IMPIEGO PUBBLICO
Cons. Stato Sez. VI, 09-06-2010, n. 3662
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con la decisione in epigrafe appellata il Tar ha accolto il ricorso di primo
grado con il quale era stato chiesto dall' odierna parte appellata -in qualità
di sovrintendente di Polizia in servizio presso la Questura di @@@@@@@ -
l'annullamento del decreto di destituzione datato 26 novembre 2004 (quest'ultimo
era così motivato: "accertato che il predetto (@@@@@@@) è stato deferito al
consiglio provinciale di disciplina per:
aver tentato di interferire nell'attività di accertamento delle responsabilità
di un incidente stradale;
essersi indebitamente adoperato per agevolare la trattazione di pratiche di
regolarizzazione di cittadini extracomunitari irregolari o addirittura
sottoposti a provvedimenti restrittivi della libertà personale;
aver fornito a soggetto estraneo all'amministrazione informazioni sulle attività
svolte nei suoi confronti dalla locale Squadra Mobile;
Accertata la più assoluta mancanza del senso dell'onore e della morale, in
quanto, nella sua qualità di tutore dell'ordine avrebbe dovuto considerare il
disvalore della sua azione ed astenersi dalla commissione dei fatti... decreta
(...)Il Sovrintendente (...) è destituito...".).
Erano state esposte nel mezzo introduttivo del ricorso di primo grado sei
distinte censure, ciascuna delle quali a propria volta articolata in ulteriori
motivi di doglianza volti a rilevare i vizi di violazione di legge e di eccesso
di potere dai quali sarebbe stata connotata l'azione amministrativa.
Parte appellata aveva inoltre impugnato la disposizione n. 333D/47985 del 22
luglio 2005, con la quale egli era stato comandato a sottoporsi ad accertamenti
attitudinali, e la comunicazione di cessazione del servizio datata 3 agosto
2005.
Parte appellata aveva riferito, in punto di fatto, che il Consiglio di Stato,
con ordinanza n. 3287/2005, aveva riformato il provvedimento cautelare reiettivo
di primo grado sulla base del fatto che "allo stato degli atti il motivo di
gravame concernente la tardività dell'atto di contestazione degli addebiti
disciplinari, ha consistenza tale da giustificare la concessione della misura
cautelare".
Di seguito alla notifica dell'ordinanza, la direzione centrale per le risorse
umane aveva comunicato alla questura di @@@@@@@ una generica riassunzione in
servizio, (mai eseguita, peraltro) precisando che era in corso di
perfezionamento il decreto di esecuzione dell'ordinanza, contestualmente
disponendo che il @@@@@@@ si sottoponesse ad accertamenti attitudinali.
Eseguiti i predetti accertamenti attitudinali, un funzionario dalla firma
illeggibile aveva disposto una seconda arbitraria destituzione, decretando la
cessazione dal servizio dell'appellato a decorrere dal 4 agosto 2005 per
accertata inidoneità attitudinale ai servizi di polizia.
Anche questi atti sono stati impugnati da parte appellata, che aveva
sottolineato - proponendo cinque motivi di censura - la arbitrarietà
dell'iniziativa dell'amministrazione che aveva lo aveva sottoposto ad
accertamenti psicofisici ed attitudinali pur non essendo questi mai stato
riammesso in servizio (peraltro trattavasi di accertamenti propri di candidati
partecipanti al concorso di PS).
Posto che - a seguito di ordinanze cautelari rese dal Consiglio di Stato, con
nomina di commissario ad acta - il Questore aveva decretato la riammissione in
servizio del @@@@@@@ a decorrere dal 18 marzo 2006 e che, contemporaneamente al
decreto di riassunzione in servizio, l'amministrazione aveva provveduto, con
separati atti, a sottoporlo a nuovi accertamenti, questa volta di tipo
psicofisici, parte appellata aveva gravato anche detti atti in ultimo
menzionati, facendo presente che il decreto di riassunzione era del tutto
generico ed inadempiente agli ordini giudiziali in quanto privo di statuizioni
in ordine all'effettivo ufficio da ricoprire ed ai compiti da svolgere da parte
del dipendente riammesso, della indicazione delle incombenze conseguenti alla
riammissione in servizio del dipendente, comprese quelle economiche e della
riserva di invio del provvedimento all'ufficio centrale del bilancio per il
visto.
Esso costituiva soltanto un espediente per giustificare una nuova convocazione
del dipendente ai controlli pscicoattitudinali al fine di poter reiterare la
dichiarazione di generica inidoneità ai servizi di polizia e conseguentemente
estrometterlo dal servizio contestandogli una nuova cessazione dallo stesso: la
reiterazione degli accertamenti era giustificata solo da ragioni di accanimento
persecutorio.
Il Tar adito, mercè la decisione appellata, ha accolto il ricorso.
I primi Giudici hanno rammentato che il decreto di destituzione datato 24
novembre 2004 emanato dal Capo della Polizia e Direttore Generale, notificatogli
il 4 dicembre 2004 era stato adottato a seguito del procedimento disciplinare
avviato nei suoi confronti mediante contestazione degli addebiti del 23 giugno
2004 (detti addebiti riguardavano fatti emersi dalle intercettazioni telefoniche
registrate dalla procura di Firenze i cui verbali erano stati trasmessi alla
questura di @@@@@@@ dalla procura della Repubblica presso il tribunale di
@@@@@@@).
In precedenza egli (in data 23 giugno 2003) era stato sospeso in via cautelare
dal servizio ai sensi dell'art. 9, comma II, DPR n. 737/1981, giacché imputato
del reato di cui agli artt. 81 e 648 c.p. (i fatti per i quali il @@@@@@@ era
stato tratto a giudizio dinanzi al giudice penale riguardavano, però, una
vicenda del tutto diversa ed estranea ai fatti incidentalmente emersi nel corso
delle intercettazioni telefoniche, e da essi successivamente, egli era stato
assolto in sede penale per i reati ascrittigli).
Sulla scorta dei verbali delle intercettazioni trasmessi dalla procura della
Repubblica di @@@@@@@, l'amministrazione appellante aveva successivamente deciso
di aprire un autonomo, distinto procedimento disciplinare culminato nella
impugnata destituzione.
Incontestata la circostanza che i fatti oggetto dell'addebito datato 23 giugno
2004 erano diversi ed autonomi rispetto a quelli che avevano giustificato la
sospensione cautelare dal servizio (poi revocata a seguito di assoluzione
penale), secondo il Tar appariva evidente che la data di acquisizione dei
verbali delle intercettazioni telefoniche, coincidendo con quella di conoscenza
dei fatti posti alla base del procedimento disciplinare culminato nella
destituzione era decisiva per stabilire la tempestività o meno della
comunicazione all'appellato della nota di contestazione.
Sul punto, era incontestato che la Questura era venuta a conoscenza dei fatti
sottesi al (nuovo, culminato con decreto di destituzione ed oggetto di
impugnazione) procedimento disciplinare sin dal febbraio del 2003 (rilascio
degli atti da parte della Procura di @@@@@@@) ovvero, al più tardi ed a tutto
concedere, non oltre il 23 giugno 2003, epoca in cui fu adottata (sulla base
degli atti trasmessi dalla magistratura ordinaria) la sospensione cautelare del
servizio per i (diversi ed autonomi) fatti relativi al procedimento penale n.
151/03 che era culminato nella statuizione penale assolutoria.
A questa data l'amministrazione disponeva senz'altro, per sua stessa ammissione,
anche dei verbali delle intercettazioni telefoniche contenenti le circostanze
fatte oggetto degli addebiti solo in seguito mossi all'originario ricorrente di
primo grado.
Il Tar ha rilevato che per i procedimenti relativi all'applicazione delle
sanzioni disciplinari al personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza
non era previsto alcun termine perentorio per la contestazione degli addebiti
(art. 12, D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737). Sennonché, richiamandosi ad
eterointegrazione della disciplina (art. 31) la procedura prevista per gli
impiegati dello Stato, il Collegio ha ritenuto che per obiettive esigenze di
omogeneità di trattamento dovessero necessariamente estendersi anche al
personale della polizia quelle garanzie previste per i procedimenti disciplinari
degli impiegati dello stato, tra cui la norma che impone di contestare "subito"
gli addebiti (art. 103, c. II, T.U. 3/1957).
I fatti storici - pur se di particolare gravità - imputati al @@@@@@@ sulla base
di riscontri oggettivi e documentati risalivano all'anno 2002 ed erano stati
conosciuti dall'amministrazione procedente nel febbraio del 2003 ovvero, al più
tardi, il 23 giugno 2003: l'apertura del procedimento disciplinare era datata 23
giugno 2004 (almeno un anno dopo).
Essa era intervenuta in epoca, dunque, oggettivamente e senza alcun dubbio
"tardiva".
