REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.2533/08

Reg.Dec.

N. 2476  Reg.Ric.

ANNO   2003

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 2476 del 2003 proposto:

- da @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dall’Avv. -

c o n t r o

- Ministero dell’Interno in persona del Ministro, legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento o la riforma, previa sospensione dell’efficacia:

- della sentenza n. 1086/02 del T.A.R. per la Liguria, Sez. II, depositata in data 11 novembre 2002,

e, conseguentemente, in riforma dell’impugnata sentenza, per l’annullamento:

- del provvedimento in data 28 gennaio 2002 del Capo della Polizia con cui è stata disposta la destituzione del ricorrente dai ruoli della Polizia di Stato.

           Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

     Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero intimato;

     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Udito alla Camera di consiglio del 1° aprile 2008 il relatore, -

     ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

     Con sentenza in data 3 maggio 2000, la Corte d’appello di Genova riformava la sentenza della Pretura circondariale di Sanremo favorevole al sig. @@@@@@@ @@@@@@@ e, per l’effetto, giudicava lo stesso (già Ispettore Superiore S.U.P.S. della Polizia di Stato) colpevole dei reati di appropriazione indebita e simulazione di reato, condannandolo alla pena di un anno ed otto mesi di reclusione.

     Ciò in quanto in data 21 dicembre 2004, dopo aver riscosso presso un istituto di credito di @@@@@@@ il corrispettivo di una vincita al gioco del Totocalcio per un importo pari ad oltre centoventi milioni di lire, egli aveva simulato uno scippo con la complicità della moglie, al fine di omettere la ripartizione del ricavato della vincita con gli altri dieci giocatori ed appropriarsi in modo indebito ed esclusivo della vincita.

     La sentenza di condanna veniva resa definitiva in data 9 aprile 2001 a seguito di pronuncia della Corte di Cassazione.

     Con atto recante la data del 1° agosto 2001 la Questura di @@@@@@@ comunicava al ricorrente che si procedeva nei suoi confronti ai sensi dell’art. 19, d.P.R. 737/1981 e che era stato nominato il Funzionario Istruttore del procedimento.

     L’atto in questione veniva comunicato al ricorrente in data 22 agosto 2001, in una con l’atto di contestazione degli addebiti (nota in data 4 agosto 2008), attraverso il quale si contestava una mancanza disciplinare integrante gli estremi dell’illecito sanzionabile con la misura massima della destituzione dal servizio (art. 7, d.P.R. 737, cit.).

     Nel corso dell’istruttoria finalizzata all’esito del procedimento disciplinare, il sig. @@@@@@@ formulava istanza ai sensi del terzo comma dell’art. 14, d.P.R. 737 (in tema di ‘Contestazione degli addebiti e giustificazioni del’interessato’), cit. ed a tal fine chiedeva: i) che venissero acquisiti agli atti numerosi documenti ritenuti rilevanti ai fini del decidere (es.: gli atti dei tre gradi del giudizio penale); ii) che venissero effettuati sopralluoghi ed ascoltate persone informate, al fine di meglio ricostruire la vicenda all’origine dell’incriminazione penale.

     Con atto in data 14 settembre 2001, il funzionario istruttore designato rendeva la propria relazione istruttoria nell’ambito della quale (inter alia) esprimeva il proprio giudizio in ordine alla non necessità, ai fini istruttori, dell’acquisizione dei numerosi atti indicati dal sig. @@@@@@@.

     Con atto in data 27 novembre 2001 l’odierno appellante presentava istanza di ricusazione nei confronti di un componente del Consiglio provinciale di disciplina (competente, ai sensi degli artt. 16 e 21, d.P.R. 737, cit., a proporre la sanzione da irrogarsi a cura del Capo della Polizia), adducendo il motivo dell’‘interesse personale’ del ricusato (art. 149, lettera a), d.P.R. 3 del 1957), per essere quest’ultimo diretto superiore dell’incolpato all’interno del Commissariato di Polizia di Sanremo, presso cui il sig. @@@@@@@ prestava servizio.

     L’istanza in questione veniva rigettata per ‘assoluta infondatezza’.

     Con il provvedimento in data 28 gennaio 2002 (oggetto del ricorso in primo grado), il Capo della Polizia, conformemente alla proposta del Consiglio provinciale di disciplina, disponeva la destituzione dal servizio del sig. @@@@@@@.

     Il provvedimento in questione era assistito dalla seguente motivazione: “il giorno 21 dicembre 1994 in @@@@@@@ all’uscita della filiale della Banca Nazionale del Lavoro, dopo avere riscosso in contanti e non in assegni, per contro proprio e degli altri dieci giocatori di una schedina vincente al totocalcio, la somma di oltre centoventimilioni di lire, simulava uno scippo con la complicità della moglie, appropriandosi indebitamente dell’ingente somma; con tale comportamento metteva in essere atti che rivelano la mancanza di senso dell’onore e di senso morale, in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento e grave abuso di fiducia e dolosa violazione di doveri che hanno arrecato grave pregiudizio a privati, riportando condanna, passata in giudicato, ad un anno e otto mesi di reclusione per appropriazione indebita e simulazione di reato”.

     Con ricorso notificato in data 13 maggio 2002, l’odierno appellante impugnava il provvedimento in questione innanzi al T.A.R. per la Liguria e ne chiedeva l’annullamento previa sospensione dell’esecuzione.

     Con ordinanza in data 5 giugno 2002 il Tribunale adito respingeva l’istanza cautelare.

     Con l’impugnata sentenza n. 1086 del 2002, il Tribunale respingeva il ricorso, ritenendolo infondato.

     Con l’appello in epigrafe, il sig. @@@@@@@ chiedeva la riforma dell’impugnata sentenza articolando i seguenti motivi:

  1. Violazione e/o falsa applicazione di legge ex art. 5, l. 27 marzo 2001, n. 97 ed art. 19, d.P.R. 737 del 1981;

Erroneità e difetto di motivazione della sentenza impugnata;

  1. Violazione e/o falsa applicazione di legge ex artr. 14-19, d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737;

Violazione e/o falsa applicazione di legge ex l. 241/1990;

Eccesso di potere per carenza di istruttoria e/o travisamento dei presupposti di fatto;

Erroneità e difetto di motivazione della sentenza impugnata;

  1. Violazione e/o falsa applicazione di legge ex artt. 1-7-13, d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737;

Eccesso di potere per illogicità manifesta e/o per travisamento dei presupposti di fatto e/o contraddittorietà con precedenti valutazioni da parte della medesima P.A.

Erroneità e difetto di motivazione della sentenza impugnata;

      C1) Erroneità e difetto di motivazione della sentenza impugnata – Eccesso di potere per illogicità manifesta;

  1. Violazione e/o falsa applicazione di legge ex art. 16, d.P.R. 25 ottobre 2001, n. 737 ed art. 149, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3;

Erroneità e difetto di motivazione della sentenza impugnata.

       Si costituiva in giudizio l’Avvocatura dello Stato, la quale concludeva nel senso della reiezione del gravame.

      All’udienza pubblica del 1° aprile 2008 le parti costituite rassegnavano le proprie conclusioni ed il ricorso veniva trattenuto in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

     1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso proposto dal sig. @@@@@@@ @@@@@@@ (già Ispettore Superiore S.U.P.S. della Polizia di Stato) avverso la sentenza del T.A.R. Liguria con la quale è stato respinto il suo ricorso avverso il provvedimento di destituzione dal servizio adottato in sede disciplinare a seguito del passaggio in giudicato di una sentenza penale di condanna per simulazione di reato ed appropriazione indebita.

     2. L’appello è da respingere.

     2.1. Il Collegio ritiene in primo luogo di esaminare il motivo di doglianza secondo cui il provvedimento di destituzione sarebbe intervenuto in data successiva al superamento del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare, risultando in tal modo intempestivo.

     In particolare, nella tesi del ricorrente, risulterebbe nella specie superato il termine perentorio di centottanta giorni intercorrente fra la data di avvio del procedimento disciplinare e l’adozione del provvedimento finale (comma 4 dell’art. 5 della l. 27 marzo 2001, n. 97 – Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche -).

     La tesi di parte ricorrente si fonda, al riguardo, sui seguenti presupposti logico-fattuali.

     In primo luogo, il sig. @@@@@@@ ribadisce che il termine di cui è menzione al comma 4 dell’art. 5 della l. 97 del 2001 ha carattere perentorio ed il suo superamento determina l’illegittimità della sanzione disciplinare comunque adottata (rectius: la nullità assoluta del procedimento disciplinare – pag. 8 del ricorso introduttivo -).

