CONCORSI A PUBBLICI IMPIEGHI
Cons. Stato Sez. V, Sent., 29-12-2009, n. 8997
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con il ricorso in appello in epigrafe indicato il signor ####################
chiedeva l'annullamento o la riforma della sentenza del Tar Campania, Salerno,
Sezione I, n. 1854 del 2004 con la quale era stato accolto il ricorso proposto
dalla signora #################### contro il Comune di ####################
#################### e nei confronti di ####################, per l'annullamento
della determina del direttore generale del Comune di ####################
#################### n. 11 del 25 novembre 2002, con cui venivano approvati gli
atti concorsuali e veniva nominato il sig. #################### nel posto di
istruttore di vigilanza - cat. C nonché del provvedimento della commissione di
concorso, reso nella seduta del 9 novembre 2002, nella parte in cui dichiarava
il signor I. vincitore del concorso e della determina del Direttore Generale
nella parte in cui ammetteva al concorso il signor #################### ed,
eventualmente, dell' art. 4 lett. F) del bando di concorso e dell'art. 35 del
regolamento di polizia municipale, nonché infine per la declaratoria del diritto
della signora #################### ad essere dichiarata
vincitrice del concorso.
Il ricorso di primo grado della signora G. impugnava i predetti provvedimenti,
specificando in punto di fatto che la ricorrente aveva partecipato al concorso
pubblico, per titoli ed esami, bandito dal Comune di ####################
####################, per la copertura di un posto di istruttore di vigilanza
Cat. C.
La ricorrente in primo grado sottolineava di essersi classificata seconda in
graduatoria, con punti 75, subito dopo il controinteressato I., dichiarato
vincitore con punti 77,25.
Deduceva la ricorrente i seguenti motivi: 1) violazione degli artt. 3 e 5 della
legge 7 marzo 1986 n. 65, del D.M. 4 marzo 1987 n. 145, degli artt. 1 e 15 della
legge 8 luglio 1998 n. 230 e del regolamento di polizia municipale e dell'art.
97 Cost. nonché eccesso di potere per difetto dei presupposti, di istruttoria e
contraddittorietà, in quanto il controinteressato avrebbe dovuto essere escluso
dal concorso quale obiettore di coscienza; in via subordinata violazione
dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241, dell'art. 12 del d.p.r. 9 maggio
1994 n. 487 e dell'art. 3 del bando di concorso e dell'art. 97 Cost. ed eccesso
di potere per disparità di trattamento per mancata predeterminazione dei criteri
valutativi della prova orale.
Il Tar CampaniaSalerno, con la sentenza impugnata, ha ritenuto fondato il
ricorso.
La premessa della decisione è costituita dall'art. 15 comma 7 della legge n. 230
del 1998 che dispone " a coloro che sono stati ammessi a prestare servizio
civile è vietato partecipare ai concorsi per l'arruolamento nelle Forze armate,
nell'Arma dei carabinieri, nel Corpo della Guardia di Finanza, nella Polizia di
Stato, nel Corpo di Polizia penitenziaria e nel Corpo Forestale dello Stato, o
per qualsiasi altro impiego che comporti l'uso delle armi."
A sua volta - hanno osservato i giudici di primo grado - il regolamento di
polizia municipale del comune resistente stabilisce che gli addetti al servizio
di polizia municipale sono tenuti a svolgere le funzioni di polizia giudiziaria
e di polizia di sicurezza, tanto che a ciascuno di essi deve essere data in
dotazione un'arma, rivestendo la qualità di agente di pubblica sicurezza.
Il Comune resistente si è difeso sostenendo che, nel lavoro del vigile urbano,
l'uso delle armi è solo eventuale.
Il Tar ha ritenuto l'argomento inconferente, alla luce anche della mera
potenzialità di poter essere adibito, per necessità di servizio, a funzioni di
agente di pubblica sicurezza.
L'appello sostiene che la sentenza di primo grado si baserebbe sul presupposto
erroneo secondo cui, colui che assume la qualifica di vigile urbano deve poter
necessariamente esercitare le funzioni di polizia giudiziaria e di sicurezza.
