SENT. N. 710/2011

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE DEI CONTI

Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio

composta dai seguenti magistrati:

Ivan DE MUSSO                                Presidente

Chiara BERSANI                                Consigliere

Giuseppe DI BENEDETTO                    Referendario relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 70370 del registro di segreteria della Sezione, promosso dalla Procura regionale della Corte dei conti per la Regione Lazio, con atto di citazione in giudizio depositato in data 28 aprile 2010, nei confronti del dott. #################### ####################, nato a #################### il ------, elettivamente domiciliato in Roma in via Cola ----

Visti l’atto l’introduttivo e tutti gli atti e i documenti del giudizio;

Uditi alla pubblica udienza del giorno 18 novembre 2010, con l’assistenza del segretario dott.ssa Antonella CIRILLO, il relatore referendario Giuseppe Di BENEDETTO, il Pubblico Ministero nella persona del V.P.G. #################### #################### e l’Avv.to Giosuè #################### #################### per il convenuto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione depositato il 28 aprile 2010, il Procuratore Regionale ha convenuto in giudizio il dott. #################### ####################, nella qualità di funzionario della Divisione Accasermamento della Polizia di Stato del Dipartimento di P.S. del Ministero dell’Interno, per sentirlo condannare al pagamento in favore del Ministero dell’Interno, della somma di euro 903.039,12, oltre alla rivalutazione monetaria dal 1999 a tutt’oggi, interessi e spese di giudizio.

La vicenda per cui è causa –comunicata dal Ministero dell’Interno alla Procura Regionale per il Lazio con nota del 18 settembre 2007- riguarda un’ipotesi di danno erariale emersa nell’ambito di un procedimento penale a carico di vari imprenditori e funzionari pubblici, tra i quali il dott. ####################. In particolare l’odierno convenuto con il concorso, tra gli altri, del dirigente dell’UTE di ####################, avrebbe consentito una indebita maggiorazione del canone di locazione dello stabile adibito a sede della caserma “Modena” dei Carabinieri di ####################.

In data 5.10.1988 veniva stipulato un contratto preliminare tra la Prefettura di #################### e la società --- –riconducibile all’imprenditore #################### ####################- con il quale le parti si obbligavano a stipulare un successivo contratto di locazione avente ad oggetto un fabbricato in corso di realizzazione pattuendo un canone annuo di 484 milioni pari alla valutazione esperita dall’UTE.

In data 22.05.1992 veniva stipulato il contratto definitivo di locazione dello stabile al quale veniva apposta in calce una clausola che dava atto che il locatore avanzava richiesta di revisione del canone. Interessato in proposito, l’UTE rideterminava il canone in 715 milioni e successivamente -a seguito di richiesta del Ministero dell’Interno-  motivava l’incremento in ragione di variazioni ISTAT pari al 25%, lievitazione dei prezzi di mercato, particolarità costruttive.

L’Avvocatura dello Stato, interpellata su richiesta del Ministero, sull’interpretazione da dare alla clausola apposta in calce al contratto avente ad oggetto l’adeguamento del canone, con parere reso in data 5.11.1993 e ribadito con il successivo parere del 18 gennaio 1996, si esprimeva nel senso della sua non vincolatività.

La società #################### reiterava nuovamente la richiesta direttamente al Ministero dell’Interno che, con nota del 14.11.1995, manifestava la disponibilità alla stipula di un atto aggiunto di mera rideterminazione del canone a condizione che fosse acquisito il nulla osta alla spesa da parte del Ministero delle Finanze ed il parere favorevole del Consiglio di Stato e dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato.

In data 10 gennaio 1996 veniva, quindi, nuovamente interpellata l’Avvocatura distrettuale dello Stato -la quale, il successivo 18 gennaio, ribadiva il parere contrario già reso- ma nella me####################ima data della richiesta (10 gennaio 1996) la Prefettura di #################### conveniva con il rappresentante della società #################### di elevare il canone di locazione a lire 715 milioni.

