FORZE ARMATE
T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 06-04-2011, n. 3025
Fatto - Diritto P.Q.####################
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Il  Collegio ritiene possibile, allo stato degli atti, l'immediata definizione della causa e di ciò è stato fatto avviso alle parti presenti in camera di consiglio.
Con il ricorso in esame, il ricorrente - ex Caporalmaggiore - impugna il provvedimento n. 0441, datato 8 ottobre 2010, con il quale il direttore generale per il personale militare del Ministero della Difesa, gli ha inflitto la sanzione di stato della "perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari" per la seguente motivazione: "graduato in servizio permanente, dall'ottobre 2008 e fino al 14 dicembre 2009 in #################### e zone limitrofe favoriva la prostituzione di alcune donne, organizzandone gli incontri con persone di sua conoscenza per la consumazione di prestazioni sessuali a pagamento".
Come seguono le censure dedotte in ricorso:
a)il procedimento disciplinare si è concluso tardivamente (contestazione addebiti 12/4/2010 - notificazione decreto 25/10/2010);
b)il provvedimento è sproporzionato rispetto ai fatti accertati in sede penale e durante l'inchiesta disciplinare compiuta dall'ufficiale inquirente, trattandosi di un lieve ed isolato comportamento illecito;
c)non sono stati specificati i motivi per cui l'amministrazione ha ritenuto fondati gli addebiti contestati al militare.
L'amministrazione ha depositato documentazione e relazione sui fatti di causa.
Il ricorso è infondato.
In punto di fatto, consta che:
il ricorrente è stato indagato per favoreggiamento della prostituzione;
il procedimento penale si è concluso con sentenza  di patteggiamento n. 357, emessa il 14 dicembre 2009 dal GIP di Nocera Inferiore, alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione ed euro 120  di multa per il reato di cui agli artt. 81 Cod. pen. e 3 della L. n. 75/1958;
la sentenza è divenuta irrevocabile il 27 gennaio 2010;
l'amministrazione ha acquisito il provvedimento giudiziario il 16 febbraio 2010;
il 27 marzo 2010 è stata disposta l'inchiesta formale avviata il successivo 12 aprile con nota di contestazione conosciuta dal ricorrente il giorno 22 dello stesso mese;
il comandante delle forze operative terrestri,, a  conclusione dell'inchiesta, concordando con l'ufficiale inquirente, ha deferito il ricorrente alla commissione di disciplina (16 luglio 2010);
il 16 settembre 2010 il collegio disciplinare non ha ritenuto il ricorrente meritevole di conservare il grado;
il direttore generale per il personale militare ha, infine, adottato l'impugnato decreto.
Come sopra esposti i fatti, pare evidente come non si sia consumata alcuna violazione delle norme che disciplinano l'avvio e la conclusione del procedimento disciplinare a seguito di condanna del dipendete pubblico.
L'inchiesta formale - che segna l'avvio del procedimento disciplinare - è stata disposta appena 39 giorni dopo l'acquisizione della sentenza di condanna del ricorrente e la contestazione dei fatti è stata formalizzata dopo poco più di due mesi dalla suddetta acquisizione.
Il procedimento si è poi concluso l' 8 ottobre 2010 con l'adozione dell'impugnato decreto, quindi entro il duecentosettantesimo giorno dal suo avvio, come previsto dall'art. 9 della legge n. 19/1990.
Ad ogni modo e comunque, la censura in esame è destituita di giuridico fondamento per le trancianti ragioni che seguono.
L'art. 9 della legge n. 19 del 1990 riguarda, segnatamente, i procedimenti disciplinari (e solo quelli) attivati a seguito di condanna penale riportata dal pubblico dipendente.
La disposizione dianzi indicata prevede che il procedimento disciplinare "...deve essere proseguito o promosso entro centoottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia  della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni".
Il ricorrente lamenta il fatto che il procedimento disciplinare sia concluso tardivamente.
Sulla questione si era già pronunciata la Plenaria con decisioni nn. 4, 5 e 7 del 25 gennaio 2000 stabilendo che il termine di 90 gg. decorre dalla "scadenza virtuale" del primo (termine di avvio del procedimento), sicché il tempo che non può essere superato, a pena di violazione della perentorietà del termine, è quello totale di 270 gg. (180 + 90) desumibile dalla legge.
La questione è successivamente tornata all'attenzione della Plenaria, su ordinanza di remissione del CGARS; orbene, la Plenaria, con decisione n. 1 del 14 gennaio 2004, ha confermato l'orientamento precedente anche alla luce della sopravvenuta legge 27 marzo 2001, n. 97,  ribadendo che i due termini non sono in rapporto antitetico e vanno considerati unitariamente, dal che la massima che il termine di 90 gg. stabilito dall'art. 9 comma 2 L. 7 febbraio 1990 n. 19 per la conclusione del procedimento disciplinare nei confronti del dipendente pubblico inizia a decorrere non già dalla data dell'effettivo  avvio del procedimento stesso ma dalla scadenza dei centoottanta giorni, sempre previsti dall'art. 9 legge citata, che costituiscono il periodo temporale massimo entro il quale -avuta conoscenza della sentenza penale di condanna - deve avere inizio o proseguire il procedimento sicché il
tempo che non può essere superato, a pena di violazione della perentorietà del termine, è quello totale di 270 giorni.