Il regolamento comunale prescrive, come già la legge n. 65 del 1986, che le
funzioni di polizia di pubblica sicurezza sono conferite agli addetti al
servizio di polizia municipale con apposito provvedimento prefettizio adottato
all'esito di apposito procedimento.
Quindi non tutti coloro che rivestono la qualifica di vigile urbano assumono,
all'esito del procedimento eventualmente attivato dal Sindaco, la qualifica di
agente di pubblica sicurezza che assume una portata soltanto eventuale.
Poi l'interpretazione dell'art.15 comma 7 della legge 8 luglio 1998 n. 230 deve
essere quella per cui l'impiego non accessibile all'obiettore è quello e solo
quello che comporti necessariamente ed obbligatoriamente l'uso delle armi.
E' pacifico invece che il possesso della qualifica di vigile urbano non comporti
il possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza e che, quest'ultima
qualifica, a sua volta, non comporti quale conseguenza automatica, l'obbligo di
portare le armi.
Tanto che l'art. 15 comma 1 del regolamento di Polizia municipale del Comune di
#################### #################### prevede che "agli addetti al corpo di
polizia municipale, con le modalità previste dall'art. 7 comma 5, del presente
regolamento, è data in consegna l'arma, così come previsto dal D.M. interno n.
145 del 4 marzo 1987, emanato ai sensi della legge n. 65 del 1986".
L'art. 5 comma 5 della legge (nulla disponendo l'art. 7 comma 5 del regolamento
che non esiste) prevede che "gli addetti al servizio di polizia municipale, ai
quali è conferita la qualità di agente di pubblica sicurezza, possono, previa
deliberazione in tal senso del Consiglio Comunale, portare, senza licenza, le
armi, di cui possono essere dotati in relazione al tipo di servizio, nei termini
e nelle modalità previsti dai rispettivi regolamenti, anche fuori dal servizio,
purché nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza e nei casi di cui
all'art. 4. Tali modalità e tali casi sono stabiliti, in via generale, con
apposito regolamento, approvato con decreto del Ministro dell'Interno, sentita
l'Associazione nazionale dei comuni d'Italia. Detto regolamento stabilisce anche
la tipologia, il numero delle armi in dotazione e l'accesso ai poligoni di tiro
per l'addestramento al loro uso".
Anche da questa norma si evincerebbe che il possesso dell' arma è solo eventuale
ed all'esito di un ulteriore procedimento; trattandosi di una mera facoltà
rimessa alla valutazione del competente organo deliberativo.
In sostanza l'obiettore di coscienza potrebbe ben fare il vigile urbano senza
attribuzione della qualifica di agente di pubblica sicurezza.
L'art. 15 comma 3 del regolamento comunale citato dal giudice di prime cure
sarebbe applicabile ai soli vigili in possesso della qualifica di agente di
pubblica sicurezza ma non potrebbe essere inteso nel senso che i servizi
indicati dalla medesima norma (vigilanza, polizia stradale, ordine
pubblico,polizia giudiziaria e servizi di vigilanza e protezione della casa
comunale) debbano essere svolti con le armi da tutti i vigili urbani.
Il bando di concorso, poi, non aveva previsto, da parte dei candidati, il
possesso dei requisiti per ottenere la qualifica di agente di pubblica
sicurezza.
Nessuno si è costituito per il Comune mentre resiste l'odierna appellata (già
ricorrente e vincitrice in primo grado).
Motivi della decisione
L'appello è infondato.
La prima eccezione proposta dalla parte appellata attiene alla tardività
dell'appello.
Si rileva che la sentenza sarebbe stata notificata al sig. ####################
presso il procuratore domiciliatario in data 19 ottobre 2004 per cui il termine
per proporre appello sarebbe scaduto il 18 dicembre 2004.
L'appello sarebbe stato notificato dal sig. I. solo in data 28 dicembre 2004.
Si sostiene che il trasferimento dello studio del domiciliatario presso cui
aveva eletto domicilio l'appellata non varrebbe a giustificare l'insanabile
ritardo della notifica dell'appello.
Si lamenta la circostanza relativa alla mancata autorizzazione del Consiglio di
Stato ad effettuare una notifica tardiva al nuovo domicilio.
L'eccezione è infondata.
E' stato affermato in giurisprudenza che, nel caso in cui la parte vittoriosa in
primo grado non abbia provveduto a comunicare il nuovo domicilio, la notifica
presso il precedente domicilio impedisce la decadenza ove l'impugnazione sia
rinotificata nel nuovo domicilio del procuratore costituito, ancorché dopo la
scadenza del termine breve (Cons. Stato, Sez. IV, sent. 2 novembre 2004, n.
7072).
Ebbene, nel caso di specie la parte vittoriosa in primo grado ha provveduto alla
notifica della sentenza senza dichiarare una residenza o un domicilio diversi da
quelli del primo grado.
E, a fronte di ciò, l'appellante, preso atto che la prima notifica presso il
domicilio eletto non era andata a buon fine, ha provveduto ad effettuare una
seconda notifica, sia pure a termine scaduto.
L'appellata si è poi costituita.
E' vero che si è ritenuta non idonea la costituzione dell'appellato a sanare la
deficitaria azione dell'appellante, ma ciò per il caso in cui la parte
appellante abbia tentato la notifica presso il domicilio eletto in primo grado
e, non essendosi la notifica perfezionata per trasferimento del domiciliatario,
in presenza dell' onere dell'appellante di procedere ad una nuova notifica del
medesimo atto presso il nuovo domicilio del procuratore costituito in primo
grado, se del caso giovandosi della remissione in termini conseguente alla
necessità di rinotificare l'atto presso un indirizzo non comunicato, nulla sia
avvenuto.
In assenza di tale attività la notifica si è detto è inesistente e la
costituzione dell'appellato non vale a sanarla (CdS IV 14luglio 2004 n. 5082).
Ma nel caso in cui la notifica sia stata prima tentata senza andare a buon fine
nel termine di legge (nella specie risulta la relata, in data 17 dicembre 2004,
di " omessa notifica perché l'avv. Sofia si è trasferito") e poi sia stata
nuovamente effettuata al nuovo domicilio del procuratore, non reso noto all'atto
della notifica della sentenza, in tal caso, stanti i doveri processuali gravanti
sulle parti in termini di lealtà, ben può essere concesso l'errore scusabile
senza darsi rilievo alla tardività.
Per individuare il luogo dove notificare l'appello si devono infatti prendere in
considerazione le dichiarazioni rese dalla controparte nell'atto di
notificazione della sentenza o quelle del giudizio di primo grado (ai sensi
dell'art. 330 comma 1 c.p.c.), restando a carico della controparte l'onere di
portare a conoscenza dell'altra parte ogni modifica di tale luogo; pertanto, in
mancanza delle comunicazioni sopradette, la notificazione dell'impugnazione nel
domicilio del procuratore scelto per il giudizio di primo grado, anche se non
andata a buon fine a causa del trasferimento del domiciliatario, impedisce la
decadenza dall'impugnazione per decorrenza del termine, sempreché venga
rinnovata nel nuovo luogo del procuratore (Consiglio Stato, sez. IV, 14 maggio
1999, n. 846).
Ciò essendo avvenuto nella specie comporta il rigetto dell'eccezione di
tardività.
Va poi esaminata l'eccezione di sopravvenuta carenza di interesse, per non aver
l'appellante I. impugnato autonomamente la deliberazione di Giunta comunale n.
14 del 19 gennaio 2006 con la quale il Comune di ####################
#################### ha riformulato, in pendenza dell'appello, la graduatoria di
merito dichiarando vincitrice la sig.ra ####################.
Si sostiene che, non avendo il Comune adottato l'atto facendo riserva rispetto
all'esito dell'appello, l'atto in questione non sarebbe travolto
dall'accoglimento dell'appello e, conseguentemente, lo I. non potrebbe
conseguire alcun vantaggio dall'impugnazione proposta.
Si è ritenuto da parte del Consiglio di Stato, circa la diversa ma analoga
questione della possibilità per l'amministrazione di presentare appello
nonostante abbia adempiuto alla sentenza di primo grado che "la spontanea
esecuzione della pronunzia di primo grado, favorevole al dipendente, da parte
della Pubblica amministrazione datrice di lavoro, anche quando la riserva
d'impugnazione non venga dalla medesima a quest'ultimo resa nota, non comporta
acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi del combinato
disposto di cui all'art. 329, c.p.c. ed all'art. 28, l. 6 dicembre 1971 n. 1034,
trattandosi di mero adempimento di un ordine giudiziale e quindi di un
comportamento posto in essere in esecuzione della sentenza di primo grado non
sospesa dal Consiglio di Stato e che conserva la sua naturale esecutività
(Consiglio Stato, sez. IV, 18 dicembre 2008, n. 6368).
