Comparto Sicurezza e Difesa previdenza complementare: esito ricorso

previdenza complementare: esito ricorso
 
Il 14 dicembre 2009 è stata depositata la sentenza del Tar Lazio avente nr. 12874/2009 del 18 novembre 2009, relativa al primo ricorso collettivo avverso il mancato avvio della previdenza complementare ed il mantenimento del sistema retributivo, presentato da circa 590 appartenenti ad altra forza di polizia. Detto ricorso è stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice adito in quanto, secondo i giudici amministrativi, questione spettante alla Corte dei Conti, "giudice delle pensioni". Il difetto di giurisdizione e la competenza esclusiva della Corte dei Conti erano argomentazioni a sostegno delle perplessità espresse dalla nostra O.S. circa l'esperibilità del ricorso stesso, pur condividendone le motivazioni di fatto. A seguito di tali considerazioni il SILP ha predisposto una petizione popolare per l'immediato avvio della previdenza complementare, detta decisione si è finora dimostrata la soluzione strategica rivendicativa più opportuna. Il Silp per la Cgil che continuerà costantemente a battersi per ottenere l'avvio della previdenza complementare per il nostro personale, seguirà gli esiti di ogni vicenda connessa con la materia di cui sopra.

 

 

 

N. 12874/2009 REG.SEN.

N. 04738/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4738 del 2009, proposto dai signori

-

contro

-il Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale

dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;

-l’INPDAP (Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti

dell'Amministrazione Pubblica), elettivamente domiciliato in Roma, via S.

Croce in Gerusalemme n.55, presso l'avv. --, che lo

rappresenta e difende per mandato;

per l’accertamento

del diritto a vedersi calcolare il trattamento pensionistico – sino all’effettiva

attuazione delle previdenza complementare – secondo il sistema cosiddetto

“retributivo”, previa eventuale dichiarazione d’incostituzionalità della legge

335/1995 (“in parte qua”) e degli artt. 2 d.lg. n. 124/1993 e 3, comma 2,

d.lg. n. 252/2005 e, per la condanna, delle Amministrazioni intimate al

risarcimento dei danni conseguenti al mancato tempestivo avvio delle

necessarie procedure per la negoziazione e concertazione del trattamento di

fine servizio e/o fine rapporto: e della connessa e conseguente istituzione

della previdenza complementare.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e

dell’INPDAP;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 18 novembre 2009, il dott.

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Franco Angelo Maria De Bernardi e uditi – per le parti – i difensori come

da verbale;

Ritenuto e considerato quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Col ricorso in esame, un considerevole numero di Carabinieri (assoggettati

– in quanto assunti dopo il 31.12.’95: o in quanto privi, a questa data, della

sufficiente anzianità di servizio – ai nuovi criteri di calcolo dell’ordinario

trattamento di quiescenza) ha chiesto l’accertamento del diritto a che un tale

calcolo, sino alla concreta attivazione della “previdenza complementare”

(momento qualificante della complessiva riforma del sistema pensionistico),

continui ad esser effettuato in base ai parametri vigenti all’atto della

promulgazione della cosiddetta “legge Dini”. (Della quale, se interpretata in

modo diverso da quello prospettato, viene – del resto – dedotta la patente

incostituzionalità).

All’esito della discussione svoltasi nella pubblica udienza del 18.11.2009, il

Collegio rigetta innanzi tutto l’eccezione di inammissibilità, sollevata dalle

Amministrazioni resistenti nella considerazione che, nella specie, non

avrebbe potuto proporsi un ricorso collettivo.

E’ infatti da considerare che un ricorso collettivo è da ritenere inammissibile

allorquando l’eventuale accoglimento delle domande proposte da taluno dei

ricorrenti si riveli logicamente incompatibile con la positiva valutazione di

quelle proposte da altri; ipotesi che non ricorre nel caso, dato che tutti i

ricorrenti tendono ad ottenere lo stesso risultato, senza che, all’evidenza, il

risultato favorevole per uno qualsiasi di loro si trovi in conflitto con

l’analogo risultato favorevole di un altro ricorrente.

Va rigettata anche l’eccezione di carenza di legittimazione passiva

dell’INPDAP, eccezione da questo Istituto sollevata, con conseguente

richiesta di estromissione dal giudizio, nella considerazione che esso sarebbe

estraneo al thema decidendum.

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E’ da osservare che, attenendo la domanda dei ricorrenti, come chiaramente

espressa nella epigrafe del ricorso e nelle conclusioni, alla determinazione

del quantum pensionistico, l’INPDAP, al quale fanno carico le pensioni dei

pubblici dipendenti, non potrebbe ritenersi esente dalle conseguenze di un

eventuale accoglimento del ricorso; dal che, la sussistenza della sua

legitimatio ad causam.

Passando alla trattazione del ricorso, va rilevato che lo stesso presenta

profili di inammissibilità.

E invero.

La domanda, per come testualmente espressa nella epigrafe del ricorso e

nelle conclusioni, attiene al quantum pensionistico; quantum evidentemente

diverso, e maggiore, di quello ora prevedibile, ove si continuasse ad

applicare i criteri dettati dal sistema retributivo in vigore ante “legge Dini” e

tuttora validi per i dipendenti con oltre 18 anni di contributi al 31 dicembre

1995; cosicché, stabilire quale criterio utilizzare per la determinazione della

entità pensionistica (anche, eventualmente, previa declaratoria di

incostituzionalità di norme ostative) non è questione di cui possa occuparsi

questo giudice amministrativo, ma è questione spettante alla Corte dei

conti, giudice sulle pensioni.

Non risulta, poi, né sul punto c’è eventuale deduzione contraria, che, allo

stato, i contributi versati dall’Amministrazione all’ente previdenziale di

riferimento dei ricorrenti siano in misura percentuale inferiore rispetto al

passato (rispetto cioè al sistema in vigore ante “legge Dini”), il che, ove

fosse, radicherebbe la giurisdizione di questo giudice amministrativo, al

quale spetta conoscere delle questioni che attengano allo svolgimento del

rapporto di impiego, ivi comprese, pertanto, quelle relative al corretto

versamento dei contributi previdenziali.

Quanto detto comporta la inammissibilità del ricorso per difetto di

giurisdizione del giudice adìto.

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Ma il ricorso non sfuggirebbe a una declaratoria di inammissibilità neanche

qualora, facendosi applicazione oltre misura, e in favore dei ricorrenti, del

principio in base al quale spetta al giudice adìto interpretare la domanda del

ricorrente al fine di ricavarne il petitum sostanziale e su questo poi

pronunciarsi, si potesse ritenere che la presente controversia non attiene a

questione propriamente pensionistica, ma a questione relativa alla mancata

attivazione – in favore dei ricorrenti – di quello che è comunemente

definito il secondo pilastro della previdenza; se, cioè, si potesse ritenere che

la questione in argomento fosse quella relativa alla costituzione di una

ulteriore, e in aggiunta a quella già in essere, posizione previdenziale, atta a

compensare gli squilibri, di ordine patrimoniale, connessi all’applicazione

dei nuovi criteri di calcolo delle pensioni.

Orbene, in tal caso sarebbe da ritenere che la costituzione di tale ulteriore

posizione previdenziale non assurga al rango di diritto soggettivo, per il

quale esercitare vittoriosamente una azione di accertamento e di condanna;

per come, invero, è stata disciplinata l’istituzione di detto secondo pilastro

sia nella legge fondamentale (legge Dini) che nella normativa di dettaglio, la

previdenza integrativa può realizzarsi attraverso una complessa procedura,

destinata a concludersi con un provvedimento autoritativo; cosicché i

soggetti interessati a tale previdenza possono vantare soltanto un interesse

legittimo, consistente nella pretesa a che l’Amministrazione eserciti il

proprio potere in proposito.

Ma, giusta i princìpi, la pretesa affinché l’Amministrazione eserciti un

potere non può essere portata direttamente alla cognizione del giudice,

occorrendo transitare attraverso lo strumento previsto dall’art.2 della legge

n.205 del 2000.

Da quanto detto deriva, poi, allo stato, il rigetto della domanda di

risarcimento dei danni, avanzata con riferimento al mancato tempestivo

avvio delle necessarie procedure per l’attivazione del predetto secondo

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pilastro.

Occorrerebbe, invero, al fine di affermare la responsabilità patrimoniale

dell’Amministrazione, accertare un suo inadempimento colpevole; ma, per

ciò, necessiterebbe attivare e concludere la procedura di cui al predetto

art.2, all’esito della quale soltanto potrebbe statuirsi su una ingiustificata

inerzia.

Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile nei sensi di cui

sopra.

La novità e la complessità del tema trattato costituiscono ragione per

disporre la integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando

-dichiara inammissibile il ricorso indicato in epigrafe;

-compensa tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 18 novembre

2009, con l'intervento dei Magistrati:

Elia Orciuolo, Presidente

Franco Angelo Maria De Bernardi, Consigliere, Estensore

Giuseppe Rotondo, Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/12/2009

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO

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