Infortuni sul lavoro - Questioni di legittimità costituzionale - E' costituzionalmente illegittimo, in relazione agli artt. 97, primo comma, 24 e 113 Cost., il primo comma dell'art. 14, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell'art. 1 L. 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro), come sostituito dal primo comma lettera a) dell'art. 11 D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106 (Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), nella parte in cui, stabilendo che ai provvedimenti di sospensione dell'attività imprenditoriale previsti dalla citata norma non si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), esclude l'applicazione ai medesimi provvedimenti del primo comma dell'art. 3della L. n. 241 del 1990.
ATTI AMMINISTRATIVI
Motivazione dell'atto
in genere
INFORTUNI SUL LAVORO
Prevenzione
in genere
Questioni di legittimità costituzionale
Corte cost., 5 novembre 2010, n. 310
Corte cost., 05-11-2010, n. 310
FONTI
Corriere Giur., 2011, 1, 119
SENTENZA N. 310
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE
Presidente
- Ugo DE SIERVO
Giudice
- Paolo
MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO
"
- Alfonso
QUARANTA "
- Franco
GALLO "
- Luigi MAZZELLA
"
- Gaetano
SILVESTRI "
- Sabino CASSESE
"
- Giuseppe TESAURO
"
- Paolo Maria NAPOLITANO
"
- Giuseppe
FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO
"
- Paolo
GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del decreto
legislativo del 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell’art. 1 della legge 3
agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la
Liguria nel procedimento vertente tra la Pizzeria P., ditta individuale di C.
D., e il Ministero del lavoro e della previdenza sociale con ordinanza del 13
maggio 2009, iscritta al n. 204 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visti l’atto di costituzione della Pizzeria P., ditta individuale di C. D.,
nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 2010 il Giudice relatore Alessandro
Criscuolo;
udito l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio
dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. — Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria (d’ora in avanti,
T.A.R.), con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli
articoli 97, primo comma, 24 e 113 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008,
n. 81 (Attuazione dell’art. 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di
tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), «nella parte in cui
prevede che “ai provvedimenti del presente articolo non si applicano le
disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241” e, segnatamente, nella
parte in cui esclude l’applicazione ai provvedimenti de quibus dell’art. 3 comma
1 della legge 7 agosto 1990, n. 241».
2. — Il rimettente riferisce che, con ricorso notificato il 27 maggio 2008, C.
D., titolare di una ditta individuale per la produzione e il recapito di pizze
da asporto, ha impugnato un provvedimento con il quale il Servizio ispezione del
lavoro della Direzione provinciale del lavoro di Genova, in seguito a una visita
ispettiva presso i locali dell’impresa, aveva disposto, ai sensi dell’art. 14,
comma 1, del citato d.lgs., la sospensione dell’attività imprenditoriale, avendo
accertato l’impiego di due fattorini addetti al recapito delle pizze da asporto
(pari al 66 per cento del totale dei lavoratori presenti sul posto di lavoro),
non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria.
Il giudice a quo, dopo aver riassunto i motivi del ricorso (violazione degli
artt. 3 e 24 Cost., in relazione all’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 –
recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi» – e all’art. 14 d.lgs. n. 81 del 2008 e
connesso eccesso di potere per omessa motivazione; eccesso di potere per omessa
motivazione, per contraddittorietà e per manifesta ingiustizia), prosegue
osservando che, come esposto dal titolare della ditta, sarebbero stati esibiti
agli ispettori del lavoro copie dei contratti di collaborazione autonoma e
occasionale conclusi con i due fattorini (circostanza risultante dal verbale di
accesso ispettivo). Ad onta di ciò il provvedimento di sospensione, avente
conseguenze gravissime sulla vita di una piccola impresa come quella ricorrente,
sarebbe stato adottato in totale assenza di motivazione, benché questa fosse
necessaria avuto riguardo al carattere
discrezionale del provvedimento ed alla volontà manifestata dalle parti in
ordine all’inesistenza del vincolo di subordinazione.
Il T.A.R. precisa di avere accolto l’istanza diretta ad ottenere la sospensione
dell’esecuzione del provvedimento impugnato e di aver poi trattenuto la causa
per la decisione. Argomenta sulla rilevanza della questione di legittimità
costituzionale, sottolineando che l’obbligo generale di motivazione degli atti
amministrativi fu introdotto nel vigente ordinamento dall’art. 3, comma 1, della
legge n. 241 del 1990, sicché, mentre prima di detta legge il difetto di
motivazione integrava una figura sintomatica di eccesso di potere, oggi
configura il vizio di violazione di legge.
La disposizione censurata, statuendo che «ai provvedimenti del presente articolo
non si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241»,
verrebbe a sottrarre i provvedimenti di sospensione dell’attività
imprenditoriale all’obbligo generale di motivazione. Pertanto essa, dovendo
trovare applicazione nella fattispecie, impedirebbe al tribunale di conoscere
della relativa censura. D’altro canto, il dedotto difetto di motivazione non
potrebbe neppure essere valutato sotto il profilo dell’eccesso di potere, perché
la norma censurata escluderebbe in modo espresso il relativo obbligo, la cui
mancanza, dunque, non potrebbe costituire sintomo del detto vizio.
Inoltre, ad avviso del Collegio, la questione non sarebbe manifestamente
infondata. Infatti, l’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi – di
cui all’art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990 – costituirebbe un
principio generale, attuativo sia dei canoni d’imparzialità e di buon andamento
della pubblica amministrazione, ai sensi dell’art. 97 Cost., sia di altri
interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa contro gli atti
della stessa pubblica amministrazione, ai sensi degli artt. 24 e 113 Cost. Di
più, il suddetto obbligo sarebbe principio del patrimonio costituzionale comune
dei Paesi europei, desumibile dall’art. 253 del Trattato sull’Unione europea
(oggi art. 296, comma 2, del Trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione
europea, ratificato dall’Italia con legge 2 agosto 2008, n.130, ed entrato in
vigore il 1° dicembre 2009), che lo estende addirittura agli atti normativi.
I principi d’imparzialità e di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost.,
esigerebbero dunque che, quando l’interesse pubblico si fronteggia con un
interesse privato, l’amministrazione debba dare conto, attraverso la
motivazione, di aver ponderato gli interessi in conflitto. In altri termini, in
caso di provvedimenti discrezionali, «la motivazione costituisce lo strumento
principe a mezzo del quale effettuare il controllo di legittimità dell’atto,
consentendo al giudice il sindacato sull’iter logico seguito dall’autorità
amministrativa e sul ricorrere dei presupposti del potere in concreto
esercitato».
In questo quadro, l’esclusione degli obblighi di motivazione per i provvedimenti
di sospensione dell’attività imprenditoriale si porrebbe anche in contrasto con
gli artt. 24 e 113 Cost., in quanto limiterebbe la tutela giurisdizionale contro
gli atti della pubblica amministrazione.
3. — La parte privata si è costituita nel giudizio di legittimità
costituzionale, insistendo per la declaratoria di illegittimità della norma
censurata.
Essa, nel condividere le argomentazioni del giudice a quo, sottolinea come la
motivazione sia canone fondamentale del diritto non soltanto italiano ma anche
europeo, consentendo la trasparenza dell’azione amministrativa, la verifica
sulla legittimità del provvedimento e l’esercizio di una concreta tutela
giurisdizionale.
L’eliminazione del relativo obbligo, dunque, renderebbe non controllabile la
detta azione, legittimando l’arbitrio. Al riguardo, è richiamata l’opinione
della dottrina che, ben prima della legge n. 241 del 1990, avrebbe individuato
negli artt. 24, 97 e 113 Cost. il fondamento di tale obbligo.
La parte privata ritiene che ai profili sollevati dal T.A.R. andrebbe aggiunta
la violazione dell’art. 3 Cost. sotto l’aspetto dell’ingiustificata disparità di
trattamento tra tipologie di sanzione. Infatti, l’art. 14 del d.lgs. n. 81 del
2008 costituirebbe un unicum nel vigente ordinamento, nel quale tutte le
fattispecie sanzionatorie dovrebbero essere motivate.