     In secondo luogo, il dies a quo per il computo del richiamato termine di centottanta giorni decorrerebbe (non già dalla comunicazione o notificazione dell’atto di contestazione degli addebiti, bensì) dalla data –anteriore - in cui è stato stilato l’atto di nomina del funzionario istruttore del procedimento disciplinare.

     In terzo luogo (e venendo alle peculiarità della vicenda in punto di fatto), la data rilevante ai fini del richiamato computo temporale non sarebbe quella del 1° agosto 2001 (che, pure, risulta essere la data formale di stesura della comunicazione relativa alla nomina del funzionario istruttore e del relativo protocollo), bensì, in alternativa:

      Nella tesi di parte ricorrente, quindi, poiché il dies a quo per il computo del richiamato termine di centottanta giorni decorrerebbe dal 29 (o, al massimo, dal 31) luglio 2001, la conseguenza sarebbe nel senso della tardività del provvedimento di destituzione (adottato in data 28 gennaio 2002), atteso che fra il 31 luglio 2001 ed il 28 gennaio 2002 intercorrono centottantuno giorni.

     L’argomento, nel suo complesso, non può essere condiviso.

     Al riguardo, si osserva che, anche a voler seguire, nei limiti del possibile, l’iter argomentativo proposto da parte appellante ai fini della determinazione delle date rilevanti ai fini che qui interessano, non potrebbe comunque essere tenuto in alcuna considerazione l’argomento volto ad ascrivere alla data del 29 luglio 2001 la stesura della comunicazione relativa alla nomina del funzionario istruttore, data l’assoluta illeggibilità della correzione apposta a mano sul foglio, che non consente di individuarvi – come pure ritiene l’appellante – la ridetta data del 29 luglio 2001.

     A tutto concedere, quindi, può essere valutato il solo argomento basato sulla circostanza per cui la nota relativa alla nomina del Funzionario istruttore (datata e protocollata il 1° agosto 2001) risulta essere stata inviata per fax in data 31 luglio 2001, ragione per cui, ai fini che qui rilevano, può sussistere il ragionevole dubbio che essa sia correttamente da ascrivere a tale ultima data.

     Tuttavia, anche ad ammettere che la stesura della comunicazione relativa alla nomina del funzionario istruttore sia da anticipare alla data del 31 luglio 2001, ciò non sortirebbe effetto alcuno in ordine alla tempestività dell’adottato provvedimento di destituzione.

     Ciò, per almeno due motivi.

      In primo luogo, si osserva che, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale dal quale non si individuano nella specie ragioni onde discostarsi, l'inizio del procedimento disciplinare, di cui è menzione all'art. 9 d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737, si verifica con l’atto contestazione degli addebiti, essendo questo il primo atto che viene portato a conoscenza del dipendente, il quale in tal modo viene messo in condizione di approntare le relative difese, mentre la nomina del funzionario istruttore costituisce mero atto interno che attiene ad un momento anteriore all'apertura del procedimento disciplinare, a nulla rilevando la circostanza per cui tale nomina sia stata comunque portata a conoscenza del diretto interessato (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 19 dicembre 2005, n. 7172; id., Sez. IV, sent. 14 maggio 2001, n. 2662).

      Ora, atteso che l’atto di contestazione degli addebiti nei confronti dell’appellante reca la data del 4 agosto 2001 e che essa risulta notificata il successivo 22 agosto, ne consegue l’indubbio rispetto del più volte richiamato termine di centottanta giorni per la definizione del procedimento disciplinare.

     In secondo luogo (e fermo restando il carattere dirimente di quanto appena rilevato) si osserva che, quand’anche si volesse ammettere che la valenza di avvio del procedimento disciplinare sia da fissare al 31 luglio 2001, ossia alla data presumibile in cui è stata redatta comunicazione relativa alla nomina del funzionario istruttore, nondimeno l’adozione del provvedimento di destituzione in data 28 gennaio 2002 risulterebbe tempestiva.

     Ed infatti, se è vero che fra le due date in questione intercorrono centottantuno giorni, è pur vero che il centottantesimo giorno (27 gennaio 2002) era festivo – domenica –, con la conseguenza che la relativa scadenza fosse prorogata ex lege al primo giorno seguente non festivo (art. 2963, terzo comma cod. civ.; art. 155, terzo comma, c.p.c.).

     2.2. Con il terzo motivo (rubricato, in sede di appello, con la lettera ‘C’), il sig. @@@@@@@ lamenta che, nel caso di specie, l’operato dell’Amministrazione appellata risulterebbe illegittimo per violazione del principio di proporzionalità e gradualità nell’irrogazione delle misure disciplinari

     In particolare, risulterebbero nella specie violati:

           In particolare, le determinazioni nella specie adottate dall’Amministrazione risulterebbero illegittime e violative del generale principio di proporzionalità in quanto per un verso essa avrebbe applicato una sanzione espulsiva obiettivamente eccessiva rispetto alla gravità del fatto commesso e, per altro verso, essa avrebbe omesso di tenere in adeguata considerazione la circostanza per cui, nel lungo arco di tempo (oltre sette anni) trascorso fra il fatto commesso ed il provvedimento di destituzione, l’odierno Appellante aveva tenuto una condotta di servizio certamente lodevole, consentendogli di ottenere promozioni di grado e riconoscimenti per l’attività di servizio svolta.

     Ancora con il terzo motivo, il sig. @@@@@@@ censura l’incongruità della sanzione in concreto irrogata a proprio carico per violazione di un duplice parametro normativo.

            La prima previsione rilevante al riguardo sarebbe l’art. 32-quinquies del cod. pen. (inserito dall’art. 5 della l. 27 marzo 2001, n. 97), secondo cui la pena accessoria dell’estinzione del rapporto di pubblico impiego per la commissione dei gravi reati contro la P.A. ivi richiamati consegue unicamente ad una condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni.

      Sotto tale profilo, la sanzione irrogata all’odierno ricorrente risulterebbe incongrua per avere l’Amm.ne omesso di valutare da un lato la non ascrivibilità dei reati commessi a quelli di cui è menzione al richiamato art. 32-quinquies e dall’altro la circostanza per cui la condanna in concreto inflitta al sig. @@@@@@@ è di ammontare inferiore a quella assunta dal cod. pen. quale soglia-parametro al fine di determinare la conseguenza dell’estinzione ex lege del rapporto di impiego.

      La seconda previsione rilevante sarebbe rappresentata dal secondo comma dell’art. 166, cod. pen., secondo cui la condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire, di per sé sola (inter alia), motivo di impedimento all’accesso a posti di lavoro pubblici o privati.

      Sotto tale profilo, l’Amm.ne appellata non avrebbe tenuto in adeguata considerazione la circostanza per cui, appunto, la pena in concreto applicata all’odierno ricorrente era stata condizionalmente sospesa, ragione per cui essa non avrebbe comunque potuto costituire ragione sufficiente per impedire l’accesso a posti di lavoro pubblici o privati. A fortiori, quindi, la condanna in questione non avrebbe rappresentato motivo ex se sufficiente per irrogare la richiamata sanzione della destituzione.

      Con il quarto motivo di ricorso (rubricato nell’atto di appello come ‘C1’), il sig. @@@@@@@ conduce ad ulteriori conseguenza gli argomenti dinanzi sinteticamente richiamati ed osserva che la sentenza gravata risulterebbe erronea per aver respinto la censura relativa al carattere asseritamente sproporzionato della destituzione, senza tenere in adeguata considerazione le richiamate norme-parametro (gli artt. 32-quinquies e 166, II, cod. pen.).

      In particolare, pur dovendosi ritenere che le disposizioni in questione non risultano in via immediata e diretta idonee a disciplinare il caso in esame, dovrebbe comunque rilevarsi l’erroneità di quanto statuito dal giudice di prime cure, il quale avrebbe omesso di considerare che “gli articoli in questione vanno considerati sotto la diversa luce della misura cui commisurare l’eccesso di potere eccepito per illogicità manifesta della sanzione impugnata ed il difetto di motivazione del provvedimento” (pag. 27 del ricorso introduttivo).

      I due motivi in questione non possono trovare accoglimento.

      Quanto al carattere di proporzionalità della misura sanzionatoria in concreto applicata, il Collegio osserva che l’obiettiva gravità del fatto commesso ed accertato in sede penale con sentenza passata in giudicato rende non irragionevole né incongrua la valutazione nella specie operata dall’Amministrazione (atteso che, in applicazione di generali principi, il vaglio giurisdizionale in ordine al quantum delle sanzioni disciplinari non può impingere il merito delle vicende sostanziali sottese, dovendo piuttosto attestarsi sul profilo del vaglio ab aexterno circa la non irragionevolezza della misura adottata).

      Riconducendo i principi in questione alle peculiarità del caso di specie, il Collegio ritiene esenti dai lamentati profili di irragionevolezza le determinazioni assunte dall’Amm.ne intimata, la quale ha ritenuto che il fatto di rilevanza penale ascritto all’odierno Appellante concretasse elementi atti a determinare l’incompatibilità del sig. @@@@@@@ con l’ulteriore prosecuzione del servizio.

      In particolare, la condanna penale per simulazione di reato ed appropriazione indebita e le particolari circostanze in cui essa è maturata (con abuso della fiducia risposta in capo al ricorrente dagli altri giocatori) sembrano giustificare appieno l’irrogazione della grave sanzione di cui all’art. 7 del d.P.R. 737 del 1981, individuandosi nel caso di specie atti che rivelano la mancanza del senso dell’onore e del senso morale, nonché un grave abuso di fiducia.

      Né si ritiene di condividere il motivo di doglianza fondato sul non avere l’Amm.ne appellata tenuto in adeguata considerazione la complessiva condotta in servizio del ricorrente per il periodo successivo alla commissione del fatto a lui ascritto.

      Ed infatti, per un verso l’obiettiva gravità del fatto commesso giustifica ex se l’irrogazione della più grave sanzione della destituzione e per altro verso (come correttamente osservato sul punto dal Giudice di prime cure), lo iato temporale intercorso fra la commissione del fatto e l’esito del procedimento disciplinare rappresenta conseguenza inevitabile della corretta applicazione delle norme che non consentono lo svolgimento del procedimento giurisdizionale nella pendenza, per i medesimi fatti, di un procedimento penale.

      Ci si riferisce, in particolare (ed in relazione allo speciale procedimento disciplinato dal d.P.R. 737, cit.) alla previsione di cui all’art. 11 (in tema di ‘procedimento disciplinare connesso con procedimento penale’), secondo cui “quando l'appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza viene sottoposto, per gli stessi fatti, a procedimento disciplinare ed a procedimento penale, il primo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato”.

      Ancora, non può trovare accoglimento l’argomento di doglianza basato sulla circostanza per cui sia l’Amm.ne appellata, sia il giudice di prime cure avrebbero omesso di tenere in adeguata considerazione, al fine della determinazione della sanzione in concreto irrogabile all’appellante, le previsioni di cui agli artt. 32-quinquies e 166, secondo comma, cod. pen.

      Al riguardo occorre premettere che (secondo quanto correttamente osservato dalla stessa difesa di parte appellante) le due norme in questione non possono trovare diretto ingresso nella definizione del caso di specie, diversi essendo i presupposti e le condizioni per la relativa applicazione.

      Ma occorre aggiungere che non può essere condiviso neppure l’argomento secondo cui il limite della condanna a tre anni di reclusione rappresenterebbe una sorta di ‘soglia di rilevanza’ ai fini disciplinari (nel senso che solo laddove la sanzione penale superi in concreto il limite di cui all’art. 32-quinquies cod. pen. si paleserebbe la congruità di una sanzione disciplinare di carattere espulsivo).

      L’argomento non può essere condiviso in primo luogo per l’evidente diversità delle materie disciplinate e per la peculiarità delle norme incriminatrici di cui è menzione all’art. 32-quinquies (norme la cui specialità impedisce di assumere le previsioni di cui alla medesima norma quale parametro normativo, sia pure ai limitati fini dell’individuazione di una sorta di ‘soglia di rilevanza’ ai fini disciplinari).

      Ma l’argomento in questione non appare persuasivo per l’ulteriore ragione che, laddove si assumesse il parametro della reclusione per un periodo non inferiore a tre anni quale soglia fattuale della rilevanza disciplinare del fatto ai fini dell’applicazione delle più gravi sanzioni, si determinerebbe un’indebita compressione del generale principio dell’autonoma valutabilità, ai fini disciplinari, del fatto accertato in sede penale, con i soli limiti rappresentati dal comma 1-bis dell’art. 653 c.p.p. (come introdotto dall’art. 1 della l. 97 del 2001, cit.).

      Per le medesime ragioni, non può trovare accoglimento l’argomento di doglianza basato sul non avere l’Amm.ne appellata (e lo stesso giudice di prime cure) adeguatamente valutato l’effetto che, ai fini della risoluzione della vicenda di causa, avrebbe sortito la previsione dell’art. 166, II, cod. pen., in tema di effetti della sospensione condizionale della pena (inter alia) sull’accesso a posti di lavoro pubblici.

      Al riguardo si sottolinea in primo luogo la specialità della previsione in questione, che non fa menzione alcuna al caso, che qui rileva, della destituzione dal servizio (dovendosi fare nella specie applicazione del generale principio secondo cui “ubi lex voluti, dixit”).

      Ma anche a voler accedere al diverso approccio secondo cui la norma in questione costituirebbe solo una sorta di parametro normativo per il più corretto esercizio del potere disciplinare, deve osservarsi che nondimeno l’operato dell’Amm.ne appellata risulti nel caso di specie esente da censure.

      Ed infatti, si osserva che la disposizione richiamata dall’appellante esclude che la condanna a pena condizionalmente sospesa costituisca “di per sé sola” motivo per impedire l’accesso a posti di lavoro pubblici, con ciò ammettendo certamente, sotto il profilo sistematico, che il fatto di rilevanza penale possa comunque essere considerato di gravità tale da comportare legittimamente l’impedimento in questione.

      Ancora (ed in analogia a quanto appena osservato in ordine alla previsione di cui all’art. 32-quinquies, cod. pen.), si osserva che laddove si ritenesse che l’art. 166 cod pen. sia da interpretare nel senso che la sospensione condizionale della pena determini una sorta di preclusione ex lege all’irrogazione delle più gravi sanzioni disciplinari, ciò determinerebbe un’indebita compressione delle prerogative spettanti alle Amministrazioni in tema di autonoma valutazione dei fatti di rilevanza disciplinare (valutazione che – lo si ripete – nel caso di specie appare esente da censure, mercè l’obiettiva gravità del fatto commesso dal sig. @@@@@@@).

      2.3. Neppure può trovare accoglimento il secondo motivo di ricorso (rubricato, in sede di appello, come motivo ‘B’), con il quale si censura l’illegittimità del provvedimento impugnato per carenza di istruttoria, per non avere il funzionario istruttore provveduto all’acquisizione degli atti indicati dal sig. @@@@@@@ con nota in data 28 agosto 2001 e ritenuti indispensabili ai fini della più corretta valutazione dei fatti a lui ascritti.

      In particolare, l’appellante aveva formulato istanza ai sensi dell’art. 14 del d.P.R. 737 del 1981, affinché venissero acquisiti:

      Al riguardo, l’appellante ritiene che il diniego di acquisizione istruttoria degli atti da lui indicati, opposto dal funzionario istruttore, abbia determinato un error in procedendo (con violazione delle garanzie procedimentali di cui al terzo comma dell’art. 14, d.P.R. 737, cit.), idoneo a riverberarsi con efficacia viziante sugli atti del procedimento disciplinare, sino al provvedimento di destituzione.

      L’argomento non può essere condiviso.

      Va premesso al riguardo che la previsione di cui al terzo comma dell’art. 14 del più volte citato d.P.R. 737 del 1981 (secondo cui, nel corso del procedimento disciplinare, l’incolpato è ammesso ad indicare circostanze sulle quali richiedere ulteriori indagini o testimonianze) non possa essere intesa di guisa tale da comportare un incondizionato diritto a dare ingresso nel procedimento disciplinare a qualunque tipo di circostanza e/o di rilievo istruttorio (anche se, del caso, articolati con finalità meramente defatigatorie).

      Al contrario, l’evidente funzione di garanzia svolta dalla previsione di cui al richiamato terzo comma dell’art. 14 deve essere intesa nel senso di coniugare la tutela delle prerogative dell’incolpato con la concomitante esigenza per l’Amministrazione procedente di acquisire elementi istruttori effettivamente rilevanti e pertinenti ai fini del giudizio disciplinare, con la conseguenza che legittimamente l’Organo procedente escluda l’ingresso nel procedimento disciplinare di elementi e circostanze obiettivamente ultronee ai fini del decidere.

      Riconducendo il principio in questione alle peculiarità del caso di specie, non appare in alcun modo illegittima la determinazione assunta dal funzionario istruttore, il quale ha ritenuto “non necessaria per l’istruttoria e per il procedimento in argomento [l’acquisizione] di copia degli atti del dibattimento dei processi di I-II grado e della Suprema Corte nonché della sentenza di quest’ultima che, peraltro, come evidenziato dallo stesso Ispettore, è giudice di legittimità.

      Allo stesso modo non si reputa opportuno escutere le persone indicate dall’Ispettore S.U.P.S. @@@@@@@ o procedere ad un nuovo sopralluogo per la ricostruzione dei fatti in quanto si entrerebbe nel merito [dei] fatti stessi, già ampiamento sviscerati ed analizzati nel corso dei diversi gradi del dibattimento (…)”.

      Al riguardo si ritiene che la determinazione in questione appaia esente dai lamentati profili di illegittimità per la parte in cui non ritiene di acquisire ulteriori elementi istruttori al fine della ricostruzione della vicenda fattuale del più volte richiamato ‘scippo’ della schedina, già acclarato in sede penale, con accertamento non più ulteriormente indagabile in sede disciplinare.

      2.4. Da ultimo, deve essere esaminato il quinto motivo di ricorso (rubricato nell’atto di appello come ‘D’), con il quale si ribadisce il motivo di censura (già articolato in prime cure e disatteso dal Tribunale Amministrativo Regionale) relativo all’asserita violazione delcombinato disposto dell’art. 16, d.P.R. 737 del 1981 e dell’art. 149, d.P.R. 3 del 1957.

      La prima delle norme in questione, come è noto, stabilisce che, nel corso del procedimento disciplinare a carico degli operatori di Polizia, il Presidente o i membri dei consiglio di disciplina possano essere ricusati laddove si trovino nelle condizioni di cui all’art. 149 del T.U.I.C.S.

      Nel corso del procedimento disciplinare, l’odierno appellante aveva proposto istanza di ricusazione nei confronti di uno dei membri del Consiglio provinciale di disciplina, atteso che quest’ultimo verserebbe nell’ipotesi di cui alla lettera C) dell’art. 149, cit. (secondo cui il componente della Commissione di disciplina può essere ricusato – inter alia - “se ha interesse personale nel procedimento”).

      La richiamata posizione soggettiva di interesse nella vicenda sarebbe derivata dalla circostanza per cui il funzionario di P.S. ricusato era diretto superiore dell’appellante all’interno del Commissariato P.S. di San Remo, ove entrambi prestavano servizio.

      Il motivo in questione non può essere condiviso.

      Al riguardo, il Collegio rileva la correttezza del giudizio espresso al riguardo dal Presidente del Consiglio provinciale di disciplina, il quale (con deduzione confermata dal T.A.R.) ha rilevato l’infondatezza del motivo di ricusazione.

      Il giudizio in questione appare del tutto condivisibile in quanto la mera sussistenza di ordinari rapporti di servizio fra due soggetti (sia pure, posti su un diverso livello gerarchico) non appare in alcun modo idonea ex se a determinare in capo ad uno di essi (ed in assenza di ulteriori fatti e circostanze atti a supportare l’istanza di ricusazione, nella specie non allegate), la sussistenza di un interesse personale e diretto che, solo, può determinare la situazione di incompatibilità personale di cui è menzione all’art. 149 del T.U.I.C.S.

     4. In base a quanto esposto, il ricorso in epigrafe deve essere respinto.

     Il Collegio ritiene che sussistano nel caso di specie giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe specificato, lo respinge.

     Spese compensate.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, il 1° aprile 2008, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez. VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Giuseppe Barbagallo Presidente

Carmine Volpe Consigliere

Paolo Buonvino Consigliere

Aldo Scola Consigliere

Claudio Contessa Consigliere, est. 
 

Presidente

GIUSEPPE BARBAGALLO

Consigliere       Segretario

CLAUDIO CONTESSA   ALESSANDRA LENTI 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
 

Il 29/05/2008

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA 
 
 
 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  
 

al Ministero.............................................................................................. 
 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
 

                                    Il Direttore della Segreteria

 
 

N.R.G. 2476/2003


 

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