La tardività rilevava ancor più, sotto l'autonomo profilo viziante dell'eccesso
di potere, in considerazione della circostanza che l'amministrazione, pur a
conoscenza di tutti i fatti, aveva deciso di avviare il procedimento
disciplinare (recte, sospensione cautelare dal servizio) esclusivamente le
condotte di cui al procedimento penale n. 151/03 (conclusosi con l'assoluzione)
e non anche per i fatti (autonomi e diversi da quelli contestati nell'ambito del
procedimento penale suddetto) emersi nel corso delle intercettazioni
telefoniche, aspettando per la loro contestazione che trascorresse più di un
anno.
Con ciò del tutto obliando l'autonomia del procedimento disciplinare che la
onerava di avviare la contestazione immediatamente rispetto ad una eventuale,
futura imputazione di reato per quei medesimi fatti.
Il Tar ha pertanto accolto il ricorso principale, ritenendo l'azione
amministrativa viziata per tardività ritenendo assorbite in tale statuizione le
ulteriori doglianze proposte.
Quanto al ricorso per motivi aggiunti, esso è stato del pari ritenuto fondato
dai primi Giudici in quanto l'art. 2 del D.M. n. 198/2003 faceva riferimento ad
accertamenti di idoneità in corso di servizio, limitandoli testualmente a quelli
di tipo fisico e psichico, non già a quelli di tipo attitudinale, riservati ex
art. 1 del medesimo D.M. ai soli candidati ai concorsi per l'accesso ai ruoli
del personale della Polizia dello Stato: si è all'uopo richiamato l'orientamento
giurisprudenziale secondo il quale risultava " del tutto paradossale sottoporre
un dipendente già in servizio ai medesimi accertamenti attitudinali richiesti ai
candidati ai concorsi per l'accesso, sotto un duplice profilo; l'attitudine
risulta invero già accertata al momento dell'accesso e, quale "disposizione
naturale a una cosa", riesce davvero difficile ipotizzare che muti (ed è dunque
del tutto logico che i controlli periodici per i dipendenti in servizio siano
limitati agli accertamenti fisici e
psichici); ma, ove mai potesse ritenersi possibile un riaccertamento
dell'idoneità attitudinale, neppure è spiegato - il che rifluisce come difetto
di motivazione dei provvedimenti impugnati - come il mero decorso del tempo
possa in astratto, ovvero abbia potuto in concreto, incidere sulle attitudini
del dipendente, in maniera tale da farlo giudicare non idoneo".
Anche il secondo ricorso per motivi aggiunti è stato accolto dal Tar:
nell'ordinanza n. 4924/2005 il Consiglio di Stato aveva dato ordine di assegnare
il @@@@@@@, sia pure nelle more del giudizio di merito, ad un ufficio diverso da
quello precedentemente ricoperto.
Il decreto impugnato, (definito dai primi Giudici un "simulacro") era talmente
generico (non era stata riesaminata la posizione del dipendente alla luce
dell'asserito stato di inidoneità; non era stato individuato l'ufficio di
assegnazione, né constavano i compiti assegnati al dipendente ovvero era stata
indicata la qualifica rivestita da cui poterne ricavare il fascio di
prerogative, doveri, obblighi e diritti del dipendente medesimo) da doversene
dichiarare l'elusività e la conseguente nullità ai sensi dell'art. 21 septies,
legge n. 241 del 1990.
Del pari, secondo il Tar di Latina, illegittimo s'appalesava il provvedimento
con il quale l'amministrazione aveva inteso sottoporre il ricorrente ad
accertamenti psicofisici in quanto affetto da sviamento: l'occasione che aveva
dato origine alla disposta visita in corso di rapporto era stata fornita dai
fatti che hanno dato origine alle disposte destituzioni.
Una tale evenienza giammai avrebbe potuto giustificare siffatti accertamenti non
potendosi ipotizzare in concreto alcuna correlazione - in termini di obiettiva
necessità ed in difetto di una specifica motivazione - con quei fatti.
La difesa erariale dell'amministrazione ha censurato la predetta sentenza
chiedendone l'annullamento in quanto viziata da errori di diritto ed
illegittima.
Quanto alla dedotta tardività della destituzione, essa era insussistente in
quanto la sentenza di assoluzione nel procedimento penale nell'ambito del quale
era stata disposta la sospensione dal servizio (poi revocata a seguito
dell'assoluzione medesima) era stata depositata il 9.4.2004, e l'azione
disciplinare (culminata nella destituzione) era stata avviata con la
contestazione degli addebiti il 26.5.2004: il termine di 120 giorni ex art. 9
co.VI del DPR n. 737/1981 era stato pertanto rispettato.