Inoltre, andrebbero considerate le gravi conseguenze del provvedimento,
caratterizzato da ampi spazi di discrezionalità, tali da impedire ogni difesa,
come emergerebbe anche dalle condizioni richieste per ottenerne la revoca.
Infine la norma, così come formulata, sarebbe diretta a colpire in primis gli
esercizi molto piccoli, in quanto le imprese di medie o grandi dimensioni ben
difficilmente potrebbero subire contestazioni tali da riguardare il 20 per cento
dell’organico.
4. — Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio di legittimità
costituzionale, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o
infondata.
La difesa dello Stato rileva che la normativa censurata, al fine di contrastare
il lavoro irregolare e di assicurare il rispetto delle regole di prevenzione nei
luoghi di lavoro, disciplina il procedimento per l’adozione della misura
cautelare che dispone la sospensione dell’attività imprenditoriale, da porre in
essere in presenza di determinati presupposti e di condizioni di effettivo
rischio e pericolo, certificati nel verbale redatto dagli ispettori del lavoro,
fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali e amministrative vigenti.
La procedura sarebbe diretta al rispetto delle esigenze di celerità e di non
aggravamento del procedimento, con prevalenza dell’interesse pubblico primario
tutelato dall’art. 97 Cost., avuto riguardo alla particolare finalità della
disposizione, per la quale si sarebbe reso necessario escludere l’applicabilità
della legge n. 241 del 1990 allo scopo di evitare che il provvedimento di
sospensione sia adottato soltanto all’esito del procedimento sanzionatorio.
Ad avviso dell’interveniente, peraltro, un’interpretazione costituzionalmente
orientata dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008, imporrebbe di
ritenere che la norma, nella parte in cui esclude l’applicazione della legge n.
241 del 1990, faccia salvo l’obbligo di motivazione del provvedimento di
sospensione, perché questo è imposto direttamente dalle norme costituzionali, a
garanzia del diritto del privato di agire in giudizio a tutela delle situazioni
giuridiche ritenute lese da provvedimenti amministrativi.
Il detto obbligo, infatti, discenderebbe dagli artt. 24, 97 e 113 Cost., mentre
la mancanza di motivazione avrebbe configurato una figura sintomatica di eccesso
di potere prima ancora che fosse introdotto l’art. 3 della citata legge.
Sotto tale aspetto, la disposizione censurata non violerebbe i principi
costituzionali invocati dal rimettente, in quanto «il richiamo ai presupposti di
legge accertati nel verbale ispettivo costituisce un momento del procedimento
amministrativo su cui si fonda, sotto il profilo sostanziale, la legittimità del
provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale».
Considerato in diritto
1. — Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria (d’ora in avanti,
T.A.R.), con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita della legittimità
costituzionale – in riferimento agli articoli 97, primo comma, 24 e 113 della
Costituzione – dell’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.
81 (Attuazione dell’art. 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di
tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), nella parte in cui
prevede che «ai provvedimenti del presente articolo non si applicano le
disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241» e, segnatamente, nella
parte in cui esclude l’applicazione ai provvedimenti de quibus dell’art. 3,
comma 1, della legge ora citata (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), concernente
l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi.
2. — Il rimettente è chiamato a pronunciare in un giudizio amministrativo
promosso dal titolare di una ditta individuale, avente ad oggetto la produzione
e la vendita di pizze da asporto, nei confronti del Ministero del lavoro e della
previdenza sociale per l’annullamento di un provvedimento, adottato dalla
Direzione provinciale del lavoro di Genova. Con esso è stata disposta la
sospensione dell’attività imprenditoriale, essendo risultato l’impiego di due
fattorini addetti al recapito delle pizze (pari al 66 per cento del totale dei
lavoratori presenti sul posto di lavoro), non emergenti dalle scritture o da
altra documentazione obbligatoria. Il giudice a quo ritiene che la norma
censurata, in forza della quale il provvedimento di sospensione è stato emesso,
sia in contrasto con i parametri costituzionali dianzi indicati, perché
l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, di cui all’art. 3,
comma 1, della legge n. 241 del 1990, costituisce un principio
generale, che attua i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento
dell’amministrazione, ai sensi dell’art. 97 Cost., nonché la tutela del diritto
di difesa contro gli atti della pubblica amministrazione, ai sensi degli artt.
24 e 113 Cost.
3. — In via preliminare, si deve rilevare che è impugnato l’art. 14, comma 1,
del d.lgs. n. 81 del 2008, nel testo originario (in Gazzetta Ufficiale del 30
aprile 2008, entrato in vigore il 15 maggio 2008). Detta disposizione è stata
dapprima modificata dall’art. 41, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria), convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e
poi sostituita dall’art. 11, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 3
agosto 2009, n. 106 (Disposizioni integrative e correttive del decreto
legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della
sicurezza nei luoghi di lavoro). Peraltro, con l’ordinanza di rimessione la
norma è censurata nella parte in cui dispone che «Ai provvedimenti del presente
articolo non si applicano le disposizioni di cui alla legge
7 agosto 1990, n. 241» e, segnatamente, «nella parte in cui esclude
l’applicazione ai provvedimenti de quibus dell’art. 3, comma 1, della legge 7
agosto 1990, n. 241, per contrasto con gli artt. 97, comma 1, 24 e 113 Cost.».
In tale dettato la disposizione non ha subito modifiche nelle tre versioni
suddette. Pertanto, avuto riguardo alla persistenza del medesimo contenuto
precettivo recato in parte qua dalle menzionate disposizioni, la questione deve
ritenersi trasferita sulla nuova norma, sostitutiva di quella originaria e
identica a questa, addirittura nella stessa formulazione letterale (nei giudizi
in via incidentale: sentenze n. 270 e n. 84 del 1996; nei giudizi in via
principale: sentenze n. 40 del 2010 e n. 237 del 2009).
4. — Ancora in via preliminare, si deve osservare che, per giurisprudenza
costante di questa Corte, l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale
in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle
ordinanze di rimessione, non potendo essere considerati, oltre i limiti in
queste fissati, ulteriori questioni o profili dedotti dalle parti, eccepiti ma
non fatti propri dal giudice a quo oppure diretti ad ampliare o modificare il
contenuto delle stesse ordinanze. Ne deriva che sono inammissibili, e non
possono formare oggetto di esame in questa sede, le deduzioni della parte
privata dirette ad estendere il thema decidendum, non soltanto attraverso
l’invocazione di ulteriori parametri costituzionali, ma anche con la denunzia di
altre disposizioni rispetto a quella sospettata d’illegittimità costituzionale
dal rimettente (ex plurimis: sentenze n. 50 del 2010, n. 311 e n. 236 del 2009).
5. — L’Avvocatura dello Stato ha dedotto l’inammissibilità della questione, ma
l’eccezione (peraltro priva di un adeguato apparato argomentativo) non è
fondata.
Infatti il T.A.R. ha motivato, sia pure in termini concisi, sulla rilevanza e
sulla non manifesta infondatezza, ed ha aggiunto che il dettato normativo
conduce ad escludere in modo espresso l’obbligo di motivazione per il
provvedimento impugnato nel giudizio a quo, così rendendo palese, in forma
implicita ma chiara, di non poter ricercare un’interpretazione
costituzionalmente orientata della norma censurata. Si tratta di valutazioni non
implausibili, che consentono di dare ingresso alla questione di legittimità
costituzionale.
6. — Nel merito, essa è fondata.
6.1. — Si deve premettere che l’art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (e
successive modificazioni) stabilisce che «ogni provvedimento amministrativo,
compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei
pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi
previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le
ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in
relazione alle risultanze dell’istruttoria». Il comma 2, poi, esclude la
necessità della motivazione per gli atti normativi e per quelli a contenuto
generale.
La norma sancisce ed estende il principio, di origine giurisprudenziale, che in
epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 241 del 1990 aveva già
affermato la necessità della motivazione, con particolare riguardo al contenuto
degli atti amministrativi discrezionali, nonché al loro grado di lesività
rispetto alle situazioni giuridiche dei privati, individuando nella
insufficienza o mancanza della motivazione stessa una figura sintomatica di
eccesso di potere.
L’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi è diretto a realizzare la
conoscibilità, e quindi la trasparenza, dell’azione amministrativa. Esso è
radicato negli artt. 97 e 113 Cost., in quanto, da un lato, costituisce
corollario dei principi di buon andamento e d’imparzialità dell’amministrazione
e, dall’altro, consente al destinatario del provvedimento, che ritenga lesa una
propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela giurisdizionale.
6.2. — In questo quadro, la disposizione censurata non è conforme ai parametri
costituzionali sopra indicati.
Infatti essa, escludendo in modo espresso l’applicabilità dell’intera legge n.
241 del 1990 ai provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale,
previsti dall’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008, nel testo sostituito
dall’art. 11, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 106 del 2009, rende non
applicabile anche a tali provvedimenti l’obbligo di motivazione di cui all’art.
3, comma 1, di detta legge, consentendo così all’organo o ufficio procedente di
non indicare «i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno
determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze
dell’istruttoria».
Restano, dunque, elusi i principi di pubblicità e di trasparenza dell’azione
amministrativa, pure affermati dall’art. 1, comma 1, della legge n. 241 del
1990, ai quali va riconosciuto il valore di principi generali, diretti ad
attuare sia i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento
dell’amministrazione (art. 97, primo comma, Cost.), sia la tutela di altri
interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei confronti
della stesse amministrazione (artt. 24 e 113 Cost.; sul principio di pubblicità,
sentenza n. 104 del 2006, punto 3.2 del Considerato in diritto). E resta altresì
vanificata l’esigenza di conoscibilità dell’azione amministrativa, anch’essa
intrinseca ai principi di buon andamento e d’imparzialità, esigenza che si
realizza proprio attraverso la motivazione, in quanto strumento volto ad
esternare le ragioni e il procedimento logico seguiti dall’autorità
amministrativa. Il tutto in presenza di provvedimenti non soltanto a
carattere discrezionale, ma anche dotati di indubbia lesività per le situazioni
giuridiche del soggetto che ne è destinatario.
Né può condividersi l’argomento della difesa dello Stato, secondo cui la
previsione normativa sarebbe diretta «al rispetto delle esigenze di celerità e
di non aggravamento del procedimento, con prevalenza dell’interesse pubblico
primario tutelato dall’art. 97 Cost. in considerazione della particolare
finalità della disposizione, per la quale l’esclusione dell’applicabilità della
legge n. 241 del 1990 si è resa necessaria per evitare che il provvedimento di
sospensione venga adottato solo all’esito del procedimento sanzionatorio».
Invero, la giusta e doverosa finalità di tutelare la salute e la sicurezza dei
lavoratori, nonché di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso e irregolare,
non è in alcun modo compromessa dall’esigenza che l’amministrazione procedente
dia conto, con apposita motivazione, dei presupposti di fatto e delle ragioni
giuridiche che ne hanno determinato la decisione, con riferimento alle
risultanze dell’istruttoria.
Pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 14,
comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008, come sostituito dall’art. 11, comma 1,
lettera a), del d.lgs. n. 106 del 2009, nella parte in cui, stabilendo che ai
provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale previsti dalla citata
norma non si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241,
esclude l’applicazione ai medesimi provvedimenti dell’art. 3, comma 1, della
citata legge n. 241 del 1990.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 1, del decreto
legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell’art. 1 della legge 3 agosto
2007, n. 123, in materia di tutela della salute e di sicurezza nei luoghi di
lavoro), come sostituito dall’articolo 11, comma 1, lettera a) del decreto
legislativo 3 agosto 2009, n. 106 (Disposizioni integrative e correttive del
decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e
della sicurezza nei luoghi di lavoro), nella parte in cui, stabilendo che ai
provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale previsti dalla citata
norma non si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso
ai documenti amministrativi), esclude l’applicazione ai medesimi provvedimenti
dell’articolo 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 2 novembre 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 novembre 2010.