REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.1424/08

Reg.Dec.

N. 4495 Reg.Ric.

ANNO   2005

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto dal Ministero dell’ Interno, in persona del Ministro p.t., e il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, in persona del Capo della Polizia p.t., rappresentati e difesi dall’ Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio per legge presso la sede della stessa in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

@@@@@@@ @@@@@@@, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’ avv.to -

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. I^ ter, n. 17294/2004 del 24.12.2004;

     Visto il ricorso con i relativi allegati;

     Visto l'atto di costituzione in giudizio di @@@@@@@ @@@@@@@;

     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Nominato relatore per la pubblica udienza del 22 gennaio 2007 il Consigliere -

     Uditi l’avv. dello Stato -

     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

in fatto

     Con decreto del 20.06.2003 a firma del Capo della Polizia era disposta la destituzione dall’ Amministrazione della Pubblica Sicurezza, con decorrenza 23.04.2003. dell’ Assistente Capo della Polizia di Stato @@@@@@@ @@@@@@@ ricorrendo i presupposti dell’ illecito disciplinare rubricato all’ art. 7, n. 1, del d.P.R. 25.10.1981, n. 737 (aver compiuto atti che “rivelino mancanza del senso dell’ onore e del senso morale”)

     La statuizione espulsiva era assunta in adesione alla proposta formulata dal Consiglio di Disciplina di Roma con delibera del 05.06.2003, in relazione alla natura dei fatti addebitati (“avere avuto rapporti occasionali, tali da suscitare il pubblico scandalo, con un transessuale colombiano”), così rivelando “la più assoluta mancanza del senso dell’ onore e della morale, in quanto, nella sua qualità di tutore dell’ ordine, avrebbe dovuto considerare il disvalore della sua azione ed astenersi dalla commissione del fatto”.

     Avverso il provvedimento di destituzione, gli atti ad esso preordinati ed il decreto del Capo della Polizia del 22.04.2003 di sospensione cautelare dal servizio il @@@@@@@ proponeva ricorso avanti al T.A.R. per il Lazio chiedendo l’ annullamento degli atti impugnati per articolati motivi di violazione di legge ed eccesso di potere in diverse figure sintomatiche.

     Con la sentenza di estremi indicati in epigrafe il T.A.R. adito dichiarava il ricorso tardivo nella parte in cui era indirizzato avverso il decreto di sospensione cautelare dal servizio e lo accoglieva relativamente alla domanda di annullamento del decreto di destituzione.

     Il T.A.R., in particolare, previa disanima del sistema di  graduazione delle sanzioni per le diverse ipotesi di illecito disciplinare delineate agli artt. 4 e 6 del d.P.R. n. 737/1981, riconosceva l’assenza di rapporto di adeguatezza e proporzionalità dell’ atto di destituzione con i fatti addebitati, anche in relazione alla tipizzazione delle figure di illecito che si desume dal codice di disciplina.

     Avverso detta decisione ha proposto appello il Ministero dell’ Interno e, a confutazione delle conclusioni del T.A.R., ha dedotto:

     - che il giudice di prime cure non ha limitato il proprio sindacato alla sola legittimità dell’ atto applicativo della misura disciplinare, ma lo ha indebitamente esteso al merito del provvedimento, sostituendosi all’ Amministrazione nella valutazione della gravità ed offensività degli addebiti;

     - che non sussiste alcuna abnorme sproporzione della sanzione inflitta in relazione al fatto commesso;

     - che l’addebito contestato è stato correttamente qualificato e ricondotto nella figura di illecito disciplinare prevista all’ art. 1, n. 7, del d.P.R. n. 737/1981.

     Il sig. @@@@@@@, costituitosi in giudizio, ha contraddetto a quanto dedotto dall’ Amministrazione e rinnovato i motivi assorbiti dal T.A.R., concludendo per la conferma della sentenza impugnata.

     In esito a decisione interlocutoria n. 5679/2007 il Ministero dell’ Interno ha documentato che il @@@@@@@, sottoposto a visita presso il Centro Militare di Medicina Legale di Roma,  è stato dichiarato idoneo al servizio nella Polizia di Stato .

     In sede di note conclusive la parti hanno insistito nelle rispettive tesi difensive.

     All’ udienza del 22 gennaio 2007 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

     motivi della decisione

     1). Come accennato nell’ esposizione del fatto il Ministero istante sostiene che il T.A.R., nell’ assumere la sentenza che si appella,  non ha limitato il proprio sindacato alla stretta legittimità della sanzione disciplinare inflitta,  ma lo ha esteso, incorrendo in “eccesso di potere giurisdizionale”, al merito del provvedimento,  sostituendosi una propria nuova e diversa valutazione sulla qualificazione e sulla gravità del fatto addebitato  a quella riservata alla sfera di discrezionalità dell’ Amministrazione, suscettibile di solo di sindacato esterno in presenza di eventuali ed evidenti profili di contraddittorietà, illogicità e travisamento dei fatti.

     Il motivo non va condiviso.

     Osserva la Sezione che il T.A.R., onde pervenire alla statuizione di annullamento,  non ha posto in essere un nuova ed autonoma valutazione in merito alla sussistenza dei presupposti per l’ irrogazione della misura disciplinare, nonché in ordine la graduazione della stessa, ma ha svolto il sindacato di legittimità in stretta aderenza alle disposizioni dettate dal d.P.R. 25.10.1981, n. 737, che identificano puntuali ipotesi di illecito disciplinare, cui corrispondono sanzioni graduate in relazione alla gravità dell’ addebito e che vanno dal semplice richiamo orale fino alla destituzione.

     Nella selezione delle condotte suscettibili di sanzione il d.P.R. n. 737/1981 recepisce un criterio teso a tipizzare le diverse figure di infrazione cui segue una determinata misura afflittiva, in ciò discostandosi dal principio di c.d. “atipicità” dell’ illecito disciplinare – cui sono invece ispirati gli artt. 78 e segg. t.u. 10.01.1957, n. 3 – che implica un maggior grado di astrazione nell’ identificazione dei comportamenti contrari ai doveri del pubblico dipendente e dà luogo ad una più ampia sfera di discrezionalità all’ Amministrazione nella qualificazione del fatto contestato agli effetti della determinazione sanzionatoria.

     Con riguardo alla contestazione mossa all’ odierno appellato, incentrata sul fatto di  “avere avuto rapporti occasionali, in maniera tale da suscitare il pubblico scandalo, con un transessuale colombiano”, vengono in rilievo gli artt. 4 e 6 del d.P.R. n. 737/1981 che,  ai fini dell’ irrogazione delle sanzioni della pena pecuniaria e della sospensione dal servizio, individuano rispettivamente 18 e 10 figure di illecito disciplinare.

     In particolare l’ art. 4, comma primo, punto 2), qualifica come infrazione suscettibile di sanzione pecuniaria “il mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico di estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato”. L’ art. 6, terzo comma, n. 7, prevede l’ inflizione della misura della sospensione dal servizio nei casi “di assidua frequenza, senza necessità di servizio ed in maniera da suscitare pubblico scandalo, di persone dedite ad attività immorale o contro il buon costume, ovvero di pregiudicati”.

     In presenza di un’ ipotesi tipizzata di illecito disciplinare, cui è correlata una determinata sanzione, non residua all’ Amministrazione un’area di discrezionalità per una diversa graduazione della misura afflittiva, dando rilievo, come avvenuto nella fattispecie di cui è controversia, all’incidenza del comportamento qualificato riprovevole sui valori morali e sul senso dell’ onore che devono caratterizzare la condotta in servizio e la stessa vita di relazione degli appartenenti al corpo di polizia. Detto giudizio di disvalore resta  assorbito dalla scelta afflittiva operata dalla norma regolamentare, che esplica effetto vincolante sull’esercizio della potestà disciplinare e che non può da essa discostarsi.

     Il T.A.R., pertanto, nel riscontare la violazione dei criteri di proporzionalità e di gradualità cui deve conformarsi l’ esercizio della potestà disciplinare, non ha esteso il suo sindacato impingendo nel merito del provvedimento adottato, ma ha assunto a riferimento le regole dettate dal codice disciplinare della Polizia di Stato che, nel tipizzare le diverse figure di infrazione, esplicano, come innanzi detto, effetto vincolante nei confronti dell’ organo di disciplina ove il fatto addebitato sia riconducibile nella configurazione in astratto dell’ illecito.

     2). Il Ministero istante sottolinea che l’ irrogazione della misura della destituzione dall’ impiego trova giustificazione nella gravità dei fatti addebitati che, secondo quanto previsto dall’art. 7, comma secondo, n. 1) del d.P.R. n. 737/1981, rivelano “mancanza del senso dell’ onore e del senso morale”.

     Sul punto correttamente il T.A.R. ha posto in rilevo che la disposizione innanzi richiama viene a configurarsi come norma di chiusura, che sanziona comportamenti di estrema e particolare gravità ostativi alla permanenza in servizio.

     L’ assenza o l’attenuazione della percezione dei valori morali e del senso dell’ onore è però elemento soggettivo comune a  numerose condotte del pubblico dipendente contrarie ai doveri d’ ufficio; ciò non comporta, tuttavia, la riconduzione dell’ illecito nell’ ipotesi destitutoria  ove, come nel caso di specie, si versi in presenza di un norma sanzionatoria che tipizzi l’ illecito prevedendo un sanzione minore.

     2.1). L’ Amministrazione assume, infine, che il disvalore del comportamento del @@@@@@@ è stato tratto non solo dal dato obiettivo della frequentazione del transessuale, ma anche in relazione alle “dichiarazioni contraddittorie e false rese dal ricorrente all’ autorità”.

     In ordine a tale ultimo profilo di illecito nulla si rinviene nell’ atto di contestazione del 03.04.2003 e pertanto, ai fini della graduazione della sanzione, nessuna responsabilità può essere ascritta per fatti non oggetto di preventivo addebito.

     Se, invece, si sia inteso fare riferimento alla condotta dell’ inquisito nel corso del procedimento disciplinare, tale circostanza avrebbe, tutto al più, potuto influire sulla graduazione della misura della sanzione e non per una diversa qualificazione dell’ illecito in contrasto con le ipotesi di infrazione previste dagli artt. 1 e segg. del d.P.R. n. 737/1981.

     L’ appello va, quindi, respinto.

     Giusti motivi consentono la compensazione delle spese del giudizio fra le parti.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l’ appello in epigrafe.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez. VI - nella Camera di Consiglio del 22 gennaio 2008, con l'intervento dei Signori:

G

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