modalità concrete con cui risulta realizzata, fosse sostanzialmente riconducibile (alla luce dei richiamati principi di tipicità e gradualità) all’ipotesi di cui all’art. 6, terzo comma, n. 7), d.P.R. cit. (“assidua frequenza, senza necessità di servizio ed in maniera da suscitare pubblico scandalo, di persone dedite ad attività immorale o contro il buon costume, ovvero di pregiudicati”).

     Occorre sottolineare che l’impostazione in questione non implica in alcun modo una sorta di automatismo nella graduazione delle sanzioni (il quale risulterebbe irragionevole, avendo l’effetto di privare l’Amministrazione di un qualunque potere di vaglio sulle fattispecie concrete di volta in volta sottoposte al proprio esame).

     Tuttavia, una volta accertato che la condotta dell’appellante risultava tipicamente riconducibile ad una determinata fattispecie sanzionatoria, in tanto l’Amministrazione avrebbe potuto legittimamente irrogare una sanzione maggiormente affittiva rispetto a quella tipicamente prevista per quella determinata tipologia di illecito, in quanto fossero emersi dagli atti del procedimento ulteriori e puntuali elementi  di specifica gravità tali da motivatamente giustificare l’irrogazione di una sanzione maggiormente affittiva.

     Tuttavia, se è vero che dagli atti in questione emergevano elementi di obiettiva gravità riconducibili all’assidua frequentazione con il pregiudicato in questione e con i rapporti di consuetudine con lo stesso instaurati, d’altra parte non emergevano ulteriori e specifici elementi atti a configurare i contestati profili di “mancanza del senso dell’onore o del senso morale”, ovvero di “grave abuso di autorità o di fiducia”.

     Si tratta, come è evidente, di profili che possono tendenzialmente essere ravvisati in concreto solo a fronte di condotte obiettivamente qualificate sotto il profilo penalistico e che, in ogni caso, non possono essere fatti coincidere con il  mero dato delle sconvenienti frequentazioni con soggetti dalla condotta non commendevole.

     Sotto tale aspetto, quindi, l’opinamento secondo cui la condotta ascritta al sig. @@@@@@@ palesasse “mancanza del senso dell’onore o del senso morale”, “grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento” e “grave abuso di autorità o di fiducia” resta sostanzialmente immotivato a palesa un’irragionevole discrasia con quanto in concreto emerso a carico dell’odierno appellante.

     Ebbene, poiché dagli atti di causa non emerge alcuna particolare configurazione (anche) penalistica delle condotte ascritte al sig. @@@@@@@, limitandosi piuttosto la sua condotta ad una sconveniente consuetudine con soggetti pregiudicati, ne consegue l’illegittimità delle determinazioni sanzionatorie assunte dall’Amministrazione, in quanto violative dei richiamati canoni di tipicità e gradualità

     4. L’accoglimento del ricorso in epigrafe per le ragioni evidenziate infra, sub 3 esime il Collegio dall’esame puntuale dell’ulteriore motivo di doglianza fondato sulla circostanza per cui il sig. @@@@@@@ avrebbe appreso soltanto nel corso del giudizio di appello che l’avvio del procedimento disciplinare a proprio carico non risultava comunicato al Sindacato del quale faceva parte in qualità di Vicario del Segretario Generale (tanto, in violazione della previsione di cui all’art. 32 del d.P.R. 395 del 1995).

     5. In base a quanto esposto, il ricorso in epigrafe deve essere accolto e pertanto, in riforma della sentenza gravata, deve essere annullato il provvedimento impugnato in primo grado, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti di competenza dell’Amministrazione appellata..

     Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite per entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, dispone l’annullamento del provvedimento impugnato in primo grado, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti di competenza dell’Amministrazione appellata.

     Spese compensate.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, il giorno 8 luglio 2008, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez. VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori: