REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.1765/08

Reg.Dec.

N. 5070 Reg.Ric.

ANNO   2003

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 5070/2003 proposto da:

- il Ministero per l’interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in via dei Portoghesi n. 12, Roma, appellante;

contro

- @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dall’avv. -

per l’annullamento e/o la riforma

della sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, sezione I-ter, n. 3844/2003, concernente il decreto ingiuntivo monocraticamente emesso dal presidente di una sezione del T.a.r. Lazio, per la corresponsione della monetizzazione di un periodo di congedo ordinario non fruito da un ex ispettore della Polizia di Stato, decreto ingiuntivo opposto dalla p.a., ma confermato dal collegio di prima istanza con la sentenza qui appellata.

     Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

     Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato @@@@@@@ @@@@@@@;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Relatore,  alla  pubblica   udienza  del 29 gennaio  2008, il consigliere -

     Uditi, per le parti, l’avvocato dello Stato -

     Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

NARRATIVA in FATTO

     Su istanza dell’ex ispettore della Polizia di Stato @@@@@@@ @@@@@@@, il Presidente della Sezione I-ter del T.a.r. Lazio monocraticamente emetteva (inaudita altera parte) il decreto ingiuntivo n. 495/2002, intimando al Ministero dell’Interno di pagare (maggiorata delle spese di procedura) la somma complessiva di euro 3479,95 euro, a titolo di compenso per 73 giorni di ferie non fruite dall’interessato. 

     Il Ministero dell’interno proponeva rituale opposizione, sostenendo che non vi sarebbero stati i presupposti per l’adozione di un tale provvedimento.

     Resisteva all’opposizione il @@@@@@@ creditore, che ribadiva la fondatezza delle proprie pretese e concludeva conseguentemente per il rigetto del gravame.

     All’esito della discussione svoltasi il 17 aprile 2003, il collegio constatava come il provvedimento monitorio in questione fosse stato correttamente emanato, osservando che l’interessato, a seguito del riconoscimento della sua fisica inabilità, era stato dispensato dal servizio con decorrenza dal 27 settembre 2002; che, a tale data, egli doveva ancora fruire di 89 giorni complessivi di congedo ordinario (10 dei quali relativi al 2000; 45 al 2001 e 34 al 2002); infine, che solo 16 tra tali giorni gli erano stati successivamente retribuiti.

     I primi giudici richiamavano, quindi, l’art. 18, d.P.R. n. 254/1999, contemplante il pagamento sostitutivo del congedo ordinario non solo nei casi previsti dall’art. 14, comma 14, d.P.R. n. 395/1995, ma anche nelle ipotesi di mancata fruizione per decesso, cessazione dal servizio per malattia o dispensa intervenuta dopo il collocamento in aspettativa per infermità. 

     Il Tribunale amministrativo laziale riteneva che l’irrinunciabilità del diritto alle ferie (prevista, addirittura, a livello costituzionale) si fondasse, intuitivamente, sull’esigenza di fare in modo che il lavoratore disponesse di un periodo di tempo sufficiente per ritemprarsi (onde potersi poi dedicare, in modo sempre più proficuo, allo svolgimento delle mansioni affidategli), fermo restando che, nel periodo di tempo trascorso in malattia (termine implicante  necessariamente un’idea di sofferenza), il lavoratore stesso, impegnato a curarsi, non avrebbe potuto certo trarre alcun reale beneficio da detto periodo di riposo.

     In ogni caso, indipendentemente dall’esistenza di un’espressa normativa contemplante la corresponsione di una particolare indennità, il diritto al compenso sostitutivo delle ferie non fruite discenderebbe direttamente dalla mancata fruizione delle stesse, comunque non determinata (come nella fattispecie) dalla volontà dell’interessato (cfr. Cd.S., sezione V, dec. n. 374/1998).

     Tanto bastava, ai primi giudici, per ritenere infondata  l’opposizione proposta dalla p.a. avverso il provvedimento monitorio di cui sopra, con sentenza prontamente impugnata dalla p.a. soccombente in prime cure che, mediante la difesa erariale, invocava una contraria giurisprudenza di questo Consiglio di Stato e concludeva per la riforma della gravata pronuncia del T.a.r. Lazio.

     Con memoria, l’appellato @@@@@@@ si costituiva in giudizio e resisteva all’appello, difendendo l’impugnata sentenza ed eccependo l’indegradabilità del diritto alle ferie od alla loro monetizzazione; la vigenza del generale principio della tutela per equivalente nell’ordinamento italiano (cfr. art. 2058, c.c.), alla luce degli artt. 3, 36 e 97, Cost.; l’identità delle situazioni del dipendente ammalato in aspettativa e di quello in regime di congedo ordinario per infermità; l’infermità da esso @@@@@@@ contratta per causa di servizio, argomento ignorato dai primi giudici.

     All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione.

MOTIVI della DECISIONE

     L’appello è infondato e va respinto, in base ad una consolidata giurisprudenza della sezione IV di questo Consiglio di Stato, che in questa sede si richiama espressamente (cfr., ex multis, dec. n. 6533/2003 e dec. n. 1230/2001, rispetto alle quali rimangono isolate la dec. n. 8245 e la dec. n. 8246 del 2004, peraltro relative  a due identiche fattispecie).