Il successivo 23.12.1996 il Ministero delle Finanze comunicava di non poter rilasciare il nulla osta alla spesa in quanto, alla luce dell’orientamento della Corte dei conti circa l’illegittimità della decorrenza retroattiva dei canoni di locazione, rappresentava che per regolare l’occupazione dei locali in questione (e consentire un eventuale aumento del canone) l’amministrazione dell’Interno, qualora ritenuto opportuno, avrebbe dovuto ricorrere all’istituto del riconoscimento di debito. Il dott. ####################, quale funzionario istruttore e responsabile del procedimento, predispose due distinti decreti di riconoscimento di debito, seguiti da regolare pagamento per un totale di lire 1.748.527.560 (pari a euro 903.039,12) e, segnatamente :

·         un primo decreto del 7.05.1998 di lire 833.122.870 con il quale venivano riconosciute alla società #################### somme arretrate per aumento del canone per il periodo 1 giugno 1992-31 maggio 1995;

·         con il secondo decreto del 4.03.1999 di lire 915.404.690 con cui si riconoscevano somme arretrate per l’aumento del canone per il periodo 1 giugno 1995- 31 maggio 1998.

L’organo requirente evidenzia che i richiamati decreti di riconoscimento di debito si pongono in evidente contrasto con i pareri dell’Avvocatura dello Stato che aveva più volte precisato come non fosse dovuto alla società locatrice alcun aumento. Il riconosciuto aumento del canone di locazione si innestava su un canone già di per se particolarmente esoso (come riconosciuto dai consulenti del PM penale) e la cui corretta determinazione è dubbia alla luce dei legami di illeciti rapporti di natura finanziaria e massonica –emersi in sede penale- tra il Direttore dell’UTE che aveva redatto la perizia di stima e l’imprenditore proprietario della società ####################, ai quali non era estraneo il dott. ####################. Il convenuto, peraltro, con nota 6.08.1999 indirizzata alla Prefettura di #################### autorizzava anche la stipula di un ulteriore atto aggiuntivo con scadenza 31 maggio 2004 (poi mai perfezionato per l’emergere della vicenda penale) finalizzato a stabilizzare l’erogazione delle indebite differenze.

Dalle indagini penali è, peraltro, emerso che il convenuto aveva disponibilità economiche rilevanti acquisite in concomitanza con i decreti di riconoscimento di debito e non giustificabili con i redditi familiari.

L’organo requirente ravvisa nei fatti ####################critti la responsabilità erariale del convenuto della quale ritiene sussistano tutti gli elementi costitutivi indipendentemente dall’esito del processo penale.

In relazione ad essi, la Procura regionale ha emesso l’invito a dedurre di cui all’art. 5 del decreto legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, a cui l’odierno convenuto non ha fornito riscontro.

Il convenuto si è costituito con memoria depositata in data 16.11.2010, con la quale ha, preliminarmente eccepito la nullità dell’atto di citazione per mancanza dell’avvertimento previsto dall’art. 163, comma 3, n. 7, c.p.c., e nel merito, sostenuto l’infondatezza della domanda.

All’odierna udienza:

·         il V.P.G. #################### #################### ha eccepito la tardività dell’atto di costituzione in giudizio del convenuto e la conseguente inammissibilità delle eccezioni di rito sollevate, nel merito insistito per l’accoglimento della domanda;

·         l’Avv.to Giosuè #################### #################### ha insistito nell’eccezione di nullità della domanda attrice ex art. 163, comma 3, n. 7, c.p.c. per l’omesso avvertimento delle decadenze che comporta la costituzione oltre i termini previsti ed ha chiesto la sospensione del giudizio in considerazione della pendenza del giudizio penale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.La questione all'esame del Collegio concerne la domanda giudiziale promossa dalla Procura regionale nei confronti del dott. #################### ####################, nella qualità di funzionario della Divisione Accasermamento della Polizia di Stato del Dipartimento di P.S. del Ministero dell’Interno, per sentirlo condannare al pagamento in favore del Ministero dell’Interno, della somma di euro 903.039,12, oltre alla rivalutazione monetaria dal 1999 a tutt’oggi, interessi legali e spese di giudizio, per il presunto danno erariale derivante dall’indebita maggiorazione del canone di locazione dello stabile adibito a sede della caserma “Modena” dei Carabinieri di ####################.

2. Preliminarmente va scrutinata l’ammissibilità dell’eccezione di nullità formulata dalla difesa del convenuto per l’omessa indicazione nell’atto di citazione da parte della Procura attrice dell’art. 38  tra le decadenze che - per i giudizi istaurati dal 4.07.2009- implica la costituzione oltre i termini di cui all’art. 163, comma 7, c.p.c., come modificato dalla legge n.69/2009.  

2. L’eccezione posta con il tardivo atto di costituzione (16.11.2010) è inammissibile per il verificarsi della decadenza prevista dall’art. 167, comma 2, c.p.c., come modificato dall'art. 2, comma 3, lett. b-ter, del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80. Giova al riguardo richiamare il contenuto dispositivo dell’art. 171, comma 2, c.p.c., il quale, nel consentire la costituzione tardiva, precisa che “restano ferme per il convenuto le decadenze di cui all'articolo 167”. 

Non viene meno, pertanto, l’onere per il convenuto di proporre, con la comparsa di risposta e nei termini di costituzione in giudizio stabiliti dall’art. 166 c.p.c. “le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio” per evitare la decadenza prevista dall’art. 167, comma 2, c.p.c..

3. Parimente non si ritiene accoglibile l’istanza formulata dal patrono del convenuto di sospensione del giudizio per la pendenza del giudizio penale.

3.1 Al riguardo occorre precisare che i rapporti tra il giudizio penale e giudizio di responsabilità amministrativo-contabile sono connotati da autonomia e separatezza, essendo i reciproci effetti disciplinati nel nuovo codice nei termini indicati dall’art. 651 e 652 c.p.p. e, ora, limitatamente alla fattispecie di danno all’immagine dall’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009, convertito con modifiche nella legge 3 agosto 2009, n. 102 e successivamente modificato dall’art. 1, comma 1 lett. c) n. 1 del d.l. n. 103/2009 convertito nella legge 3 ottobre 2009, n. 141.

La giurisprudenza di questa Corte è, peraltro, consolidata nel senso che la sospensione del giudizio contabile possa essere disposta ove, in base alla valutazione di concrete circostanze della singola fattispecie, emerga l’esigenza di attendere l’esito del giudizio penale.

Tanto premesso, il Collegio ritiene che nei fatti ####################critti si ravvisino tutte le condizioni per un’eventuale declaratoria di responsabilità amministrativa indipendentemente dall’esito del processo penale.

4. Superate le eccezioni di rito, il Collegio può esaminare in punto di merito la vicenda ####################critta nella premessa in fatto e procedere alla verifica della sussistenza degli elementi tipici della responsabilità amministrativa che si sostanziano in un danno patrimoniale, economicamente valutabile, arrecato alla pubblica amministrazione, in una condotta connotata da colpa grave o dolo, nel nesso di causalità tra il predetto comportamento e l'evento dannoso, nonché, nella sussistenza di un rapporto di servizio fra colui che lo ha determinato e l'ente danneggiato.

5. Con riferimento all’elemento oggettivo del nocumento patrimoniale, l’organo requirente ritiene che dalla vicenda in esame emerga un danno erariale subito dal Ministero dell’Interno quantificato in euro 903.039,12, oltre a rivalutazione monetaria dal 1999 a tutt’oggi e interessi.

La difesa del convenuto ha sostenuto che plurimi interventi giurisdizionali in ambito penale sono stati finora di segno favorevole all’estraneità del dott. #################### agli addebiti mossigli, in questo senso evidenziando che i decreti di sequestro preventivi emessi nei confronti suoi e della coniuge, sono stati annullati dai competenti Tribunali del riesame. Si rappresenta, peraltro, che la tesi accusatoria penalmente sostenuta che attribuisce al dott. #################### una condotta truffaldina in danno dello Stato attraverso l’emissione di due distinti decreti di riconoscimento del debito non tiene conto che il canone relativo all’immobile adibito a caserma “Modena” in #################### da 484 a 715 milioni di lire annui fu stabilito con relazione ####################crittiva del 24.04.1993 redatta dall’UTE di #################### e che, pertanto, al contenuto ideologico e valutativo della stessa non avrebbe potuto prendere parte il dott. #################### chiamato a ricoprire l’ufficio di direttore della Divisione Servizio Accasermamento delle Forze di Polizia del Ministero dell’Interno dal 12.01.1998 al 26.01.2000, cioè in epoca successiva alla contestata determinazione.  

5.1 Ritiene il Collegio che dalla vicenda ####################critta nella premessa in fatto emerga un danno erariale derivante dall’illegittima adozione dei decreti di riconoscimento del debito da parte del convenuto.

In tal senso occorre osservare che il danno erariale –nonostante i prodromi per la sua causazione siano più remoti e riconducibili ad altri soggetti e, tra questi, l’UTE di ####################- è stato, in termini di diretta imputazione, determinato dall’adozione dei due menzionati decreti di riconoscimento del debito (n. 33253 del 7.05.1998 e n. 16903 del 4.03.1999). L’illegittimità degli stessi, peraltro, emerge per tabulas dal patente contrasto con i pareri resi dall’Avvocatura dello Stato in data 5.11.1993 e in data 18.01.1996 e dalla mancanza di nulla osta alla spesa del Ministero delle Finanze.

Non inficiano le conclusioni raggiunte circa la sussistenza del danno erariale, le argomentazioni difensive che non tengono in debito conto come la responsabilità amministrativa per danno erariale si fondi su presupposti affatto diversi dalla responsabilità penale e possa ravvisarsi anche nel caso -non integrato, tuttavia, da quello in esame ancora sub iudice in sede penale- in cui essa venga esclusa dal giudice ordinario competente. Le risultanze e gli atti del giudizio penale possono, peraltro, essere autonomamente valutati da questa Corte per formare il proprio convincimento ai diversi fini della declaratoria della responsabilità amministrativa.

5.2 Non appare, invece, condivisibile la quantificazione del danno erariale come operata dalla Procura attrice. Si ritiene, infatti, che il quantum da imputare all’odierno convenuto debba scontare l’apporto causale fornito da altri soggetti e che, conseguentemente, vada valutato, equitativamente, nella misura del 50% dell’importo del complessivo nocumento patrimoniale pari a euro 903.039,12 subito dall’ente pubblico e, segnatamente in euro 451.519,56, oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali.  

6. Con riguardo all’elemento soggettivo si ritiene che la condotta tenuta dal convenuto sia espressiva di dolo (in tal senso deponendo le risultanze delle indagini esperite in sede penale) o almeno di colpa grave evincibile dalla contrarietà dei provvedimenti ai pareri resi dall’Avvocatura della Stato, peraltro, assunti in assenza di nulla osta alla spesa del Ministero delle Finanze.

7. Anche gli altri elementi della responsabilità amministrativa quali il rapporto di servizio tra il convenuto e l’ente danneggiato, ed il nesso di causalità tra la condotta e l'evento dannoso, sono riscontrabili nel caso in esame. 

8. Conclusivamente, il Collegio ritiene sussistano nella fattispecie scrutinata tutti gli elementi della responsabilità amministrativa che, pertanto, va affermata nei confronti del convenuto e, per l’effetto, accolta da domanda attrice ma nella minore misura indicata pari a euro 451.519,56, oltre alla rivalutazione monetaria dal 1999.

Sull’importo addebitato devono, altresì, essere corrisposti gli interessi legali con decorrenza dalla data di deposito della presente sentenza all'effettivo soddisfo.

Alla soccombenza segue anche l’obbligo del pagamento delle spese di giudizio.

P. Q. M.

la Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per Regione Lazio, definitivamente pronunciando, condanna il dott. #################### #################### al pagamento, per l’addebito di responsabilità amministrativa di cui all’atto di citazione in epigrafe, in favore Ministero dell’Interno, della somma di euro 451.519,56, (quattrocentocinquantunocinquecentodicennovemila/56), oltre alla rivalutazione monetaria.

Tale somma sarà gravata di interessi legali a far data dalla pubblicazione della presente decisione all’effettivo soddisfo.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate in euro  200,26

(duecento/26).

Così deciso, in Roma, nella Camera di consiglio del 18 novembre 2010.

L'ESTENSORE                                           IL PRESIDENTE

F.to Giuseppe Di Benedetto                         F.to Ivan DE MUSSO

Depositata in segreteria il 27 aprile 2011.

P.IL DIRIGENTE

IL RESPONSABILE DEL SETTORE

GIUDIZI DI RESPONSABILITA’

F.to Francesco MAFFEI

 

 

SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LAZIO Sentenza 710 2011 Responsabilità 27-04-2011