Ricorso n. @@@@@@@/2004      Sent. n. @@@@@@@/05

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

   Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima sezione, con l’intervento dei magistrati

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della   L.   27  aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

-

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

     sul ricorso n. @@@@@@@/04, proposto da @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dall'Avv. @@@@@@@ - ed elettivamente domiciliato presso la segreteria del T.A.R. ai sensi dell’art. 35 del R.D. 1054/1924;

     contro

     il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge;

     per l'annullamento

     1) del provvedimento n. 333 0/48169 del Capo della Polizia, datato 5.01.2004, notificato in data 16.01.2004, riguardante l'irrogazione della sanzione della destituzione, ex art. 7 .p.r. 737/1981, nonché di ogni altro atto presupposto o conseguente.

     Visto il ricorso, notificato il 15 marzo 2004 e depositato il 19 marzo 2004 con i relativi allegati;

     visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, depositato in segreteria il 7 aprile 2004 con i relativi allegati;

     visti gli atti tutti della causa;

     uditi all'udienza pubblica del  14 ottobre 2004-

Fatto

     Il ricorrente,  agente della Polizia di Stato, rappresenta: che con procedimento penale avviato nell’anno 2000 e non ancora definito,  veniva indagato per un suo presunto coinvolgimento in attività illecita ai sensi dell'art. 73 del d.p.r. 309/90; che per tale ragione il 27 ottobre 2000 veniva sottoposto a perquisizione locale e personale, con esito negativo; che, a distanza di tempo e senza una apparente motivazione, in data 2 maggio 2002, il direttore dell’ufficio presso cui prestava servizio, lo invitava a sottoporsi ad esami clinici per la ricerca dei metabolici delle droghe d'abuso, ai sensi degli artt. 9 del d.p.r. 904/1993 e 77 del d.p.r. 335/1992; che ritenendo violato il diritto costituzionalmente garantito alla difesa egli non si presentava all’esame e chiedeva maggiori chiarimenti in merito a tale richiesta; che nelle proprie giustificazioni spiegava che  quell’accertamento non era previsto né imposto dal d.p.r. 904/1983 non trovandosi egli nelle condizioni di legge che lo prevedono o lo rendono obbligatorio; che in seguito non riceveva nessuna riposta e nessuna ulteriore richiesta di prelievo è stata mai avanzata nei suoi confronti.

     Espone altresì: che in data 15 giugno 2002 gli veniva notificata una contestazione degli addebiti ai sensi e per gli effetti dell'art. 14 del DPR n. 737/81, dalla quale apprendeva che nei suoi confronti veniva proposto il provvedimento disciplinare di destituzione; che egli contestava gli addebiti dichiarandosi anche disponibile al prelievo di campioni piliferi;   che non avendo ricevuto, nei mesi a seguire, nessuna comunicazione nè tanto meno ulteriori richieste di esami, aveva ritenuto che il procedimento fosse stato archiviato, atteso che nello stesso periodo conseguiva anche l'avanzamento di grado ad assistente capo "per merito assoluto" ; che in data 16 gennaio 2004 gli è stato notificato il provvedimento di destituzione, adottato a conclusione del procedimento disciplinare.

     Di tale provvedimento, con il presente giudizio, il ricorrente chiede l’annullamento con vittoria di spese per i seguenti motivi:

     1) violazione degli artt. 1, 7, 11, 19, 20 del d.p.r. 737/1981; degli art.  3 punto 2, e 10 della legge 241/1990; eccesso di potere per travisamento dei fatti ed errore di presupposti, carenza assoluta di motivazione ed ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria e disparità di trattamento.

     Si sostiene innanzitutto che tra i reati che comportano la destituzioni di diritto non rientrano quelli previsti e puniti dal dpr 309/90; che il provvedimento di destituzione muove dall’ipotizzato coinvolgimento del @@@@@@@ in attività di consumo e spaccio di droga, in relazione alle risultanze di un'indagine della Squadra Mobile,  ed in particolare alle intercettazioni telefoniche effettuate, nelle quali tuttavia difetta qualsiasi riferimento al consumo e spaccio di droga; che l’unico indizio assunto come prova è rappresentato dal coinvolgimento nei fatti di droga di un collega del ricorrente, con il quale questi intratteneva rapporti di amicizia e scambi di telefonate; che non esiste dunque alcuna prova a carico del @@@@@@@ in ordine ai fatti contestati, tanto più che le perquisizioni locali e personali hanno avuto esito negativo e che nessuna nota punitiva gli è stata mai inflitta per mancanze riferibili allo stato di servizio, cosicché nel dicembre del 2003 egli è stato promosso di grado per merito assoluto; che le sanzioni disciplinari devono essere graduate, nella misura, in relazione alla gravità delle infrazioni ed alle conseguenze che le stesse hanno prodotto per l'amministrazione o per il servizio e che nella specie non si è tenuto conto che alcuna  mancanza ha posto in essere il ricorrente rifiutando di sottoporsi agli accertamenti medici cui non era obbligato; che le giustificazioni del @@@@@@@, infine, non sono assolutamente state valutate e che la commissione  disciplinare sembra essersi soffermata solo sul mero fatto che il ricorrente avesse frequentazioni e rapporti di amicizia con colleghi indagati; che, infine,  quando l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza viene sottoposto, per gli stessi fatti, a procedimento disciplinare ed a procedimento penale, il primo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato; che il ricorrente è tuttora indagato nel procedimento penale n. 3747/2000 e che non ha riportato alcuna sentenza di condanna.

     2) violazione di legge ed in particolare degli artt. 60, 61, 62, 63, 64, 65, e 329 del codice di procedura penale.

     Si sostiene che il dirigente che ha avviato il procedimento disciplinare ha manifestato pregiudizi negativi nei confronti del ricorrente, rendendo vane le garanzie di imparzialità e compromettendo il diritto di difesa; che l'intero procedimento amministrativo non è stato svolto con serietà ma sulla base di deduzioni prive di fondamento sostituendo alle garanzie del procedimento giurisdizionale quelle inesistenti del procedimento disciplinare.

     3) violazione e falsa applicazione dell'art. 9 del d.p.r. 904/1983 e dell'art. 77 del d.p.r. 335/1982; eccesso di potere per contraddittorietà manifesta e carenza assoluta di motivazione in relazione alla mancata osservanza delle direttive ministeriali n. 333/800/9@@@@@@@ del 28.12.1981; eccesso di potere per illogicità ed ingiustizia manifesta.

     Si sostiene che il d.p.r. 904/1983 riguarda l'approvazione del regolamento sui requisiti psico fisici e attitudinali degli appartenenti ai ruoli della polizia di stato e che il giudizio di idoneità può essere richiesto dall’amministrazione in occasioni particolari e in connessione ad istituti che disciplinano le assenza per motivi di salute, oppure in relazione a specifiche circostanze rilevate d'ufficio; che tali norme non consentono accertamenti connessi ad azioni di natura disciplinare; che con le proprie giustificazioni il ricorrente aveva eccepito il vizio di sviamento di potere in quanto si stava attuando un accertamento senza i legali presupposti di legge e che l’amministrazione ha dato inizio al procedimento disciplinare sottoponendo l'impiegato a visita medico - legale, ai sensi del d.p.r. 904/1993 senza indicare la natura dell'infermità.

     4) violazione di legge ed in particolare degli art. 7, 9, 11, 17, 21, 22, e 23 della legge 675/1996.

     Si sostiene che l'art. 17 legge 675/1996 prevede limiti all'utilizzabilità dei dati personali e in particolare che  i dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell'interessato e previa autorizzazione del Garante"; che è perciò reato divulgare notizie riguardanti un procedimento penale coperto dal segreto istruttorio; che salvi i casi menzionati dalla stessa legge 675/1996 ogni trattamento di dati deve essere fatto con la più rigorosa correttezza e senza danneggiare i soggetti destinatari degli accertamenti; che il provvedimento impugnato è illegittimo anche sotto tale profilo in quanto i dati riservati del ricorrente sono stati utilizzati per finalità diverse da quelle la legge consente.

     In data 7 aprile 2004 si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, la quale ha controdedotto su tutti i motivi di ricorso, deducendone l’infondatezza e chiedendone la reiezione con vittoria di spese.

     Alla pubblica udienza del 14 ottobre 2004 previa audizione dei difensori delle parti il ricorso è stato posto in decisione.

Diritto

     Oggetto di ricorso è il provvedimento di destituzione dal servizio, che l’amministrazione ha adottato nei confronti del ricorrente, agente della Polizia di Stato, a conclusione del procedimento disciplinare tempestivamente promosso con la contestazione di addebiti del 14 giugno 2002, per i motivi di cui è menzione in atti.

     Con il primo motivo il ricorrente deduce una serie di profili di illegittimità, tra i quali appare preliminare quello di violazione dell’art. 11 del D.P.R. 737/1981, che impone la sospensione del procedimento disciplinare quando l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza sia stato sottoposto, per gli stessi fatti, a procedimento penale.

       Sostiene, infatti, il ricorrente che all’atto dell’instaurazione del procedimento disciplinare e comunque prima della sua conclusione con l’adozione del provvedimento impugnato, era già pendente nei suoi confronti un procedimento penale per gli stessi fatti contestati in sede disciplinare, e che ciò sarebbe dimostrato dalla nota del Procuratore della Repubblica del 13 febbraio 2001 (doc. n. 4 dep. il 7 aprile 2004) nella quale si informa l’amministrazione che  il procedimento penale nei confronti di @@@@@@@ @@@@@@@ “è pendente e si trova nella fase delle indagini preliminari”.

       La censura è tuttavia infondata.

       In realtà dagli atti di causa risulta che il @@@@@@@ è stato iscritto nel registro delle notizie di reato, ma che la sua posizione era, ed è rimasta, quantomeno sino alla conclusione del procedimento disciplinare, quella di persona sottoposta alle indagini preliminari (cfr. art. 61 c.p.p.).

       Tale posizione non era e non è ostativa dell’azione disciplinare: la fase delle indagini preliminari, infatti, come noto, può concludersi o con l’esercizio dell’azione penale o con un provvedimento di archiviazione, che tuttavia è privo del carattere di definitività, potendo, il procedimento penale, essere sempre riaperto per ulteriori indagini.

       L’evento che impone la sospensione del procedimento disciplinare deve essere individuato, perciò, nel momento propriamente processuale, che principia con l'esercizio dell'azione penale e con la conseguente assunzione della qualità di imputato da parte del soggetto al quale è attribuito il reato; tale effetto si realizza, ai sensi degli articoli 60 e 405 c.p.p., con la richiesta di rinvio a giudizio, avanzata dal Pubblico ministero a norma dell'art. 416 stesso codice, o con altri atti con i quali ugualmente si investe il giudice di decidere sulla pretesa punitiva (art. 447: richiesta congiunta di applicazione della pena durante le indagini preliminari; art. 449: giudizio direttissimo; art. 453: giudizio immediato; art. 459: richiesta di decreto penale di condanna a pena pecuniaria; art. 555: decreto di citazione a giudizio a chiusura delle indagini preliminari).

       L’obbligo di sospensione del procedimento disciplinare sussiste, perciò, solo quando il procedimento penale sia in una fase che postula necessariamente che esso sfoci in una sentenza, o provvedimento equiparato, avente il carattere della definitività (cfr. C.d.S. sez. 6^ n. 5855/2001).

       Il motivo va pertanto respinto.

       Sempre per  ragioni logicamente pregiudiziale vanno  esaminati il secondo, terzo e quarto motivo, con cui il ricorrente si duole, nell’ordine:  della mancanza di imparzialità del dirigente (da individuare presumibilmente nel funzionario istruttore) che avrebbe compromesso il diritto di difesa dell’incolpato “esprimendo indebitamente il proprio convincimento su questioni a lui non pertinenti circa la colpevolezza dell’indagato”; del fatto che nel provvedimento di destituzione sia stato attribuito rilievo alla sua indisponibilità a sottoporsi agli accertamenti medico legali finalizzati alla ricerca dei metaboliti delle tossicodipendenze e, infine, della illegittimità della richiesta di sottoporlo al test medico in quanto surrettiziamente finalizzata all’acquisizione ed all’utilizzazione a fini disciplinari di dati “sensibili” concernenti stati e situazioni personali costituzionalmente garantite e tutelate.

     Tali doglianze,

     Sulla prima, il Collegio osserva che si tratta di censura generica e poco perspicua: il ricorrente infatti deduce la violazione di norme del codice di procedura penale riferite al processo, che non hanno attinenza con il procedimento disciplinare.

     Imputa infatti al funzionario istruttore di aver formulato accuse basate su considerazioni non pertinenti trascurando che il compito del funzionario istruttore è proprio quello di predisporre, all’esito dell’istruttoria, la contestazione di addebiti e dunque di esprimere la propria convinzione in ordine alla sussistenza dei fatti disciplinarmente rilevanti a carico dell’incolpato.

     Spetta poi all’amministrazione, esaminati gli atti, valutare  se gli addebiti sussistono o meno, dispone in tal caso l'archiviazione del procedimento,, ovvero trasmetterli all'organo competente per il seguito dell’azione stessa.

     Poiché il compito del funzionario istruttore si esaurisce con la relazione conclusiva e questi non interviene o prende parte, nella fase del giudizio disciplinare è evidente che l’opinione che costui esprime in ordine alla colpevolezza dell’incolpato resta confinata nella fase preliminare (che peraltro potrebbe anche concludersi con l’archiviazione) e non è assistita da fede privilegiata, atteso che in sede giudicante le parti hanno le stesse prerogative e che il soggetto incolpato ha la possibilità di esercitare ogni difesa idonea a contrastare le contestazioni formulate nell’atto di addebito disciplinare.

     E ciò è quanto è avvenuto nella specie, posto che il ricorrente ha controdedotto compiutamente su tutte le contestazioni a lui mosse e non indica quale limitazione di difesa abbia risentito per effetto della scorretta conduzione della fase preliminare.

     Quanto alla dedotta violazione dell’art. 9 del d.P.R. 23 dicembre 1983, n. 904, in relazione all’ “uso sviato del potere di accertamento sanitario” siccome rivolto non già ad accertare lo stato di salute del ricorrente “ma a precostituire la prova per un eventuale futuro procedimento disciplinare”, anche tale censura, già disattesa in analogo procedimento, appare infondata.

     Infatti, poiché non può ragionevolmente dubitarsi che la tossicomania costituisca causa non solo di non idoneità per l’ammissione ai concorsi per l’accesso ai ruoli della Polizia di Stato (cfr. art. 2, n. 2), del d.P.R. n. 904 del 1983), ma anche di inidoneità all’espletamento del servizio di polizia (fatti salvi, ovviamente, i diritti normativamente riconosciuti ai lavoratori di cui venga accertato lo stato di tossicodipendenza e che intendano sottoporsi a trattamento di recupero), legittimamente il dirigente dell’ufficio, nel chiedere al ricorrente di sottoporsi agli accertamenti suindicati, ha richiamato l’art. 9 del citato d.P.R. n. 904 del 1983 il quale, consentendo all’Amministrazione di accertare l’idoneità psico –fisica al servizio per gli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato che espletano funzioni di polizia anche “in relazione a specifiche circostanze rilevate d’ufficio”,  ben può essere interpretato nel senso di riconoscere all’Amministrazione la facoltà di accertare se il dipendente assume, o no, sostanze stupefacenti, al fine di valutare la persistente idoneità del medesimo allo svolgimento delle funzioni di polizia.

     Peraltro, diversamente da quanto si sostiene nel ricorso,  non c’è alcuna prova che la sottoposizione del @@@@@@@ agli accertamenti in questione sia stata disposta al fine di precostituire prove per un eventuale futuro procedimento disciplinare e non invece allo scopo determinante di accertare l’idoneità o inidoneità del dipendente al servizio.

     E comunque, legittima o meno che fosse ritenuta la richiesta, la spottoposizione al test non costituiva per il ricorrente un obbligo ma una facoltà che avrebbe potuto consentirgli, ove si fosse sottoposto ad essa con tutte le riserve di diritto e con ogni garanzia richiesta (in contraddittorio con un medico di fiducia), di dimostrare la propria idoneità al servizio e al contempo di fugare il sospetto, indotto dalla sua condizione di inquisito per reati specifici legati all’uso di sostanze stupefanti, di non essere tossicodipendente.

     Né è vero che il ricorrente abbia giustificato le ragioni del suo mancato consenso poiché  in realtà, secondo quanto risulta dagli atti, egli non si è presentato al test fissato per il 7 maggio 2002 senza addurre alcuna previa giustificazione e solo in seguito, dopo quindici giorni (il 22 maggio 2002) ha chiesto di avere copia degli atti inerenti la richiesta stessa, rifiutando comunque il consenso con argomenti che fanno leva sull’inconferente diritto di non essere soggetto a trattamenti sanitari forzati laddove la richiesta dell’amministrazione era di un accertamento facoltativo e la sua finalità legittima per le ragioni sottostanti alla verifica dell’idoneità psico fisica del dipendente.

     Quanto infine al dedotto eventuale utilizzo illecito di dati coperti da privacy ed afferenti alla sfera personale il Collegio osserva che il diritto alla riservatezza dei dati personali non è opponibile all’amministrazione in relazione agli accertamenti sanitari che sono rivolti ad accertare le condizioni di idoneità psico fisica al servizio, atteso che tali dati sono destinati a rimanere riservati, non essendo divulgabili all’esterno né suscettibili di utilizzo per motivi diversi da quelli per i quali la legge ne prevede e consente l’acquisizione.

     La questione dedotta non sembra peraltro rilevante giacchè qui non viene in rilievo l’uso illecito di dati sensibili ma la possibilità per l’amministrazione di chiedere la verifica dell’idoneità al servizio dei propri dipendenti nei casi in cui sussistano specifiche e motivate ragioni per dubitarne.

     Anche questi motivi sono dunque complessivamente infondati.

     Restano i profili ulteriori dedotti nel primo motivo e tenuti riservati perché tutti rivolti contro la sanzione e con i quali il ricorrente assume di  non meritare il provvedimento di destituzione per l’insussistenza dei comportamenti a lui addebitati in sede disciplinare.

     In sintesi il @@@@@@@ sostiene che non sussiste alcuna prova seria ed attendibile dei fatti contestati ma solo indizi del tutto insignificanti, abilmente manipolati ovvero erroneamente intesi ed enfatizzati; che nelle intercettazioni telefoniche effettuate sulla propria utenza è assente qualsiasi riferimento diretto o indiretto al consumo e allo spaccio di droga; che l’unico indizio assunto come prova è rappresentato dal coinvolgimento di un collega di lavoro (arrestato in  flagranza per acquisto di cocaina), con il quale intratteneva normali rapporti di amicizia e usuali contatti telefonici;   che  non esiste a carico del ricorrente alcuna prova diretta giacchè le perquisizioni locali e personali hanno avuto esito negativo; che nessuna nota punitiva gli è stata mai inflitta per mancanze riferibili allo stato di servizio e che, in considerazione di ciò, nel dicembre del 2003 è stato promosso ad assistente capo per merito assoluto;  che pertanto il potere disciplinare non è stato esercitato nel rispetto dei criteri generali di correttezza, buona fede e proporzionalità.

     Anche queste censure, però, sono a giudizio del Collegio infondate.

     Occorre intanto avvertire che dagli atti del procedimento disciplinare non risulta che le giustificazioni fornite dal ricorrente non siano state prese in considerazione ovvero che esse siano state ignorate: la commissione di disciplina le ha invece esaminate (cfr. il verbale del 20 ottobre) e non le ha condivise.

     Il ricorrente d’altronde non ha smentito né ha potuto negare i contatti telefonici con i colleghi e con i privati intercettati, conosciuti come fornitori di sostanze stupefacenti, ma ha sostenuto, come sostiene nelle odierne difese che il traffico telefonico da lui mantenuto con soggetti risultati chiaramente implicati nell’attività di consumo e spaccio di sostanze stupefacenti (i colleghi @@@@@@@, arrestato in flagranza di reato, il collega @@@@@@@ e i privati fornitori di merce) non è indice di prova dei fatti specifici a lui contestati poiché le frasi  estrapolate dai colloqui telefonici registrati nel corso delle indagini tra i soggetti sospettati ed indagati (tra cui appunto il @@@@@@@ stesso) non sarebbero significative, trattandosi di “banalissime frasi al di sopra di ogni sospetto”, “generiche e prive del minimo riscontro probatorio”.

     Il Collegio non è dello stesso avviso.

     Occorre infatti premettere al riguardo, che come evidenzia l’amministrazione nelle proprie difese, le indagini che hanno portato alle intercettazioni telefoniche sono state avviate e indirizzate in modo “mirato” verso le utenze di alcuni agenti di polizia perché in seguito all’arresto di un gruppo di spacciatori costoro avevano confessato il coinvolgimento dei primi nel traffico di stupefacenti e, in particolare, che uno di essi era l’agente @@@@@@@, la cui utenza telefonica era risultata in contatto con soggetti noti come spacciatori (@@@@@@@, @@@@@@@ e @@@@@@@); che dalle prime intercettazioni era emerso che del gruppo faceva parte, ed era anch’egli in costante contatto con @@@@@@@ e i suoi fornitori, l’agente @@@@@@@, sospettato anch’egli di consumo di stupefacenti.

      Il @@@@@@@ è stato quindi gravemente sospettato perché, intercettato egli stesso, ha mantenuto colloqui “crittati” sia con i colleghi sia con i fornitori (con i quali in un caso dialoga utilizzando il cellulare del collega @@@@@@@).

     Non c’è dunque la prova diretta del traffico ma è stata raggiunta la prova indiretta che il @@@@@@@ è un sospetto utilizzatore e fornitore di  sostanza stupefacente poiché risulta collegato alla stessa organizzazione, a ruoli c.d. interscambiabili, della quale fanno parte soggetti (i colleghi @@@@@@@ e  @@@@@@@) il cui coinvolgimento nell’attività di consumo personale e cessione di sostanze stupefacenti, nonché il collegamento con gli ambienti dello spaccio è emersa con certezza, in seguito all’arresto dell’agente @@@@@@@ e dei fornitori di droga.

     Il gruppo formato all’interno del corpo della Polizia di Stato, quindi, operava come un’organizzazione collusa con gli ambienti, notoriamente criminosi, della droga, che, anziché reprimere favoriva, e dei cui proventi, si può presumere, beneficiava direttamente o indirettamente, ottenendo dosi per consumo personale  o da smistare a terzi (in tal senso le intercettazioni sul rapporto tra l’agente @@@@@@@, @@@@@@@, @@@@@@@ e @@@@@@@).

     Il fatto che nelle numerose intercettazioni, che riportano solo i passaggi ritenuti significativi ai fini dell’indagine non si faccia riferimento espresso a sostanze stupefacenti ma a surrogati del gergo (il carico di legna, l’oro, un congruo, il @@@@@@@, il pensierino, e quant’altro) non è significativo, poiché, e su questo il Collegio concorda con l’assunto dell’amministrazione, il senso reale delle frasi è desumibile dal contesto, ossia dalle modalità, dalla finalità e dalla tipologia dei contatti telefonici (chiamate senza altro scopo che ricercare incontri diretti, ovvero a sollecitare attività di intermediazione finalizzata a procurare “qualcosa” dietro pagamento di denaro nei luoghi di appuntamento definiti anche “usuali”) e, inoltre, dalla chiara configurazione illecita della condotta del gruppo (composto da agenti della polizia di stato) che incontra e mantiene contatti ingiustificabili e di esplicita evidenza affaristica con spacciatori e fornitori di sostanze stupefacenti.

     E tutto ciò collaborando attivamente, come si percepisce dalle conversazioni intercettate, e traendo frutto dalla loro attività (più direttamente il @@@@@@@ ma non meno @@@@@@@, @@@@@@@, @@@@@@@ e @@@@@@@); con evidente consapevolezza del disvalore della loro condotta essendo a conoscenza dell’illiceità penale del traffico di stupefacenti e dell’aggravante rappresentata dalla loro funzione.

     Il Collegio ritiene quindi, come già in analoga vicenda riguardante altro componente del gruppo (cfr. T.A.R. Veneto sez. 1^ 13 ottobre  2004 n. 3684), che il giudizio che l’Amministrazione ha tratto ai fini dell’applicazione al @@@@@@@ della sanzione destitutoria , sulla base dei fatti emersi dalle intercettazioni telefoniche, dall’arresto in flagranza di reato dell’agente @@@@@@@ e dal collegamento chiaramente finalizzato all’attività di uso e procacciamento di sostanze stupefacenti cui il gruppo stesso era dedito, sia  attendibile e pienamente comprovato dagli elementi anzidetti.

     Ne consegue che vanno respinti tutti i profili di censura  con i quali si deducono vizi di difetto di motivazione e di travisamento dei fatti, essendo questi ultimi provati ed idonei a giustificare l’applicazione della  sanzione inflitta.

     Né merita infine accoglimento l’ultima censura, con la quale il ricorrente deduce il vizio di eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, assumendo che essa è eccessiva in rapporto ai fatti contestati e contraddittoria avuto riguardo ai precedenti di servizio vantati dallo stesso dipendente, tra cui anche la promozione per merito assoluto alla qualifica superiore conseguita in concomitanza con il provvedimento destitutivo.

       Il Collegio ritiene infatti, sul punto specifico, che il provvedimento di destituzione, ancorché si tratti della più grave sanzione sia giustificato, in quanto la condotta contestata al ricorrente ed accertata in sede disciplinare corrisponde pienamente alla fattispecie sanzionatoria e non ne costituisce un’applicazione sproporzionata, giacché contiene una motivata e specifica enunciazione della sua gravità, congruamente enunciata ed insindacabile sotto i profili della coerenza e della proporzione: la dimostrata collusione dell’agente di polizia destituito con gli ambienti dello spaccio di droga e della delinquenza che vi gravita è un fatto che rivela “infedeltà” insanabile all’istituzione, che ne determina il discredito di fronte ai cittadini e che vanifica l’impegno e la fiducia degli altri colleghi nella loro comune funzione.

     Né rileva infine la coeva promozione del @@@@@@@ per merito assoluto, in quanto essa riguarda la progressione economica e di carriera, che non ha attinenza o connessione con la condotta disciplinare; la promozione peraltro risale, quanto a decorrenza, al 22 luglio 2002 e quindi non tiene certamente conto della condotta illecita rilevante sulla prosecuzione del rapporto di lavoro,  accertata e sanzionata successivamente.

     Il ricorso è pertanto infondato e va respinto.

     La natura della controversia e alcuni profili equitativi giustificano tuttavia la compensazione tra le parti delle spese e delle competenze di causa.

P.Q.M.

       Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima sezione, respinge il ricorso in epigrafe.

       Spese e competenze di causa compensate.

       Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

       Così deciso in Venezia, addì 14 ottobre 2004

             Il Presidente f.f., estensore 

          

     Il Segretario 
 

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Prima Sezione 
 
 
 
 
 

      T.A.R. per il Veneto – I Sezione n.r.g. @@@@@@@/04