La III Sezione
Svolgimento del processo
Con citazione notificata in data 4-11-2004 B.R. conveniva in
giudizio innanzi al giudice di pace di Catania l'AGENZIA DELLE
ENTRATE di Catania, per sentirla condannare al risarcimento dei
danni morali e da stress, subiti a seguito delle lungaggini
dell'iter burocratico affrontato per ottenere lo sgravio di somme
non dovute.
Precisava che aveva proposto istanza per l'annullamento della
cartella esattoriale in data 17-2-2004, ottenendone l'accoglimento
solo a sei mesi di distanza, dopo numerose richieste e reiterati
solleciti, visite allo sportello e ingiustificati rinvii e dinieghi.
Resisteva l'AGENZIA DELLE ENTRATE di Catania, la quale deduceva, tra
l'altro, la propria carenza di legittimazione passiva, in quanto
ufficio periferico.
Con sentenza in data 7 aprile 2005, il giudice di pace di Catania
dichiarava l'AGENZIA DELLE ENTRATE di Catania responsabile del danno
non patrimoniale provocato al B. e, per l'effetto, la condannava al
risarcimento dei danni, liquidati in via equitativa nella somma di
Euro 300,00, nonchè al pagamento delle spese processuali.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'AGENZIA
DELLE ENTRATE, in persona del direttore, svolgendo due motivi, cui
ha resistito B.R., depositando controricorso.
Motivi della decisione
1.1. Con il primo motivo parte ricorrente censura la decisione
impugnata, nel punto in cui ha rigettato l'eccezione di carenza di
legittimazione passiva sollevata dall'AGENZIA DELLE ENTRATE di
Catania, ritenendo il vizio sanato ex art. 156 c.p.c. a seguito
della costituzione in giudizio dell'ufficio periferico.
A tal riguardo la ricorrente AGENZIA denuncia violazione e falsa
applicazione dell'art. 156 c.p.c., comma 3, artt. 166 c.p.c. e ss.,
D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 e deduce l'"inesistenza giuridica"
del soggetto convenuto in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4,
lamentando che sia stata fraintesa la portata dell'eccezione, con la
quale si sosteneva il difetto di legittimazione rispetto alla
domanda risarcitoria, in considerazione del carattere eccezionale
della norma di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 che, nella
materia del contenzioso tributario, attribuisce la legittimazione
agli uffici periferici, peraltro esclusivamente nelle fasi di
merito.
Sulla base di tale premessa la ricorrente assume che l'AGENZIA DELLE
ENTRATE con sede in Roma era l'unico soggetto destinatario della
vocatio in ius e che l'evocazione in giudizio di un soggetto
giuridico "inesistente ai fini del processo civile", quale l'ufficio
periferico, si è concretata in una causa di nullità assoluta e
insanabile.
1.2. Il motivo è infondato, ancorchè la motivazione del giudice di
pace debba essere integrata e rettificata ai sensi dell'art. 384
c.p.c., comma 4.
Parte ricorrente fa riferimento a un orientamento giurisprudenziale
consolidato nel regime antecedente all'assunzione di operatività
delle Agenzie delle Entrate che, fondandosi sul disposto del D.Lgs.
n. 546 del 1992, artt. 10 e 11, limitava la legittimazione degli
uffici periferici dell'amministrazione finanziaria ai soli giudizi
innanzi alle commissioni tributarie, ritenendosi che, in difetto di
speciale disciplina, riprendesse vigore la regola generale (R.D. n.
1611 del 1933, art. 11) che attribuiva al Ministero delle Finanze
l'esclusiva legittimazione. Si tratta, però, di una ricostruzione
della normativa rilevante in materia, che è stata rivista alla luce
della nuova realtà ordinamentale, introdotta dal D.Lgs. 30 luglio
1999, n. 300 ed operativa, secondo il D.M. 28 dicembre 2000 a
partire dal 1 gennaio 2001, che ha comportato l'attribuzione delle
funzioni statali concernenti i tributi erariali all'AGENZIA DELLE
ENTRATE, quale soggetto dotato di personalità giuridica di d iritto
pubblico, rappresentata dal direttore (del cit. D.Lgs. n. 300, artt.
61 e 66).
In particolare - come chiarito dalle SS.UU. l'attribuzione agli
uffici periferici dell'AGENZIA della stessa capacità di stare in
giudizio spettante, in base al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e
11, agli uffici finanziari che avevano emesso l'atto, comporta il
conferimento ai medesimi uffici periferici della capacità di stare
in giudizio, in via concorrente ed alternativa al direttore, secondo
un modello simile alla preposizione institoria disciplinata dagli
artt. 2203 e 2204 c.c. configurandosi detti uffici, quali organi
dell'AGENZIA che, al pari del direttore, ne hanno la rappresentanza
ai sensi e agli effetti dell'art. 163 c.p.c., comma 2, n. 2 e degli
artt. 144 e 145 c.p.c. (cfr. sentenza 14 febbraio 2006, n. 3116 in
motivazione).