Se ciò è stato ritenuto per sancire la possibilità dell'amministrazione di
impugnare sentenze eseguite, a fortiori deve ritenersi che il controinteressato
soccombente in primo grado non sia onerato ad impugnare tali atti di esecuzione.
In sostanza l'esecuzione, anche spontanea, di una sentenza o di un" ordinanza
cautelare non costituisce attività di autotutela e non può comportare il venir
meno della res litigiosa (Cga 5 giugno 2008 n. 508).
Non è necessario che l'amministrazione, quando esegue le sentenze dei giudici
amministrativi, inserisca la clausola di riserva dell'esito dell'appello (che
non avrebbe avuto senso nella specie poiché l'amministrazione è rimasta
volutamente in posizione "agnostica" mentre l'appello era stato già proposto dal
controinteressato).
A configurare l'acquiescenza rebus ipsis ac factis ovvero ad onerare il
controinteressato del dovere di impugnare atti sopravvenuti occorrono dei fatti
che siano indice di un concreto ed autonomo ripensamento della pubblica
amministrazione rispetto alle scelte prima adottate (quale l'adozione di un atto
di autotutela diretto ad eliminare del tutto dal mondo giuridico la sequenza
procedimentale sulla quale si fonda la pretesa azionata ad es. l'annullamento
del concorso od un suo riesame del tutto autonomo rispetto al dictum
giudiziale).
In conclusione anche se l'amministrazione non ha poi impugnato la sentenza,
occorre notare che ciò è avvenuto per autonoma scelta processuale
dell'amministrazione, che non onera il controinteressato in pendenza di giudizio
ad impugnare gli atti esecutivi della sentenza di primo grado, in difetto di un
chiaro atto di autotutela che rimuova le determinazioni prima adottate.
Nel merito l'appello è infondato.
Non si ignora l'esistenza di un precedente della Sezione che depone in senso
favorevole per l'appellante.
Si tratta del decisum che ha ritenuto legittima l'ammissione ad un concorso a
posti di vigile urbano di un obiettore di coscienza non essendo da alcuna
disposizione normativa prescritto l'uso delle armi da parte del
vigile.(Consiglio Stato, sez. V, 21 giugno 2007, n. 3336).
La sentenza citata era stata preceduta da altra decisione, che muovendo dalla
considerazione per cui ai sensi dell'art. 5 l. 7 marzo 1983 n. 65, il vigile
urbano non consegue automaticamente la qualità di agente di pubblica sicurezza
concludeva nel senso che fosse illegittima la mancata nomina del vincitore di un
concorso motivata con riferimento alla dichiarazione dell'interessato di essere
obiettore di coscienza. (Consiglio Stato, sez. V, 27 giugno 1994, n. 718).
Tuttavia il Collegio, anche in considerazione della peculiarità della presente
fattispecie, che riguarda uno specifico regolamento comunale che considera -
come vedremo - normale il possesso di armi da parte dei vigili in servizio per
l'ente locale, ritiene necessario rimeditare tale orientamento.
Occorre quindi ricostruire analiticamente la normativa.
Ai sensi dell'art. 9 L. n. 772/72 "a coloro che siano stati ammessi a prestare
servizio militare non armato o servizio sostitutivo civile è permanentemente
vietato detenere ed usare le armi e munizioni, indicate rispettivamente negli
articoli 28 e 30 del testo unico della legge di pubblica sicurezza".
Secondo, poi, l'art. 15 L. n. 230/98 "a coloro che sono stati ammessi a prestare
servizio civile è vietato detenere ed usare le armi di cui all'articolo 2, comma
1, lettera a), nonché assumere ruoli imprenditoriali o direttivi nella
fabbricazione e commercializzazione, anche a mezzo di rappresentanti, delle
predette armi, delle munizioni e dei materiali esplodenti...A coloro che sono
stati ammessi a prestare servizio civile è vietato partecipare ai concorsi per
l'arruolamento nelle Forze armate, nell'Arma dei Carabinieri, nel Corpo della
Guardia di Finanza, nella Polizia di Stato, nel Corpo di Polizia Penitenziaria e
nel Corpo forestale dello Stato o per qualsiasi altro impiego che comporti l'uso
delle armi".
Dalle disposizioni richiamate risulta che l'obiettore di coscienza non può
detenere ed utilizzare armi né partecipare ai concorsi per impieghi che
comportino l'uso delle stesse.
Il Collegio ritiene che tra le funzioni per le quali è necessariamente previsto
l'uso delle armi vi siano quelle di pubblica sicurezza che possono essere
conferite ai vigili urbani come previsto dall'art. 5 L. n. 65/86 secondo cui "il
personale che svolge servizio di polizia municipale, nell'ambito territoriale
dell'ente di appartenenza e nei limiti delle proprie attribuzioni, esercita
anche...funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza ai sensi dell'art. 3 della
presente legge".
Sul piano logico l'ineludibile nesso tra utilizzazione delle armi e funzioni di
pubblica sicurezza consegue alla connessione di queste ultime con le attività di
vigilanza, prevenzione e repressione di reati ed il possibile uso delle armi,
quale mezzo di coercizione indispensabile per il perseguimento di tali finalità,
che ne deriva (così C.d.S. sez. IV n. 6247/00).
Tale necessaria connessione è, poi, espressamente desumibile dalla stessa
disciplina concernente l'esercizio delle funzioni di agente di pubblica
sicurezza da parte del vigile urbano il quale, in tale qualità, dipende
operativamente dalla competente autorità di pubblica sicurezza nel rispetto di
eventuali intese fra detta autorità e il Sindaco come previsto dall'art. 5 comma
4° L. n. 65/86.
In particolare, secondo l'art. 2 comma 1° del D.M. 4 marzo 1987 n. 145, recante
norme concernenti l'armamento degli appartenenti alla polizia municipale ai
quali è conferita la qualità di agente di pubblica sicurezza, "con regolamento
dell'Ente di appartenenza, osservate le disposizioni della L. 7 marzo 1986 n.
65, quelle vigenti in materia di acquisto, detenzione, trasporto, porto,
custodia e impiego delle armi e delle munizioni, nonché quelle del presente
regolamento, sono determinati i servizi di polizia municipale per i quali gli
addetti in possesso delle qualità di agente di pubblica sicurezza portano, senza
licenza, le armi di cui sono dotati, nonché i termini e le modalità del servizio
prestato con armi".
Ai sensi del comma 3° del citato articolo, poi, "per motivi particolari di
sicurezza e tenuto conto degli indici locali di criminalità, il prefetto può
chiedere al Sindaco che tutti gli addetti alla polizia municipale in possesso
della qualità di agente di pubblica sicurezza prestino servizio armato".
Dalle norme ora richiamate si evince chiaramente che, pur rientrando nella
discrezionalità dell'Ente locale l'individuazione dei servizi di polizia
municipale che vanno svolti in forma armata, vi è un obbligo per tutti gli
addetti in possesso della qualifica di pubblica sicurezza di portare le armi in
dotazione durante l'espletamento del servizio allorché il Prefetto ne faccia
motivata richiesta.
Ne consegue che, dovendo il vigileagente di p.s. portare le armi ove addetto a
servizi da svolgere in forma armata, per specifica deliberazione comunale o per
esplicita richiesta del prefetto, non può acquisire detta qualifica il soggetto
in capo al quale sussiste, in base agli artt. 9 L. n. 772/72 e 15 L. n. 230/98,
una totale e permanente preclusione all'utilizzo delle armi (così C.d.S. sez. IV
n. 6247/00; C.d.S. sez. I parere n. 837/99; T.A.R. Lazio - Roma n. 1597/05;
T.A.R. Abruzzo - Pescara n. 459/99; T.A.R. Toscana n. 490/94; T.A.R. Lombardia -
Brescia n. 263/94).
L'ineludibile collegamento tra la qualifica di agente di pubblica sicurezza e il
possesso dell'arma è, altresì, confermato, sul piano operativo, dal fatto che,
ai sensi dell'art. 3 del D.M. n. 145 del 1987, il numero complessivo delle armi
in dotazione alla polizia municipale, con il relativo munizionamento, equivale a
quello degli addetti forniti della qualifica di agente di pubblica sicurezza.
Ritenuto, pertanto, che il collegamento tra uso delle armi e funzioni di
pubblica sicurezza preclude l'esercizio di queste ultime all'obiettore di
coscienza, stante il divieto previsto dagli artt. 9 L. n. 772/72 e 15 L. n.
230/98 in precedenza citati, deve, allora, essere accertato se l'espletamento di
tali funzioni rientri necessariamente o meno nelle mansioni del vigile urbano e,
quindi, se a tale impiego possa accedere colui che ha prestato il servizio
civile sostitutivo.
Il Collegio ritiene che la questione non possa essere risolta in astratto ma
debba tenere conto - come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata -
della concreta disciplina che ciascun comune ha previsto per le mansioni del
posto di vigile urbano da ricoprire con la procedura concorsuale eventualmente
contestata (per la necessità del riferimento alla disciplina dell'ente locale:
C.d.S. sez. V ord. n. 3180/03; la sentenza qui impugnata T.A.R. Campania -
Salerno n. 1854/04; T.A.R. Abruzzo - Pescara n. 459/99).
Ciò - sul piano metodologico - è ammesso anche dalla decisione CdS V n. 3336 del
2007 che pure aveva concluso in senso favorevole all'assunzione dell'obiettore
di coscienza quale vigile urbano, esaminando ed interpretando, sul piano delle
concretezze, il regolamento di Polizia Municipale in quella fattispecie
rilevante.
Orbene va considerato che il vigente regolamento di Polizia Municipale del
Comune di #################### ####################, approvato con deliberazione
consiliare n. 42 del 30 dicembre 1999, espressamente prevede che la polizia
locale sia tenuta ad espletare funzioni di polizia giudiziaria e di sicurezza.
Prevede che il Sindaco comunichi i dati anagrafici degli addetti al servizio di
polizia municipale (senza esclusione alcuna) al Prefetto per l'acquisizione
della qualifica di agente di pubblica sicurezza.
All'art.15 (rubricato "armamentario individuale") prevede che agli addetti al
corpo di Polizia Municipale (anche qui si noti: senza esclusioni di sorta), con
le modalità previste dall'art. 7 comma 5 del presente regolamento, è data in
consegna l'arma così come previsto dal D.M. Interni n. 145 del 4 marzo 1987
emanato ai sensi della legge n. 65 del 1986.
Lo stesso regolamento poi prevede che l'arma sia necessaria per i servizi
esterni di "vigilanza, polizia stradale, ordine pubblico, polizia giudiziaria e
di pubblica sicurezza e, comunque, per i servizi di vigilanza e protezione della
casa comunale".
In sintesi, per il Comune di #################### ####################, non si
prevede l'eventualità di un servizio di polizia municipale che non sia
"normalmente" armato, pur non potendosi escludere, che, per evenienze
particolari, un addetto alla Polizia Municipale, non abbia i requisiti per
conseguire la qualifica di agente di pubblica sicurezza (ad es. intervenute
condanne penali in pendenza di procedimenti disciplinari ecc.).
Il bando di concorso prevedeva significativamente l'adempimento degli obblighi
previsti dalla legge sul reclutamento militare per i soggetti di sesso maschile
(art. 4 lett. f).
Ne consegue, che, in presenza di un regolamento comunale che imponga come
normale il servizio armato degli addetti alla polizia municipale, l'obiettore di
coscienza incorra nella preclusione di cui all'art. 15 della legge n. 230 del
1998.
Sussistono per la peculiarità e la ####################tà del caso, e per la
presenza di oscillanti precedenti giurisprudenziali, i presupposti per la
compensazione delle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso
indicato in epigrafe respinge l'appello.
Compensa integralmente le spese del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2009 con
l'intervento dei Magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Cesare Lamberti, Consigliere
Aldo Scola, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Giancarlo Montedoro, Consigliere, Estensore