Orbene, nel caso in esame il provvedimento disciplinare è stato adottato l' 8 ottobre 2010 allorquando non era ancora trascorso il periodo temporale massimo stabilito in 270 gg., decorrente dal precedente 27 marzo 2010 (data di avvio del procedimento disciplinare).
In conclusione, risulta tempestiva la conclusione  del procedimento disciplinare. La Sezione ribadisce, pertanto, il principio più volte affermato dalla Plenaria (nel 2000 e nel 2004) e, cioè, che il tempo che non può essere superato - pena violazione della perentorietà del termine - è quello complessivo di 270 gg.. Orbene, partendo dal dies a quo del 27 marzo 2010 si ricava che i 270 gg. andavano a scadere nel mese di dicembre successivo; ne consegue, che il provvedimento definitivo (notificato ad ottobre 2010) è stato adottato abbondantemente nei termini di legge.
E' bene precisare, ad ogni buon fine, che il termine decadenziale di cui si discetta, previsto per la conclusione del  procedimento disciplinare nei confronti degli impiegati civili dello Stato, si applica anche al procedimento disciplinare nei confronti del personale militare. Infatti, dopo l'intervento della Corte costituzionale contenuto nelle decisioni 145/76 e 264/90, deve ritenersi  ingiustificata in materia ogni differenziazione tra dipendenti civili e  dipendenti militari e, quindi, costituzionalmente imposta la previsione  di un termine di decadenza per l'adozione del provvedimento disciplinare.
Il ricorrente lamenta, altresì, difetto di motivazione e sproporzionalità della sanzione irrogatagli.
Non par dubbio al Collegio, sulla scorta della esaminata documentazione, che l'intimata amministrazione nel determinarsi per la sanzione di stato:
abbia preso in specifica considerazione tutte le risultanze dell'istruttoria, quali emerse sulla scorta dei fatti acclarati nel procedimento penale;
si sia rappresentata la consistenza dei medesimi nell'ambito del procedimento disciplinare, facendone contestazione al militare;
abbia messo in relazione i fatti contestati con la condotta dell'agente;
abbia, altresì, ponderato il suo comportamento rispetto alle conseguenze del medesimo sull'immagine dell'amministrazione;
abbia tenuto conto dei principi di onestà e rettitudine propri dello status di militare;
si sia rappresentata la gravità dei fatti in relazione all'interesse pubblico da salvaguardare (moralità e rettitudine, correttezza ed esemplarità dello status di militare e di appartenente all'Arma dei Carabinieri,  prestigio dell'Istituzione) e ne ha tratto un autonomo - rispetto alla sentenza del giudice penale - giudizio in termini di gravissime carenze morali tali da rendere incompatibile l'ulteriore permanenza del #################### nell'ambito dell'Istituzione militare.
Il decreto impugnato - sulla scorta sia degli elementi di fatto ad esso allegati, sia della motivazione addotta che degli atti endoprocedimentali (contestazione addebiti, processo verbale della seduta della commissione di disciplina) - s'appalesa congruamente ed adeguatamente motivata, immune da vizi logici, di ragionevolezza e travisamento dei fatti, in quanto l'amministrazione si è rappresentata i  fatti, ne ha valutato la consistenza e li ha relazionati all'interesse pubblico da perseguire ai fini della sanzione da applicare. Orbene, non è  dato al giudice amministrativo sindacare nel merito della valutazione dei fatti e del giudizio di relazione tra questi e la misura della sanzione inflitta. Sono noti, infatti, i limiti esterni posti al sindacato giurisdizionale su atti del genere; la valutazione dei fatti contestati ad un appartenente dell'Amministrazione militare, ai fini della
loro rilevanza disciplinare, appartiene, invero, alla sfera di discrezionalità dell'Amministrazione stessa, sicchè, fatte salve le ipotesi di manifesta irrazionalità - qui non ricorrente per quanto sopra  argomentato - non vi è spazio per lo scrutinio del giudice amministrativo in ordine alla scelta di comminare una determinata sanzione disciplinare.
Né è ravvisabile, nella fattispecie, una manifesta sproporzione o irrazionalità della misura sanzionatoria applicata nei confronti del ricorrente. Il Collegio non può, infatti, non rilevare, limitatandosi ad una mera verifica esterna del potere esercitato, la natura e consistenza dei fatti contestati al ricorrente alla stregua del comportamento (di grave allarme sociale) da costui tenuto, del grado rivestito e del ruolo istituzionale ricoperto; elementi che andavano apprezzati dall'amministrazione non certo, o necessariamente, in considerazione della episodicità del fatto, bensì, soprattutto in relazione ai valori dell'ordinamento militare, propri dell'Istituzione, funzionali all'immagine della medesima ed avuto riguardo ai particolari compiti ed all'impegno civile che il Corpo di appartenenza assolve, storicamente, nella società civile; valori la cui tutela viene demandata
proprio all'amministrazione militare che, nel procedere all'addebito dei fatti in contestazione, fa esercizio della propria discrezionalità sindacabile ab esterno solo con la tecnica dell'eccesso di potere per macroscopici vizi di logicità, ragionevolezza  e travisamento dei fatti; vizi la cui presenza, in considerazione di quanto sin qui argomentato, il collegio esclude categoricamente.
In conclusione, per quanto sin qui esposto, il ricorso in esame non è meritevole di accoglimento.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.P.Q.####################
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 1.500,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.