Senza ripetere qui gli argomenti svolti dalle SS.UU., condivisi dal
Collegio e ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte,
vai la pena di precisare che la ricostruzione del rapporto tra
l'AGENZIA e l'ufficio periferico negli schemi della procura
institoria, con conseguente imputabilità all'ente pubblico
preponente dell'attività posta in essere dal secondo, impone di
riconoscere, secondo le regole stabilite in via generale dal codice
di procedere civile, all'ufficio periferico la legittimazione
processuale attiva e passiva, concorrente con quella dell'ente,
anche nel processo innanzi al giudice ordinario, per i rapporti
sorti dagli atti compiuti da detto periferico. Ed è ciò che è
avvenuto nel caso di specie, in cui l'AGENZIA DELLE ENTRATE di
Catania è stata evocata innanzi al giudice di pace, per il
risarcimento di danni asseritamente provocati dal tardivo ritiro
dell'atto impositivo da essa posto in essere.
2.1. Con il secondo motivo la ricorrente censura il merito della
decisione impugnata, per avere ritenuto violato il divieto del
neminem laedere, in considerazione della lunghezza dell'iter
burocratico, durato sei mesi, con conseguente turbamento del
"diritto alla tranquillità" del B., facendogli spendere tempo ed
energie, tra visite "a vuoto" agli sportelli, richieste e reiterati
solleciti, per dimostrare che la somma richiestagli non era dovuta.
In particolare la ricorrente - denunciando violazione e falsa
applicazione dell'art. 2043 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c.,
n. 3 - lamenta violazione di principio informatore del diritto per
difetto del carattere dell'"ingiustizia" del danno, segnatamente
evidenziando che l'annullamento in autotutela della P.A. non si
configura come un obbligo dell'amministrazione e contestando, nel
contempo, la violazione, dei criteri di ordinaria diligenza, avuto
riguardo al limitato arco di tempo in cui intervenne il ritiro
dell'atto impositivo.
2.2. Il motivo è fondato nei termini che seguono.
Come è noto le SS.UU., con quattro contestuali sentenze di contenuto
identico (nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 in data 11-11-2008), hanno
di recente proceduto ad una rilettura in chiave costituzionale del
disposto dell'art. 2059 c.c., ritenuto principio informatore del
diritto, come tale vincolante anche nel giudizio di equità, da
leggersi - non già come disciplina di un'autonoma fattispecie di
illecito, produttiva di danno non patrimoniale, distinta da quella
di cui all'art. 2043 c.c. - bensì come norma che regola i limiti e
le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali
(intesa come categoria omnicomprensiva, all'interno della quale non
è possibile individuare, se non con funzione meramente descrittiva,
ulteriori sottocategorie), sul presupposto dell'esistenza di tutti
gli elementi costitutivi dell'illecito richiesti dall'art. 2043
c.c., e cioè: la condotta illecita, l'ingiusta lesione di interessi
tutelati dall'ordinamento, il nesso causale tra la prima e la
seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal
titolare dell'interesse leso.
In tale prospettiva la peculiarità del danno non patrimoniale viene
individuata nella sua tipicità, avuto riguardo alla natura dell'art.
2059 cit., quale norma di rinvio ai casi previsti dalla legge (e,
quindi, ai fatti costituenti reato o agli altri fatti illeciti
riconosciuti dal legislatore ordinario produttivi di tale tipo di
danno) ovvero ai diritti costituzionali inviolabili, presieduti
dalla tutela minima risarcitoria, con la precisazione, in
quest'ultimo caso, che la rilevanza costituzionale deve riguardare
l'interesse leso e non il pregiudizio consequenzialmente sofferto e
che la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale presuppone,
altresì, che la lesione sia grave (e, cioè, superi la soglia minima
di tollerabilità, imposto dai doveri di solidarietà sociale) e che
il danno non sia futile (vale a dire che non consista in meri disagi
o fastidi o sia addirittura meramente immaginario).
Ciò precisato, si osserva che, nella specie, non sussiste
un'ingiustizia costituzionalmente qualificata, tantomeno si verte in
un'ipotesi di danno patrimoniale prevista dal legislatore ordinario,
risultando, piuttosto, la ritenuta lesione del "diritto alla
tranquillità" insuscettibile di essere monetizzata, siccome
inquadrabile in quegli sconvolgimenti quotidianità "consistenti in
disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro di
insoddisfazione" (cd. bagatellari) ritenuti non meritevoli di tutela
risarcitoria (pag. 34 della sentenza n. 26972/2008).
In conclusione, il secondo motivo di ricorso va accolto e, ai sensi
dell'art. 384 c.p.c., comma 2, la sentenza impugnata va cassata
senza rinvio, posto che, non essendo necessari accertamenti di
fatto, va pronunciato nel merito e - in applicazione dei principi
affermati dalle SS.UU. sopra richiamati - la domanda di risarcimento
del B. va rigettata.
Le spese dell'intero processo vanno integralmente compensate tra le
parti, avuto riguardo al rigetto del primo motivo, nonchè alla
relativa novità e alla natura delle questioni trattate con il
secondo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso;
accoglie il secondo motivo; cassa senza rinvio la sentenza impugnata
e, pronunciando nel merito, rigetta la domanda di B.R.; compensa
interamente tra le parti le spese dell'intero processo.
Così deciso in Roma, il 17 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2009. |