Antecedentemente alla sentenza penale l'amministrazione non avrebbe potuto
contestare gli addebiti al dipendente medesimo in quanto questi (seppur autonomi
rispetto all'imputazione di ricettazione) erano comunque "inglobati" nel
procedimento penale ed eventualmente in detta sede contestabili ex art. 517 cpp.
Comunque, ai sensi dell'art. 9 del DPR n. 737/1981, ricorreva la fattispecie di
"fatti emersi nel corso di un procedimento penale", di guisa che doveva
applicarsi il termine di 120 giorni contemplato dalla citata disposizione.
Anche il provvedimento reso il 22.7.2005 era legittimo in quanto necessitato a
cagione del tempo trascorso dalla cessazione ed altresì dei fatti determinativi
del provvedimento espulsivo.
Detti fatti, se anche perenti sotto il profilo disciplinare, potevano essere
valutati sotto il profilo della permanenza dei requisiti attitudinali.
Né tale provvedimento aveva valenza elusiva: se anche il tempo trascorso fosse
stato un elemento "imputabile" all'amministrazione, ugualmente ci si doveva
assicurare che il dipendente reimmesso possedesse i requisiti necessari per
attendere alle delicatissime funzioni cui era preposto.
Gli accertamenti potevano essere disposti anche dopo la destituzione, non
rinvenendosi preclusione alcuna ex art. 2 del D.M. n. 198/2003.
Parte appellata ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione del
gravame in quanto infondato: la pervicace volontà persecutoria
dell'amministrazione emergeva dalla esatta ricostruzione del Tar che meritava
piena conferma.
Alla camera di consiglio 31.7.2007 fissata per l'esame dell'istanza cautelare di
sospensione della esecutività della sentenza appellata la Sezione con ordinanza
n. 4143/2007 ha respinto l'appello cautelare sotto il profilo della carenza di
fumus, affermando che "da un lato la tesi dell'amministrazione in ordine alla
decorrenza del termine di contestazione dell'addebito disciplinare non è
condivisibile (posta l'autonomia del medesimo rispetto al thema decidendum del
processo penale), dall'altro gli accertamenti attitudinali e psicofisici cui è
stato sottoposto il dipendente al momento della riammissione in servizio - pur
astrattamente ammissibili - appaiono viziati da eccesso di potere.".
Motivi della decisione
La sentenza deve essere confermata previa declaratoria di infondatezza
dell'appello.
E' certamente infondata la contestazione che la difesa erariale dell'appellante
amministrazione muove al capo dell'appellata decisione che ha affermato la
tardività dell'avvio dell'azione disciplinare.
Ciò sotto una pluralità di angoli prospettici.
Va premesso che parte appellante non contesta, in punto di fatto, la circostanza
che "i fatti storici imputati al @@@@@@@ risalivano all'anno 2002 ed erano stati
conosciuti dall'amministrazione procedente nel febbraio del 2003 ovvero, al più
tardi, il 23 giugno 2003".
Anzi, ciò ammette (si veda pag. 6 dell'appellata decisione, e punto 1.3, pag 8
della medesima, allorchè fa presente che l'amministrazione, "nella
consapevolezza che i verbali delle intercettazioni fossero stati acquisiti al
procedimento pendente, ha atteso l'esito del procedimento...").
Sostiene però che detta condotta era (non solo legittima ma anche) doverosa,
alla stregua dell'art. 11 del DPR n.737/1981 (recante rubrica Procedimento
disciplinare connesso con procedimento penale: "Quando l'appartenente ai ruoli
dell'Amministrazione della pubblica sicurezza viene sottoposto, per gli stessi
fatti, a procedimento disciplinare ed a procedimento penale, il primo deve
essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza
passata in giudicato").
Senonchè, nell'esprimere tale convincimento, trascura due decisive circostanze.
La prima di esse, riposa nel fatto (incontestato) che il procedimento penale
venne avviato per fattispecie - e condotte -del tutto distinte ed autonome da
quelle sottese al provvedimento destitutivo.
Id est: "procedimento penale", per le condotte assumenti rilievo destituivo
oggetto del provvedimento in ordine alla cui legittimità si controverte, non vi
fu mai, e non si vede perché l'amministrazione abbia sentito l'esigenza di
attendere l'esito del procedimento penale avviato per la distinta fattispecie di
ricettazione e conclusosi con l'assoluzione.