     L’art. 14, d.P.R. n. 395/1995, incorporante l'accordo sindacale 20 luglio 1995 (riguardante il personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile: Polizia di Stato, Corpo di polizia penitenziaria e Corpo forestale dello Stato) ed il provvedimento di concertazione 20 luglio 1995, riguardante le Forze di polizia ad ordinamento militare (Arma dei carabinieri e Corpo della Guardia di finanza), che ha introdotto la monetizzazione delle ferie maturate e non godute, nel ribadire, al comma 7, l’irrinunciabilità riguardo al suddetto congedo, al successivo comma 14 ha previsto che si possa ammettere il pagamento del congedo ordinario non fruito nella sola ipotesi che, all’atto della cessazione dal servizio, detto congedo non sia stato fruito per documentate esigenze di servizio.

     Ulteriori deroghe sono state successivamente introdotte dall’art. 18, d.P.R. n. 254/1999, (recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di polizia), che ha previsto la possibilità della monetizzazione del congedo ordinario e non fruito in caso di decesso, cessazione dal servizio per infermità o dispensa disposta dopo il collocamento in aspettativa per infermità.

     Secondo tale ultima normativa viene compensato, monetizzandolo, quel congedo maturato non fruito, anche in mancanza del presupposto delle documentate esigenze di servizio, in quanto imprevedibili eventi ne abbiano impedito la  fruizione.

     Rispetto a tale situazione ed in riferimento al più vasto ambito del rapporto di pubblico impiego, la giurisprudenza è per lo più giunta al riconoscimento del diritto alla computabilità, ai fini del calcolo del periodo di congedo ordinario, dei giorni in cui il dipendente non abbia prestato servizio, in quanto collocato in aspettativa per infermità., vale a dire per fatto a lui non imputabile (cfr., tra le altre, C.d.S., sez VI, dec. 26 maggio 1999 n. 670).

     Meno ampio è il panorama giurisprudenziale per l’ipotesi del riconoscimento del compenso sostitutivo delle ferie non godute e ritenute maturate nel periodo di aspettativa per infermità.

     La tesi favorevole sviluppa l’opzione ermeneutica che ha portato a considerare maturate le ferie anche nel periodo d’infermità per malattia, cioè in assenza di attività di servizio, giungendo ad affermare che, quando il mancato godimento delle ferie non sia imputabile all’interessato, ciò non preclude l’insorgenza del diritto alla percezione dell’emolumento sostitutivo (cfr., ex plurimis, C.d.S., sez, VI, dec. n. 2520/2001).

     Nella specie, il collegio ritiene che il compenso per le ferie non godute non debba essere necessariamente connesso esclusivamente a documentate esigenze di servizio, per le quali la prestazione lavorativa sia stata effettuata su richiesta dell’amministrazione, che così abbia impedito il godimento delle ferie maturate, con la conseguenza che, se ragionevolmente si volesse ritenere il diritto al congedo ordinario (indisponibile, irrinunciabile ed indegradabile da parte del datore di lavoro, anche se pubblico) maturabile pure nel periodo di aspettativa per infermità (nella specie, incontestatamente contratta per causa di servizio), da ciò conseguirebbe automaticamente il diritto al compenso sostitutivo, ove tali ferie non venissero fruite.

     E ciò implica che nel caso di aspettativa per infermità, diritto al congedo ordinario e compenso sostitutivo costituiscono due facce inscindibili di una stessa  situazione giuridica, per cui al primo in ogni caso si dovrà sostituire il secondo (arg. pure ex art. 36, Cost., ed art. 14, d.P.R. n. 395/1995).

     L’uno è, in effetti, un diritto incondizionatamente protetto dalla norma costituzionale, salvo che non ne sia imputabile al dipendente il mancato godimento (art. 36, Cost); l’altro spetta nei limiti in cui è normativamente riconosciuto, traducendosi in un onere ulteriore per l’amministrazione (v. cit. art. 18, d.P.R. n. 254/1999).

     In definitiva, se la non imputabilità all’interessato del mancato svolgimento dell’attività di servizio, in caso di malattia, è alla base del computo dei giorni di congedo ordinario, la non riconducibilità a causa imputabile al datore di lavoro del mancato godimento delle ferie maturate non impedirà di percepirne il compenso sostitutivo, per cui la sentenza impugnata, apparendo correttamente agganciata ai parametri normativi sopra richiamati ed alle loro implicazioni interpretative, deve pertanto essere confermata.

     L’appello va, dunque, respinto, con contestuale salvezza dell’impugnata sentenza, mentre le spese del secondo grado di giudizio possono integralmente compensarsi per giusti motivi tra le parti costituite, tenuto anche conto del loro reciproco impegno difensivo e della natura della vertenza.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta):

     - respinge l’appello;

     - compensa  spese ed onorari del secondo grado di giudizio.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, Palazzo Spada, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 29 gennaio 2008, con l'intervento dei signori magistrati: