Sent. 203/2011

 

                           REPUBBLICA ITALIANA                                   

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA

pronuncia la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 26753 del registro di Segreteria, proposto dal sig. S. V., nato a …omissis…., rappresentato e difeso dagli avv.ti Luciano BRAMBILLA e Giancarlo ESPOSTI, contro il Ministero dell’interno, Prefettura di Milano, e l’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (INPDAP), sede territoriale di Milano 1.

Uditi, nella pubblica udienza del 30 marzo 2011, l’avv. Giancarlo ESPOSTI per il ricorrente e la dott.ssa Maria PALERMO per l’INPDAP. Non comparsa la Prefettura di Milano.

MOTIVI DELLA DECISIONE

FATTO

Con ricorso notificato alla Prefettura di Milano e all’INPDAP, sede territoriale di Milano 1, e depositato in Segreteria in data 28 settembre 2010, il sig. S. V., rappresentato e difeso dagli avv.ti Luciano BRAMBILLA e Giancarlo ESPOSTI, giusta mandato conferito a margine dell’atto introduttivo del giudizio, ha chiesto che sia dichiarata irripetibile la somma di € 45.691,18 e che sia interrotta la procedura di recupero forzoso di detta somma sulla pensione di cui è titolare, disposta con nota dell’INPDAP, sede di Milano 1 n. 53146/10/U senza data, provvedimento che è stato formalmente impugnato.

In sintesi, il ricorrente ha esposto quanto segue:

1) di essere un ex appartenente alla Polizia di Stato;

2) di essere stato dispensato dal servizio per totale inidoneità psicofisica con diritto a pensione a decorrere dal 29/8/2001;

3) che dall’8/11/2001 gli è stata corrisposta la pensione provvisoria nell’importo annuo di € 16.861,02;

4) che con un primo decreto del 27/5/2004, la Prefettura di Milano gli ha liquidato la pensione definitiva, effettivamente corrisposta a partire dall’1/1/2005 nell’importo annuo di € 19.568,66;

5) che tale decreto, risultato poi errato, senza peraltro che siano state chiarite le ragioni di tale erroneità, è stato successivamente sostituito da un secondo decreto definitivo del 15/3/2006, registrato dalla Corte dei conti il 31/8/2006, ma a lui mai comunicato né notificato, concretamente applicato solo dal 1/3/2010, in base al quale l’importo della pensione spettante è stato determinato in € 15.038,04;

6) che per effetto di tale ultimo decreto, è risultato che egli avrebbe percepito indebitamente la somma di cui è stato disposto il recupero con il provvedimento impugnato.

Ad avviso del ricorrente, il disposto recupero, già avviato dall’INPDAP mediante ritenuta mensile di € 300,60 effettuata sulla pensione a decorrere dal mese di marzo 2010, sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 206 del d.P.R. n. 1092 del 1973, trattandosi di indebito scaturito dalla modifica in pejus dell’originario trattamento definitivo di pensione liquidato con il primo provvedimento del 2004, e comunque alla luce del principio enunciato dalle SSRR della Corte dei conti con la sentenza n. 7/2007, secondo cui, anche qualora l’indebito si sia formato su un trattamento di quiescenza provvisorio, lo stesso non sarebbe ripetibile una volta che sia decorso il termine per l’adozione del provvedimento definitivo di pensione.

La difesa del ricorrente ha quindi formulato le seguenti conclusioni:

in via principale, accertare l’illegittimità del provvedimento dell’INPDAP prot. n. 53146/10/U, avente per oggetto il recupero del credito previdenziale di € 45.691,18 a carico del sov.te Salvatore VIVENZIO e, di conseguenza, dichiarare l’irripetibilità del medesimo credito previdenziale, disponendo quindi il rimborso in favore del ricorrente delle trattenute mensili operate sin dal mese di marzo 2010 sulla pensione in suo godimento, maggiorate sia degli interessi legali dalla data di ogni trattenuta mensile, così come della rivalutazione monetaria;

in via subordinata, condannare i resistenti al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di € 45.691,18 a titolo di risarcimento del “danno da ritardo” nell’adozione e nella erogazione del provvedimento di riliquidazione della pensione definitiva, per avere ingiustamente leso i principi della certezza del diritto e dell’affidamento su cui confidava il pensionato e, di conseguenza, dichiarare la compensazione integrale del credito di pari importo vantato dalla PA nei riguardi del ricorrente;

con condanna dei resistenti alla rifusione delle spese di lite.

Il Ministero dell’interno, Prefettura di Milano, si è costituito in giudizio con memoria depositata il 3 marzo 2011, sostenendo la tesi che nella fattispecie non potrebbe trovare applicazione l’art. 206 del d.P.R. n. 1092/1973, in quanto il primo provvedimento di liquidazione della pensione definitiva, nel momento in cui è stato ritirato dall’amministrazione, non era ancora stato registrato dalla Corte dei conti, talché lo stesso, secondo la giurisprudenza richiamata, non potrebbe considerarsi compiutamente definitivo nel senso richiesto per l’applicazione della citata norma.

L’INPDAP, sede provinciale di Milano 1, si è costituito in giudizio con memoria difensiva pervenuta in Segreteria il 21/3/2011, con la quale ha chiesto, in via principale, la reiezione del ricorso e, in via subordinata, che sia dichiarata la responsabilità dell’Amministrazione di appartenenza del ricorrente per il ritardo nell’adozione del provvedimento definitivo di pensione.

Nell’udienza del 30 marzo 2011, fissata per la discussione del giudizio, le parti presenti hanno confermato le rispettive conclusioni.

DIRITTO

Nel caso in esame, il ricorrente non contesta di aver percepito somme a titolo di pensione risultate non dovute, ma chiede che sia dichiarato il suo diritto di non restituire l’indebito.

La domanda è fondata.

E’ pacifico in fatto che l’indebito di cui si discute trae origine dalla differenza tra l’importo della pensione definitiva liquidata al ricorrente con un primo provvedimento (decreto n. 8155 del 27/5/2004), mai registrato dalla Corte dei conti, e quello risultante dal successivo provvedimento n. 65/06 del 15/3/2006, registrato alla Corte dei conti il 31/8/2006, che ha annullato e sostituito il primo.

La fattispecie rientra quindi nell’ambito di applicazione dell’art. 206 del d.P.R. n. 1092 del 1973, il quale prevede che, nell’ipotesi in cui un provvedimento attributivo della pensione definitiva sia stato modificato o revocato dall’amministrazione che lo ha emesso, le somme per l’effetto indebitamente percepite dal pensionato non siano ripetibili, fatto salvo unicamente il caso del dolo dell’interessato.

Va a questo proposito osservato che, per effetto dell’art. 166 della legge n. 312 del 1980, i provvedimenti di liquidazione della pensione definitiva sono immediatamente efficaci, non essendo più soggetti a controllo preventivo della Corte dei conti, che effettua su di essi un riscontro in via successiva.

Tanto ha indotto la prevalente giurisprudenza di questa Corte (v. Sezione giurisdizionale Basilicata, n. 22 del 7/2/2000; Sezione giurisdizionale 2^ centrale di appello, n. 10 del 22/1/1997; Sezione giurisdizionale Liguria, n. 63 del 24/1/1996 e n. 17 del 8/1/1996; Sezione giurisdizionale 3^ pensioni civili, n. 69814 del 6/10/1993; e n. 62862 del 19/5/1989) a ritenere che, a prescindere dall’esito del controllo successivo o anche qualora il provvedimento originario sia ritirato dall’amministrazione prima del perfezionamento di detto controllo, le somme erogate al pensionato in esecuzione del provvedimento immediatamente efficace non siano ripetibili, in applicazione del cit. art. 206, proprio in relazione alla natura comunque definitiva della liquidazione del trattamento di quiescenza recata dal decreto poi revocato o modificato.

L’orientamento giurisprudenziale difforme citato dall’amministrazione dell’interno non appare convincente, atteso che occorre tenere distinti il profilo della revocabilità/modificabilità del provvedimento da parte dell’amministrazione che lo ha emesso, consentita sino a quando il provvedimento non è stato riscontrato dall’organo di controllo, ma anche successivamente, nei casi e nei termini previsti dagli artt. 204 e 205 del d.P.R. n. 1092/1973, da quello della definitività della pensione attribuita - che si contrappone alla provvisorietà di quella conferita al momento della cessazione dal servizio - la quale comporta una maggiore tutela dell’affidamento del pensionato in ordine alla stabilità del trattamento di quiescenza liquidatogli.

Poiché non risulta, né è stato allegato e tanto meno provato dall’amministrazione, che l’indebito in questione sia stato dovuto a dolo del pensionato, va dichiarata la non ripetibilità di quanto indebitamente percepito da quest’ultimo, al quale vanno conseguentemente restituite le somme trattenute dall’INPDAP in esecuzione del provvedimento impugnato.

Va altresì accolta la domanda del ricorrente volta ad ottenere il pagamento degli interessi legali su dette somme.

Secondo l’orientamento prevalente di questa Corte (ex multis, v. Sezione 2^ giurisdizionale centrale d’appello, n. 113 del 13 marzo 2001), la somma indebitamente corrisposta e poi ripetuta, sia pure illegittimamente, dall’Amministrazione “non corrisponde certamente ad una prestazione di lavoro, nemmeno pregressa (si allude alla configurazione della pensione come retribuzione differita), e non può in alcun modo essere considerata un emolumento pensionistico o previdenziale: in sé e per sé, essa è soltanto una somma di denaro corrisposta per errore, senza alcun titolo da parte del percipiente; lungi dal rappresentare un valore, non è che valuta, soggetta al principio nominalistico di cui all’art. 1277 c.c.. Non avendo natura di emolumento pensionistico o previdenziale, è da escludere che siano ad essa applicabili le disposizioni dell’art. 429 c.p.c. o quelle della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (art. 16, comma 4, che si riferisce a “prestazioni dovute”) e delle successive norme di attuazione. Più in generale, non inerendo a un debito (art. 1282 c.c.), non produce interessi corrispettivi o compensativi; non conseguendo a inadempimento o a ritardato adempimento di un’obbligazione, non genera danni-interessi o interessi moratori, né - tanto meno - è suscettibile di rivalutazione, non trovando applicazione l’art. 1284 c.c.. Il fatto è che col recupero effettuato dall’amministrazione, anche se contra legem, il pensionato non è stato spogliato del “suo”, e quindi non ha subito, oggettivamente, un danno ingiusto da risarcire”.

Tuttavia la Sezione ritiene di dover riconoscere il diritto del ricorrente agli interessi legali, per le ragioni che seguono.

Va condiviso quanto affermato dal giudice d’appello nella sentenza testé richiamata, nel punto in cui si sostiene che le somme indebitamente percepite e poi recuperate dall’amministrazione non sono assimilabili ad emolumenti retributivi o pensionistico-previdenziali. Talché, il credito del pensionato alla restituzione di quanto recuperato dall’amministrazione non beneficia dell’applicazione dell’art. 429 c.p.c., nei suoi profili sostanziali e processuali.

Non altrettanto condivisibili appaiono invece le restanti affermazioni del giudice di secondo grado.

Se è vero che quanto percepito indebitamente dal pensionato è, per definizione, non dovuto, è però altrettanto vero che, per effetto dell’art. 206 del d.P.R. n. 1092/1973, l’amministrazione  non ha alcun diritto di recupero dell’indebito (salvo il caso del dolo del pensionato). Per cui, ove vi provveda, lo fa, come nel caso esaminato nella sentenza sopra richiamata e come nella stessa riconosciuto, contra legem.

Conseguentemente, il pagamento effettuato dal pensionato mediante le trattenute operate sul trattamento di quiescenza si configura, a sua volta, come un vero e proprio indebito oggettivo. Talché deve ritenersi che sull’accipiens, cioè sull’amministrazione, gravi anche l’obbligazione di corrispondere gli interessi legali sulle somme da restituire al pensionato, secondo la disciplina dell’art. 2033 c.c.

Nel caso in esame, facendo applicazione della citata norma per la decorrenza degli interessi, va ritenuto che gli stessi spettino dalla data di ciascuna ritenuta mensile, nella considerazione che l’amministrazione, per le ragioni esposte, avrebbe dovuto essere consapevole della non ripetibilità dell’indebito, e pertanto non può essere considerata in buona fede.

Non può invece essere accolta la domanda del ricorrente di riconoscimento della rivalutazione monetaria sugli arretrati, atteso che non è stata data prova di un maggior danno subito.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PER QUESTI MOTIVI

il ricorso di S. V. è accolto.

Per l’effetto, è dichiarata la non ripetibilità dell’indebito contestato, con conseguente diritto del ricorrente alla restituzione dell’importo recuperato con la maggiorazione degli interessi legali calcolati a decorrere dalla data di ogni singola trattenuta e sino alla restituzione.

Il Ministero dell’interno, Prefettura di Milano, e l’INPDAP, sede territoriale di Milano 1, sono condannati, in solido tra loro, al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio, che si liquidano in euro 1.500,00 (diconsi euro millecinquecento e zero centesimi), oltre IVA, contributi previdenziali e spese generali.

Per il deposito della sentenza è fissato il termine di venti giorni dalla data dell’udienza.

Così deciso in Milano, nell’udienza del 30 marzo 2011.

                                                                              Il Giudice unico

                                                                       (Antonio Marco CANU)

 

Depositata in Segreteria il 4/04/2011

SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LOMBARDIA Sentenza 203 2011 Pensioni 04-04-2011