Vero è che i fatti erano contenuti in verbali di intercettazioni acquisiti
nell'ambito del suindicato processo.
Ma è vero altresì che: trattavasi di atti investigativi ostesi e non coperti da
segreto; che riguardavano fattispecie comportamentale differente; che l'azione
penale, per detti fatti, non fu mai avviata.
In secondo luogo, anche ove la tesi dell'amministrazione avesse un qualche
profilo di fondatezza (il che non è, per il vero), essa non chiarisce perché,
nelle more dell'avvio del procedimento penale suindicato, conclusosi con
l'assoluzione dell'appellato, comunque non sia stata intrapresa l'azione
disciplinare, posto che, secondo la costante giurisprudenza "ai sensi dell'art.
11 d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737, presupposto ostativo alla prosecuzione del
procedimento disciplinare è l'esercizio dell'azione penale, la quale ha inizio
nel momento in cui il soggetto indagato acquista la veste di
imputato."(Consiglio Stato, sez. VI, 23 maggio 2006, n. 3069).
La contraddizione in cui incorre l'appellante amministrazione poi, diviene ancor
più evidente allorchè essa ha fatto riferimento (pag 6 del ricorso in appello,
doglianza rubricata al n. 1.2) al disposto dell'art. 9 co.VI del predetto DPR n.
737/1981 ("Quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e
circostanze che rendano l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della
pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere
sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data
di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di
notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione.")
Ciò perché, detta disposizione prevede l'emergere di fattispecie
disciplinarmente rilevanti nel corso dell'attività processuale e non può essere
estesa alla distinta ipotesi in cui esse fossero emerse e conosciute in data ben
antecedente (allorchè cioè, i verbali di intercettazione furono trasmessi
all'amministrazione e da questa conosciuti).
Di certo v'è che le condotte sottese al provvedimento destitutivo non furono
perseguite penalmente con autonomo procedimento; che non furono oggetto di
contestazione dibattimentale suppletiva (ipotesi adombrata dall'appellante,
quest'ultima, ed anche astrattamente assai ardua, trattandosi di fattispecie non
connesse, se non sotto il penalprocessualmente irrilevante profilo dello
strumento probatorio che ne consentì l'accertamento: si rammenta che l'art. 517
cpp fa riferimento ai casi di connessione ex art. 81 cpv cp, mentre il
successivo art. 518 cpp, legittima la contestazione suppletiva del "fatto nuovo"
ove essa emerga dibattimentalmente, e non già, come nel caso di specie, ove già
nota in fase investigativa).
In ultimo: già sotto il profilo della compatibilità sistematica la tesi
dell'amministrazione appellante appare inaccoglibile, laddove, obliando il
principio di autonomia tra accertamento disciplinare e penale (ancora di
recente: "in base al principio generale dell'autonomia del procedimento
disciplinare rispetto a quello penale, l'amministrazione, specialmente nel corso
di proscioglimento del dipendente per insufficienza di prove, deve procedere ad
un'autonoma valutazione dei fatti, fornendo di adeguata motivazione la eventuale
sanzione adottata, ben potendo i medesimi fatti, ritenuti penalmente
irrilevanti, condurre alla destituzione."Consiglio Stato, sez. IV, 05 ottobre
2004, n. 6490) giunge a sostenere che, purchè la scoperta di un fatto rilevante
disciplinarmente sia ascrivibile ad una attività investigativa sfociata in un
procedimento penale, ancorchè quest'ultimo sia stato promosso per fatti diversi
ed autonomi, esso paralizza sempre e comunque l'esercizio dell'azione
disciplinare per condotte diverse non contestate in sede penale.
Essa infine conduce a conseguenze non logiche, posto che tale "paralisi", in
quanto dipendente dall'evolvere di un distinto processo penale per fatti
autonomi, potrebbe protrarsi per un arco temporale assai lungo, di fatto
imponendo/consentendo un esercizio dell'azione disciplinare interveniente a
distanza temporale consistente rispetto ai fatti (ed alla conoscenza di essi da
parte dell'amministrazione) con conseguente ingiustificato stato di incertezza
del dipendente circa la propria posizione.
In ultimo, detta tesi collide, sotto il profilo sistematico, con la opposta
disciplina vigente nel codice di rito penale in materia di decorrenza delle
misure cautelari personali, ex art. 297 co. III cpp che vietando la c.d.
"contestazione a catena, o a grappolo", ha posto un limite invalicabile
(determinato proprio dalla anticipata conoscenza del fatto in capo alla pubblica
accusa) alla intrapresa parcellizzata e dilazionata nel tempo di una pluralità
di iniziative restrittive della libertà personale in capo al medesimo soggetto.
La censura, conclusivamente, merita la reiezione.
Quanto alle altre due doglianze mosse dall'appellante amministrazione, esse,
come dianzi evidenziato, attingono i capi della decisione in epigrafe che hanno
ritenuto illegittimo per carenza motivazionale il provvedimento del 22.7.2005
con il quale si è ritenuto di sottoporre l'appellato, dipendente già in
servizio, a visita attitudinale ed altresì viziato il provvedimento di
riammissione del 2006 e l'ordine di sottoposizione a nuovi accertamenti
psicofisici.
Il Collegio è a conoscenza del dictum reso dalla Sezione con la decisione n.
1777/2007, sul quale la difesa erariale fonda le propri prospettazioni.
Senonchè non è in contestazione nel caso di specie la possibilità astratta di
disporre i prescritti accertamenti nei confronti dei dipendenti della Polizia di
Stato, quanto l'esercizio in concreto del potere amministrativo.
E' agevole rilevare che nel caso in oggetto la specificità della situazione
fattuale depone per le numerose ragioni di seguito illustrate per la reiezione
delle doglianze, come peraltro lucidamente rilevato dalla Sezione già in sede di
delibazione cautelare.
A quanto in proposito evidenziato dal Tar, può infatti aggiungersi che in primo
luogo, infatti, l'amministrazione non contesta l'esito della visita successiva a
quella dell'1/4 agosto 2005.
Ed a tal proposito, è bene rammentare che con nota 11.1.2007 prot. 333D/0171519
la stessa amministrazione ha dato atto che lo stesso appellato, visitato dalla
Commissione per la valutazione medicolegale e la idoneità dei dipendenti, lo
aveva giudicato idoneo al servizio.
Al contempo, neppure è contestata o è stata altrimenti smentita la circostanza
che l'appellato, nel corso della pregressa visita, si fosse presentato sebbene
versante in stato di infermità.
Tali circostanze già inducono a fondatamente dubitare non soltanto della
fondatezza delle doglianze in oggetto, ma dello stesso interesse
dell'amministrazione a sollevarle, a fronte di un nuovo accertamento medico ex
officio che ha sancito l'idoneità al servizio dell'appellato.
Tale rilievo è troncante, e milita per la reiezione del gravame.
Ma in più, e per completezza, non può non evidenziarsi un aspetto.
Questa Sezione ha reso in passato ben due ordinanze cautelari (si vedano in
particolare la n. 4924/05 e la n. 5937/05, oltre che la n. 530/2006 di nomina
del commissario ad acta) mercè le quali è rimasta processualmente accertata la
sostanziale inottemperanza dell'amministrazione, protrattasi nel tempo, alle
determinazioni cautelari giudiziali.
Appare quantomeno singolare, a fronte di tale (accertata, lo si ripete)
situazione, che la necessità di sottoporre ad accertamenti psicofisici, ed
attitudinali, del dipendente "cessato" per destituzione, venga "giustificata"
con il decorso del tempo trascorso senza che questi svolgesse l'attività
d'istituto, obliando la circostanza che detto decorso fosse dipeso dall'inerzia
dell'amministrazione.
Il difetto di motivazione del provvedimento del 22.7.2005, poi, emerge dalla
stessa formulazione del ricorso in appello (punto 2.1)laddove si rileva che la
"causale" di tale accertamento riposava (oltre che nel decorso del tempo,
circostanza sulla quale ci si è già soffermati) "sui fatti che determinarono a
suo tempo il provvedimento espulsivo", elemento motivazionale, quest'ultimo
contenente unicamente una constatazione tautologica, in quanto tale non
esplicativa di alcunché.
La sentenza impugnata, conclusivamente, resiste alle censure di cui all'appello
che deve essere, pertanto, respinto.
Le spese di giudizio, però, in considerazione soprattutto della natura della
controversia azionata, e della parziale novità e complessità delle questioni
affrontate devono essere integralmente compensate fra le parti in lite
ricorrendone le condizioni di legge.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione sesta, definitivamente
pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe lo respinge e per l'effetto
conferma, nei termini di cui alla motivazione, l'appellata sentenza.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2010 con
l'intervento dei Signori:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente FF
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore