REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI TORINO
SEZIONE LAVORO
Composta da:
Dott. Giancarlo GIROLAMI
PRESIDENTE Rel.
Dott.ssa Maria Gabriella MARIANI
CONSIGLIERE
Dott. Michele MILANI
CONSIGLIERE
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa di lavoro iscritta al n.ro 578/2009 R.G.L.
promossa da:
MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro-tempore, difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino, domiciliataria in Corso Stati Uniti n. 45.
APPELLANTE
CONTRO
-----.
APPELLATI
Oggetto: Risarcimento danni da mancata riqualificazione.
CONCLUSIONI
Per l’appellante:
“In totale riforma della sentenza impugnata, assolversi il Ministero della Giustizia da ogni domanda proposta nei suoi confronti.
In subordine, in caso di conferma della sentenza impugnata, limitarsi la condanna dell’Amministrazione agli importi che risultano effettivamente dovuti alle controparti per il titolo azionato, tenuto conto dell’eccepita compensazione e dell’applicazione della regola del divieto di cumulo.
Col favore delle spese processuali relative al presente grado del giudizio”.
Per gli appellati:
“Voglia l’Ill.ma Corte d’Appello adita,
reietta ogni avversaria istanza, eccezione e deduzione
Nel merito
Respingere l’avversario atto di appello in quanto infondato in fatto ed in diritto.
In ogni caso
Con vittoria di spese ed onorari del grado di giudizio, oltre Iva, c.p.a., rimborso forfetario generale 12,5% e successive occorrende, da distrarsi a favore del sottoscritto procuratore antistatario”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 8.4.2009 i lavoratori indicati in epigrafe come odierni appellati convenivano in giudizio il Ministero della Giustizia e, premesso che tutti i Ministeri –in attuazione del ccnl comparto ministeri 1998/2001- avevano dato esito al medesimo contratto espletando i percorsi di riqualificazione e progressione di carriera del personale, compreso il Ministero della Giustizia relativamente al solo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dell’Amministrazione Minorile e degli Archivi Notarili, con esclusione quindi del Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria da cui essi dipendono, chiedevano la condanna della Amministrazione convenuta al pagamento, in loro favore, “del trenta per cento (30%) delle differenze retributive tra la posizione economica attualmente posseduta e quella immediatamente superiore, con decorrenza 7.12.2002, oltre interessi e rivalutazione…o in subordine nella misura (maggiore o minore) e con la decorrenza che saranno determinate, in via equitativa, all’esito dell’istruttoria” (cfr. conclusioni del ricorso introduttivo); venivano allegati documenti, non venivano indicate circostanze né testimoni.
I ricorrenti basavano la loro richiesta, sostanzialmente, sulle seguenti considerazioni:
il ccnl 1998/2001 prevedeva l’obbligo per il Ministero di espletare percorsi di sviluppo professionale dei dipendenti, “sia in verticale che in orizzontale” e, in particolare, il Ministero della Giustizia si era obbligato –con l’art. 15 del ccnl suddetto- a garantire, nel sistema di classificazione del personale, i passaggi entro l’area (da una posizione economica ad un’altra all’interno dell’area) e tra le aree (passaggio da un’area alla posizione iniziale dell’area immediatamente superiore) mediante procedure selettive volte all’accertamento dell’idoneità e/o della professionalità richieste, con percorsi di riqualificazione prevedenti un esame finale sulla base di criteri stabiliti dalla Amministrazione con le procedure di cui al successivo art. 20 del ccnl.
Con il successivo contratto integrativo nazionale stipulato il 5.4.2000, in attuazione dei suddetti principi, il Ministero della Giustizia, oltre a stabilire i criteri di selezione, le procedure per l’attuazione della stessa, con i protocolli allegati si era altresì impegnato “entro 30 giorni dalla firma del contratto integrativo” a definire le procedure di svolgimento del corso concorso previsto dall’art. 15 lettera A del ccnl 1998/2001;
In realtà il Ministero della Giustizia dava, successivamente, avvio unicamente alla procedura di selezione interna per l’attribuzione di 477 posti di direttore di cancelleria area C posizione economica C3 (avviso del 5.2.2001), disattendendo cosi l’impegno di cui sopra, con pregiudizio di essi ricorrenti, a prescindere dalla posizione da ciascuno ricoperta, che attendevano ormai da tempo la progressione economica di carriera;
L’Amministrazione convenuta si sarebbe resa responsabile di inadempienza contrattuale, in quanto le disposizioni del ccnl 1998/2001 e del contratto integrativo nazionale del 5.4.2000 avevano imposto tale adempimento, senza lasciare quindi alla Amministrazione alcun profilo di discrezionalità in merito all’an, al quando ed al quomodo dell’espletamento delle procedure;
Da tale inadempimento deriverebbe ai ricorrenti il danno per “perdita di chance, non essendo il conseguimento della posizione superiore né automatico né certo per tutti i partecipanti;
Tale danno va ragguagliato alla probabilità di conseguire il risultato utile e, poiché, in base all’analisi delle procedure e del numero dei partecipanti o aventi diritto, essi stimavano nel 30% circa la percentuale di coloro che avrebbero conseguito un esito positivo al termine del corco-concorso, tale danno veniva concretizzato nel 30% della differenza tra le retribuzioni spettanti in base alla qualifica di fatto posseduta e le retribuzioni che sarebbero spettate in base alla qualifica superiore (questo in estrema sintesi).
Si costituiva il Ministero della Giustizia che, chiedendo la reiezione del ricorso, osservava quanto segue:
non corrisponde al vero che l’Amministrazione abbia dato corso alla sola procedura per 477 posti di direttore di cancelleria area C, posizione economica C3; essa ha dato corso ad altre procedure di riqualificazione indicandole analiticamente (sia per l’area C che per l’area B) ma non era riuscita a portarle a conclusione in quanto l’Autorità Giudiziaria, adita in sede cautelare da altri dipendenti pretermessi, aveva disposto, con plurime decisioni, a volte la sospensione dei percorsi formativi, a volte l’ammissione dei ricorrenti con riserva, incidendo così sui criteri prefissati dalle parti sociali;
in particolare il Tribunale di Lamezia Terme (con sentenza 10.10.2002), aveva ritenuto illegittimi e dichiarato nulli sia l’avviso di selezione del Ministero per il passaggio alla posizione C3, sia i criteri generali per le selezioni contenuti nel ccnl 5.4.2000 nonché le disposizioni in tema di passaggi interni dettate dall’art. 15 ccnl;
a tale decisione ne seguivano molte altre, di altri Tribunali, fino a quella –in allora ultima- del Tribunale di Enna del 30.8.2006;
in base agli accordi tra le parti sociali, si sarebbe dovuto procedere dapprima alla copertura dei posti delle posizioni apicali e poi, via via scendendo, delle posizioni intermedie e di quelle inferiori, cosicché non era possibile procedere oltre se venivano bloccate le procedure per la copertura dei posti dell’area C;
preso atto della impossibilità di portare a compimento le procedure in ragione delle pronunce giurisdizionali, ed in applicazione del disposto del comma 4 dell’art. 8 del ccnl 12.6.2003 nel frattempo stipulato (“le parti si danno reciproco atto della operatività dei contratti integrativi già stipulati, aventi tra l’altro, per oggetto il sistema classificatorio e, conseguentemente, si impegnano ad assumere, ciascuna secondo la propria autonomia, ogni utile iniziativa finalizzata alla rapida applicazione degli stessi”) l’Amministrazione convocava le sigle sindacali sottoscrittrici del ccnl 12.6.2003 aprendo una nuova fase di contrattazione integrativa, culminata con la sottoscrizione degli accordi del 14 e del 29 ottobre 2003;
in tale sede venivano stabiliti e definiti una serie di criteri e di specifiche disposizioni regolamentari al fine di promuovere e concludere le procedure;
conseguentemente, l’Amministrazione invitava i dipendenti ad effettuare l’opzione (nel caso avessero fatto domanda per più procedure), provvedeva a convocare i dipendenti ammessi al percorso per la figura professionale di direttore di cancelleria C3 e dei dipendenti ammessi al percorso per la figura dell’ufficiale giudiziario C2, onde poter poi procedere con i percorsi relativi alle ulteriori aree e posizioni;
Successivamente il TAR del Lazio, adito da numerosi dipendenti non rientranti tra quelli ammessi, con ordinanza 16.3.2004 sospendeva la prima prova selettiva di cui sopra, ordinanza confermata dalla successiva sentenza 14 luglio 2004 che dichiarava nulli i bandi di selezione e gli atti conseguenti; nelle more, altre pronunce del Giudice Amministrativo sospendevano le altre procedure di riqualificazione nel frattempo avviate tra cui quella per cancelliere C2 ed ufficiale giudiziario C2;
Successivamente il Consiglio di Stato accoglieva l’appello del Ministero e riformava la decisione del TAR (sentenza depositata in data 20.11.2006) dichiarando il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo;
Si arrivava cosi al protocollo d’intesa sottoscritto dalle parti il 9 novembre 2006 al fine di attivare procedure semplificate ed accelerate coinvolgenti tutto il personale con l’utilizzo congiunto degli strumenti legislativi –per il passaggio tra le aree- e contrattuali; successivamente intervenivano la presentazione del disegno di legge 2873 (Camera dei deputati) sull’ufficio del processo;
Vi sarebbe, comunque, in alcuni casi, l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire per alcuni dipendenti che non hanno mai presentato alcuna domanda di riqualificazione (nominativamente indicati) e sarebbe maturata la prescrizione parziale del credito vantato dai ricorrenti;
Il non essere le procedure giunte a compimento definitivo non sarebbe, per tutto quanto evidenziato, ascrivibile a comportamento colposo della amministrazione e, infine, in concreto, sarebbero errati i criteri individuati dai ricorrenti sia per l’indicazione del tipo di danno sia per la sua quantificazione.
Il Tribunale di Torino, senza esperire istruttoria, alla luce delle produzioni documentali, pronunciava in data 25-3/8-4-2009 sentenza con la quale, accogliendo il ricorso, condannava il Ministero convenuto a corrispondere a ciascun ricorrente il 30% delle differenze stipendiali intercorrenti tra la posizione economica posseduta e quella immediatamente superiore “a decorrere dal 7.12.2002”, oltre accessori e spese di lite.
Argomentava sostanzialmente il Tribunale che:
sussiste il diritto (inteso ovviamente come diritto soggettivo) dei ricorrenti, non essendo detto diritto mai stato contestato dal Ministero convenuto ed emergendo, comunque, esso in modo inequivoco dal tenore dell’art. 15 del ccnl 16.2.1999; non solo, ma nel protocollo d’intesa n. 2 allegato al contratto integrativo 5.4.2000 l’amministrazione si impegnava a definire le procedure entro il termine di 30 giorni;
l’Amministrazione aveva quindi l’obbligo contrattuale di provvedere alla riqualificazione dei propri dipendenti;
si tratta di responsabilità di tipo colposo che non può essere esclusa da provvedimenti giurisdizionali incidenti sulla possibilità di portare a termine le procedure, anzi, proprio le numerose pronunce dell’Autorità Giudiziaria succedutesi nel tempo dimostrano ulteriormente l’inadempimento del datore di lavoro che ha adottato criteri selettivi evidentemente illegittimi con conseguente illegittimità delle prove selettive, come dichiarata dalle numerose sentenze citate e prodotte, e questo integra appunto l’inadempimento;
se è vero che il principio di buon andamento della pubblica amministrazione imponeva al Ministero di ottemperare alle decisioni dell’Autorità Giudiziaria, nulla avrebbe però impedito alla stessa Amministrazione di attivarsi per adottare “altri e diversi criteri che potessero superare il vaglio dell’autorità giudiziaria e di iniziare altre procedure selettive non affette dai vizi evidenziati nelle pronunce medesime”;
Il Ministero non ha dato prova né di aver convocato incessantemente le organizzazioni sindacali al fine di pattuire altri criteri ed avviare nuove procedure selettive e, quindi, non può andare esente dai danni causati dal suo comportamento colpevolmente inerte;
Infondata è poi la censura della parte convenuta secondo cui non vi sarebbe prova del nesso causale tra inadempimento e danno, non essendo i dipendenti che hanno presentato domanda in numero pari ai posti disponibili e mancando la prova per ciascuno di poter conseguire una posizione utile in graduatoria: il presupposto del risarcimento del danno si identifica nella illegittima esclusione dalla partecipazione alla procedura finalizzata all’acquisizione della posizione superiore;
In concreto è corretta la quantificazione proposta nella misura del 30% alla luce dei criteri esposti dai ricorrenti.
Avverso tale sentenza proponeva appello il Ministero della Giustizia con ricorso depositato in data 22.5.2009 con il quale chiedeva la reiezione delle domande proposte in primo grado dai ricorrenti sulla base delle seguenti –sinteticamente riportate- considerazioni:
anzitutto vi è difetto di giurisdizione relativamente alle posizioni di alcuni dipendenti che hanno chiesto di partecipare alle procedure per il passaggio all’area superiore (rispettivamente alcuni dall’area A all’area B ed altri dall’area B all’area C, tutti nominativamente indicati);
vi è carenza di interesse ad agire relativamente ad altri ricorrenti che non hanno mai presentato domanda di riqualificazione (----);
il diritto vantato dai ricorrenti non può trovare fondamento nell’art. 15 del ccnl, anzi, le parti sociali hanno espressamente pattuito che i passaggi di area o di posizione economica avvengano “nei limiti della dotazione organica e dei contingenti in essa previsti, nel rispetto della programmazione triennale del fabbisogno del personale per le assunzioni dall’esterno in base alle vigenti disposizioni e con le medesime regole di cui agli artt. 6 del dlgs 29/93”;
al più si tratta di una posizione di interesse legittimo;
il Tribunale avrebbe dovuto esaminare per ciascun ricorrente se questi fosse titolare di una mera aspettativa o di una situazione destinata da un esito favorevole, ciò sulla base di un giudizio prognostico volto a valutare la fondatezza o meno della richiesta; i ricorrenti non hanno provato che, a seguito del regolare svolgimento delle prove selettive, essi avrebbero conseguito la “promozione”;
manca la prova della violazione, da parte della Amministrazione, dei principi di correttezza e buona fede e, in ultimo, manca la prova del comportamento illegittimo della P.A., come riconosciuto da numerose altre sentenze di Tribunali che si sono già pronunciate su questione identica e che vengono prodotte in giudizio;
le norme invocate dai ricorrenti tutelano interessi pubblici, cioè la progressione in carriera, per la quale i concorsi devono essere banditi nell’interesse precipuo (anche se non esclusivo) dell’Amministrazione (art. 97 Costituzione) allo scopo di selezionare i candidati più preparati, dunque anche col rischio di non selezionarne nessuno se tutti in difetto dei requisiti;
in ogni caso, per effetto delle numerose pronunce giurisdizionali indicate e prodotte, l’Amministrazione non potrebbe essere ritenuta colpevole del ritardo almeno fino al 2006;
Si costituivano gli appellati osservando sostanzialmente che:
L’eccezione di difetto di giurisdizione è tardiva in quanto sollevata solo in grado di appello;
Nel caso di specie si tratta di diritti soggettivi, non si è in presenza di assunzione iniziale alle dipendenze della P.A., dunque sussiste comunque la giurisdizione del G.O.
Non sussiste alcuna carenza di interesse in chi non ha presentato alcuna domanda, già esclusa dalla sentenza, in quanto comunque le prove non sono state nemmeno indette;
Va esclusa l’esistenza di un onere probatorio per ciascun lavoratore: i requisiti di partecipazione alle procedure selettive (non indette) erano l’anzianità di servizio ed il titolo di studio ed inoltre, per la maggior parte dei ricorrenti/appellati, non vi è mai stato disconoscimento dei requisiti per accedere alle procedure;
In concreto il calcolo del quantum è corretto e la percentuale basata su dati oggettivi.
La Corte, dopo aver disposto l’acquisizione di informative sindacali con riferimento al protocollo d’intesa tra il Ministero della Giustizia e le OO.SS. del 9.11.2006 convocando i firmatari di detto accordo, all’udienza del 3 giugno 2010 procedeva all’audizione del solo segretario nazionale della UIL PA –Antonino Nasone- nessun altro essendosi presentato ed avendo addotto, i rappresentanti delle altre sigle firmatarie, ragioni varie attestanti la loro impossibilità a presentarsi e la loro mancanza di conoscenza dei fatti per essere essi intervenuti in epoca successiva (!).
Rinviata l’udienza su richiesta delle parti anche per l’acquisizione di ulteriore documentazione, all’udienza del 30.9.2010 la causa veniva discussa e decisa come da dispositivo in calce.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Per quanto attiene all’eccezione di difetto di giurisdizione, si osserva che, nel caso di specie, si verte esclusivamente in tema di richiesta di risarcimento del danno derivante da “perdita di chance” per comportamento colposo della P.A. che non avrebbe fatto tutto quanto da lei dovuto in forza di disposizione contrattuale al fine di permettere ai ricorrenti di partecipare alle prove selettive di riqualificazione.
Si tratta dunque di fattispecie attinenti all’espletamento del rapporto di lavoro, come tali sottoposte alla giurisdizione del Giudice Ordinario.
In effetti, anche per quanto concerne quei lavoratori che, per effetto dei percorsi di riqualificazione, intendevano partecipare (laddove fossero state realizzate) alle procedure comportanti il loro passaggio da un’area all’area immediatamente superiore, non viene qui in esame il diritto al passaggio all’area superiore (in questo caso radicandosi, secondo gli ultimi orientamenti della giurisprudenza di legittimità, la giurisdizione del Giudice Amministrativo) ma solamente del diritto –se esistente- a veder attuate, da parte datoriale, una serie di procedure selettive alle quali il singolo lavoratore avrebbe potuto accedere.
La “chance” di cui si lamenta, da parte degli appellati, la perdita, non consiste nella possibilità (più o meno concreta, ma necessitante di prova) di ottenere effettivamente la qualifica superiore, ma solamente nella possibilità di “partecipare” alla prova stessa, a prescindere dall’esito: si chiedeva la possibilità di gareggiare, non di vincere!
Per analoghe ragioni si deve ritenere insussistente anche l’eccezione di carenza di interesse in alcuni lavoratori che non avevano presentato domande: poiché non tutte le procedure erano state avviate è evidente che essi non potevano ancora essere decaduti dal presentare le domande del caso.
Venendo al merito, si osserva quanto segue.
Non pare alla Corte che dall’art. 15 del ccnl 1998/2001 possa discendere il diritto vantato –come diritto soggettivo- dai ricorrenti oggi appellati.
Detto articolo disciplina, a livello generale, le modalità dei passaggi interni (da un’area all’altra ed all’interno della stessa area) e demanda alle parti collettive di prevedere i criteri generali di selezione, con l’importante precisazione contenuta nell’ultimo comma: “I passaggi di cui alle lettere A e B avvengono nei limiti della dotazione organica e dei contingenti in essa previsti, nel rispetto della programmazione triennale del fabbisogno del personale per le assunzioni dall’esterno in base alle vigenti disposizioni e con le medesime regole di cui agli art. 6 del d.lgs. 29/1993”.
L’art. 16 del medesimo ccnl, in effetti, stabilisce “norme di prima applicazione” ed evidenzia la necessità, per le parti stipulanti, di acquisire ulteriori elementi istruttori (comma 8) per individuare i requisiti di accesso alle aree, dovendosi poi procedere ad una nuova “riorganizzazione del lavoro” che valorizzi la professionalità e l’esperienza acquisita dai dipendenti collocati nella posizione iniziale dell’area C (comma 7).
Il successivo art. 20 demanda alla contrattazione collettiva integrativa la determinazione dei criteri generali per la definizione delle procedure per le selezioni di cui all’art. 15 lett. B.
Gli artt. 16, 17, 18 del contratto integrativo 5.4.2000 definiscono i criteri generali per il passaggio dei dipendenti da una posizione economica all’altra all’interno dell’area; il protocollo d’intesa n. 5 allegato al contratto integrativo prevede che “le parti si impegnano a definire entro trenta giorni dalla firma del contratto integrativo le procedure di svolgimento del corso concorso previsto dall’art. 15 lett.A del CCNL con riferimento al personale inquadrato nella posizione economica dell’area inferiore ricompresa nella stessa figura professionale della posizione iniziale dell’area immediatamente superiore”; formulazione che implica evidentemente ed esclusivamente un obbligo reciproco delle parti stipulanti.
E’ pur vero che, secondo il protocollo d’intesa n. 2 “le parti, premesso ……….omissis…….concordano che l’Amministrazione procederà…” a coprire i posti vacanti (delle posizioni C 3), a promuovere l’adozione di DPCM per l’aumento dei contingenti nei vari settori, a promuovere l’adozione, da parte delle altre autorità governative, dei provvedimenti necessari per il passaggio tra aree; tuttavia se, come pare, l’impegno “a coprire i posti vacanti” non comporta alcun diritto a favore dei lavoratori –ma solo eventualmente l’interesse a che le procedure vengano avviate e, di contro, l’interesse della Pubblica Amministrazione a che tutti i posti vacanti vengano effettivamente coperti- non si comprende come tale diritto possa derivare dalle altre previsioni normative tutte di carattere, evidentemente, programmatico.
Va in effetti osservato che nello stesso allegato 2 l’impegno della amministrazione riguarda la copertura di tutti i posti vacanti delle posizioni C (a “scalare”, per cui, mantenuto l’impegno alla copertura dei posti C3 si liberano ovviamente i posti immediatamente inferiori e cosi si potrà successivamente procedere alla copertura delle posizioni C2 e C1 e cosi via), ma riguarda anche, sullo stesso piano contrattuale, il promuovere “l’adozione del DPCM di cui all’art. 6 comma 2 d.lgs. 29/93” (che ovviamente non dipendeva solo dalla Amministrazione contraente) ed a promuovere l’adozione “da parte di altre autorità governative” di tutti i provvedimenti necessari per i passaggi tra aree nell’ambito del programma di riqualificazione.
La natura programmatica di tali impegni appare evidente, come evidente è la loro posizione nell’ottica dell’interesse della Pubblica Amministrazione, non già ai fini della costituzione di diritti soggettivi dei singoli lavoratori ad accedere alle aree ovvero alle posizioni immediatamente superiori a quelle possedute.
Dalla disposizione dell’art. 15 del ccnl, anche se coordinata con il successivo accordo integrativo ed annessi protocolli d’intesa, parrebbe dunque discendere in “modo inequivoco” non già –come prospettato dai ricorrenti e condiviso dal Tribunale- il “diritto” fondante la pretesa risarcitoria oggetto di causa, bensi il mero interesse a che le procedure vengano espletate e, di contro, l’interesse, per il buon andamento della pubblica amministrazione, a che i posti vacanti siano coperti; non solo, ma, eventualmente, il diritto delle parti sociali a veder rispettati –dalle rispettive controparti cofirmatarie- gli impegni contrattuali.
Si è infatti osservato, da alcuni, che le norme sulla progressione in carriera, in quanto poste nell’interesse pubblico, disciplinano interessi legittimi e che quindi non sarebbe ravvisabile una condotta colposa originante diritto a risarcimento di un danno individuale per la mancata attuazione di una condotta della P.A. che ha come fine il pubblico servizio e non l’incremento meramente patrimoniale di singoli dipendenti.
Tuttavia, e per completezza di disamina della fattispecie, è opportuno procedere a considerazioni ulteriori.
Anche ipotizzando possa prospettarsi la sussistenza di un diritto soggettivo nei lavoratori ricorrenti, occorre valutare se vi è stato un comportamento colpevolmente omissivo o inerte della Amministrazione che abbia cagionato ai medesimi un danno da perdita di chance.
Successivamente all’aprile 2000 (momento a quo per individuare eventualmente, in base a quanto sopra, il sorgere dell’obbligo della Amministrazione) sono accadute diverse cose.
Come documentato dal Ministero appellante, sono state attivate le procedure di selezione professionale interne alle aree C, B ed A e le procedure di corso-concorso per il passaggio dall’area funzionale B alla posizione economica C1 e dall’area A alla posizione economica B1.
Gli avvisi relativi a dette procedure sono stati pubblicati sui bollettini ufficiali del Ministero della Giustizia n. 3 del 15 febbraio 2001, n. 6 del 31 marzo 2001 e n. 10 del 31 maggio 2001.
In alcuni casi venivano pubblicate le graduatorie e convocati i partecipanti per avviare i primi moduli di lezione.
Venivano peraltro proposti numerosi ricorsi in sede cautelare, da parte di altri dipendenti esclusi dalle procedure e l’autorità giudiziaria ha disposto, con plurime decisioni, in alcuni casi la sospensione dei percorsi formativi, in altri l’ammissione dei ricorrenti con riserva.
Quanto sopra è pacificamente riconosciuto e mai contestato dalle parti in causa, nonché dalla sentenza impugnata.
In data 10.10.2002, poi, il Tribunale di Lamezia Terme riteneva illegittimi –e conseguentemente dichiarava nulli- sia l’avviso di selezione del Ministero per il passaggio alla figura professionale di direttore di cancelleria, posizione economica C3, sia i criteri generali per le selezioni contenuti nell’accordo del 5.4.2000 citato in precedenza, nonché le disposizioni in tema di passaggi interni dettate dall’art. 15 del ccnl 16.2.1999.
In altre sentenze, prodotte ed agli atti, si è osservato al riguardo che “seppure possa essere ritenuto anomalo un provvedimento che abbia inciso sulla sfera giuridica di soggetti estranei a quello specifico processo senza che sia stato integrato il contraddittorio con gli stessi, non può essere posto in dubbio che la pronuncia con la quale sono stati annullati i criteri generali validi per tutte le procedure selettive possa avere avuto riflessi negativi su tutte le procedure concorsuali” (ved. sent. Trib. Roma n. 16918 del 28.10.2008, prodotta).
Il 12.6.2003 veniva sottoscritto il ccnl del comparto Ministeri per il quadriennio normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003, nel quale si confermava il sistema di classificazione introdotto dal precedente contratto del 1999, si ribadiva la necessità di valorizzare alcuni principi in esso già affermati quali la garanzie di un adeguato ed equilibrato accesso dall’esterno nonché la valutazione ponderata dei titoli e l’esplicito riconoscimento, nelle progressioni verticali, della prevalenza del personale proveniente dalle posizioni economiche immediatamente inferiori; le parti infine si impegnavano ad assumere, ciascuna per la propria autonomia, “ogni utile iniziativa finalizzata alla rapida applicazione degli stessi”.
Alla luce dell’esigenza di dar seguito alle procedure di riqualificazione in ragione delle pronunce giurisdizionali che avevano portato il blocco di alcune di dette procedure (a quella del Tribunale di Lamezia Terme ne erano seguite altre di identico tenore) l’Amministrazione convocava le sigle sindacali sottoscrittrici del ccnl del 12.6.2003 aprendo cosi una nuova fase di contrattazione integrativa, culminata con la sottoscrizione degli accordi del 14 e del 29 ottobre 2003 (con i quali si garantiva un adeguato accesso dall’esterno e si riconosceva in ogni caso la prevalenza della posizione economica di provenienza, nonché si specificava e si concretizzava la prova finale sulle materie oggetto dei corsi, si aumentava del 100% il numero dei psoti disponibili ecc…).
L’Amministrazione, successivamente, diramava i criteri applicativi degli accordi sottoscritti ed invitava (con nota del 28.11.2003) i dipendenti ad esercitare l’opzione qualora avessero presentato più domande.
In effetti, sul bollettino ufficiale del Ministero del 31 marzo 2004 veniva pubblicata una nuova graduatoria per l’ammissione alla posizione economica C2 -figura ufficiale giudiziario- per il distretto di Roma.
Tuttavia, numerosi dipendenti adivano il Giudice Amministrativo ed il TAR del Lazio, con ordinanza del 16.3 2004, sospendeva la procedura selettiva per l’accesso a 477 posti di direttore di cancelleria, ordinanza confermata con la sentenza del 14 luglio 2004 che dichiarava nulli i bandi di selezione e gli atti conseguenti.
Nelle more, analoghe pronunce del Giudice Amministrativo sospendevano le procedure di riqualificazione per altre figure professionali, tra cui quella per cancelliere C2, per ufficiale giudiziario C2 (TAR Lazio ordinanza 2.2.2005).
Il Consiglio di Stato adito in impugnazione dalla Amministrazione, riformava la decisione del TAR relativa al percorso per direttore di cancelleria, accogliendo l’appello del Ministero e dichiarando il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo: la sentenza veniva depositata il 20 novembre 2006.
Il 9 novembre 2006 veniva sottoscritto un nuovo protocollo d’intesa tra le parti, al fine di procedere nella riqualificazione del personale.
Gli accordi ed i documenti citati sono tutti prodotti e sono agli atti della causa e l’excursus temporale su riportato è stato condiviso dalla stessa sentenza del Tribunale oggi impugnata.
Da quanto sommariamente esposto non pare si possa ritenere che l’Amministrazione appellante se ne sia stata “con le mani in mano” per anni, senza attuare le procedure di riqualificazione del personale e non si può configurare, nel tempo trascorso senza la conclusione delle procedure già previste nel ccnl del 1999, una condotta inerte o negligente della Amministrazione.
Le numerose interruzioni –con conseguenti necessarie consultazioni tra le parti al fine di rideterminare i criteri di ammissione alle procedure- sono state originate anche ed in gran parte, come evidenziato dall’appellante, dai provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria, provvedimenti ai quali il Ministero non poteva, ovviamente, non ottemperare, come riconosciuto anche dal primo giudice.
Non si può però, conformemente a quanto osservato dalla parte appellante, condividere lo sviluppo successivo delle argomentazioni del Tribunale laddove esso afferma che il Ministero doveva attivarsi per definire nuovi criteri –par di capire- non viziati in alcun modo affinché essi non potessero essere nuovamente censurati dall’Autorità Giudiziaria.
Non si può, in buona sostanza (come con estrema chiarezza evidenziato nella già citata sentenza del Tribunale di Roma n. 16918 prodotta da parte appellante) individuare una eventuale responsabilità del Ministero per non aver predisposto criteri atti a resistere a qualunque tipo di impugnazione giurisdizionale e ciò anche per la evidente considerazione per cui le procedure selettive sono il frutto di previsioni contrattuali, come tali non imputabili unicamente alla parte datoriale e non potendosi ritenere –in assenza della benché minima prova al riguardo, anzi, addirittura in assenza di deduzione alcuna- che la condotta dell’Amministrazione si sia concretizzata nell’esprimere volutamente criteri illegittimi al fine di provocare (con pervicacia e volontà diabolica!) l’intervento dell’Autorità Giudiziaria ed il conseguente blocco delle procedure.
Alla luce di tutte le considerazioni esposte la Corte ritiene che, quantomeno fino a tutto il 2006, non si possa ipotizzare un colpevole ritardo della Amministrazione, come tale legittimante, in astratto, una richiesta di risarcimento di danno.
Ma la Corte –pur non essendo stato tale periodo successivo oggetto di chiare prospettazioni da parte dei ricorrenti e pur non essendo state formulate, ad opera dei medesimi, conclusioni ulteriori relativamente alla data del deposito del ricorso, né essendo stato preso in esame in alcun modo da nessuna delle parti processuali l’intero periodo successivo al novembre 2006- ha proceduto ad esaminare anche quanto accaduto, appunto, dopo il novembre 2006 ed ha disposto informative sindacali, onde poter apprendere, per bocca di tutte le parti firmatarie del nuovo accordo sottoscritto in quel mese, evidente essendo l’importanza di capirne contenuto e portata alla luce degli impegni finalizzati alla riqualificazione del personale, nonché il rapporto di tale “nuovo” accordo con quanto statuito nel ccnl 1999 e nel successivo accordo integrativo dell’aprile 2000.
Si presentava solamente il segretario nazionale della UIL P.A., --, in quanto le altre “sigle” comunicavano che i loro attuali rappresentanti non erano a conoscenza delle dinamiche sottese a quell’accordo né era possibile individuare persone debitamente informate.
In particolare il Ministero della Giustizia inviava una nota, datata 13.3.2010, con la quale dichiarava che la materia oggetto di causa non rientra nella competenza della Direzione Generale del Dipartimento del’Organizzazione giudiziaria e del personale, e che la stessa Direzione si era limitata alla “presa d’atto” del protocollo d’intesa del 2006.
Le dichiarazioni del segretario della UIL PA appaiono tuttavia sufficientemente chiare e significative.
Antonino Nasone, dopo aver ripercorso l’iter dei ricorsi e delle decisioni giurisdizionali che avevano “bloccato” a lungo le procedure, nonché i numerosi tentativi delle parti di “sbloccare” la situazione, giungeva a parlare dell’accordo del novembre 2006 e lo qualificava come una integrazione di quello del 5.4.2000 e di quello del novembre 2003, e, considerando che si era in attesa del nuovo contratto, precisava che “stavamo in sostanza cercando una sanatoria per tutta la situazione del personale giudiziario che era l’unico a non essere ancora riqualificato e pensavamo di averla raggiunta con questo protocollo d’intesa”.
Dichiarava ancora che le parti erano consapevoli della necessità di procedure più snelle, ma altresì della necessità di un intervento legislativo ed a quello erano rivolte, dal novembre 2006 in poi, la volontà e l’azione delle parti firmatarie (il disegno di legge –riferiva ancora il Nasone- veniva approvato in commissione nel 2008 ma non aveva seguito a causa della caduta del governo).
Dalle dichiarazioni del segretario UIL PA emerge che le parti sociali, nel novembre 2006, preso atto degli sviluppi della situazione nel quinquennio antecedente e della impossibilità di proseguire con le modalità fino ad allora intraprese –causa i continui blocchi delle procedure- individuavano nuovi percorsi di massima, identificando nell’intervento del legislatore l’elemento decisivo per risolvere la situazione.
Si tratta di un cambiamento radicale dell’ottica con la quale si era invece, da parte delle stesse parti, sottoscritto il ccnl 1999 e l’accordo 2000, né in occasione dell’accordo del novembre 2006 viene più riproposta l’esigenza di continuare a procedere nella determinazione di nuovi criteri per l’attivazione delle procedure di riqualificazione bloccate a causa dei menzionati provvedimenti giudiziari.
La Corte ritiene quindi, a prescindere da quanto esposto circa la configurazione della sussistenza o meno di un diritto degli odierni appellati al risarcimento del danno per la mancata attuazione delle procedure di riqualificazione, che non vi sia stato –come si è già rilevato- alcuna colposa inerzia della amministrazione fino al 2006 e che neppure si possa ipotizzare tale inerzia colpevole nell’epoca successiva.
Va in effetti evidenziato che nell’accordo del 9.11.2006, le parti prendono atto della necessità di procedere ad una riorganizzazione del personale dell’amministrazione, che occorre a tal fine tener conto anche dell’organizzazione degli uffici e delle esigenze dei lavoratori della giustizia, che l’attuale blocco delle assunzioni non consente di ricorrere in tempi brevi ad assunzioni dall’esterno, che non sono state realizzate le procedure di riqualificazione dell’amministrazione giudiziaria, che quindi “è necessario attivare procedure di progressione semplificate ed accelerate, che coinvolgano tutto il personale dell’amministrazione giudiziaria finalizzate al progetto di riforma dell’organizzazione del lavoro attraverso l’utilizzo congiunto e contestuale degli strumenti legislativo ….. e contrattuale”.
Conseguentemente alle premesse sopra citate, l’Amministrazione si impegnava a presentare un disegno di legge volto a rideterminare le dotazioni organiche in modo conferente alla progressione professionale del personale della giustizia, a reperire le risorse necessarie alla copertura finanziaria del passaggio del personale tra le aree, alla possibilità di utilizzare i tirocinanti nell’ufficio per il processo, ad apportare modifiche normative per migliorare l’efficienza del servizio ad es. in materia di notifiche, di esecuzione ecc.
Le parti dichiaravano poi di “proseguire il tavolo negoziale” volto a definire i criteri per la progressione del personale, con individuazione di criteri oggettivi (titolo di studio, esperienza professionale), ridefinire le mansioni di ciascuna posizione professionale anche in relazione all’istituendo ufficio per il processo, verificare la possibilità dell’utilizzo dei fondi del F.U.A. e monitorare periodicamente il processo legislativo ed organizzativo attivato.
Come è facile constatare, nulla di collegabile a quanto concordato nel 1999 e nell’aprile 2000, con accordi che, come è di tutta evidenza e nonostante l’interpretazione apparentemente di segno contrario del segretario nazionale UIL PA, hanno segnato un punto fermo e dato avvio ad una fase in tutto nuova, con diversi obiettivi e con diversi impegni delle parti stesse.
L’appello deve dunque essere accolto, con reiezione delle domande formulate con il ricorso introduttivo.
La natura, complessità e peculiarità (oltre che novità) della questione inducono a ritenere equo compensare interamente tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.
P . Q . M .
Visto l’art. 437 c.p.c.,
in accoglimento dell’appello,
respinge le domande proposte con il ricorso introduttivo;
compensa le spese di entrambi i gradi.
Così deciso all’udienza del 30.9.2010
IL PRESIDENTE Estensore
Dott. Giancarlo GIROLAMI

consegnata in Cancelleria per la pubblicazione il 17.11.2010