Cons. Stato Sez. VI, Sent., 29-12-2010, n. 9552
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

E' impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Emilia Romagna n. 1343 del 7 luglio 2005 che ha accolto il ricorso proposto dal signor #################### ####################, all'epoca dei fatti vicesovrintendente della Polizia dello Stato, avverso il provvedimento di destituzione dal servizio adottato in suo confronto in quanto implicato, in concorso con altre persone, in un episodio afferente un tentativo di acquisto di una partita di sostanze stupefacenti.

Assume l'Amministrazione appellante la erroneità della gravata pronuncia che non correttamente avrebbe rilevato la pretesa omessa autonoma considerazione dei fatti nella sede disciplinare rispetto a quella occorsa nella sede penale, nonché la carenza motivazionale e istruttoria della determinazione conclusiva.

Si è costituita in giudizio la appellata per resistere al ricorso e chiederne il rigetto.

All' udienza del 5 novembre 2010 il ricorso in appello è stato trattenuto per la decisione.

Il ricorso in appello non merita di essere accolto.

La controversia riguarda la legittimità del provvedimento di destituzione dal servizio adottato dal Capo della Polizia il 9 luglio 2004 in confronto del ricorrente di primo grado, all'epoca dei fatti vicesovrintendente della Polizia di Stato, coinvolto nel 2002 in un episodio di tentativo di acquisto di una partita di stupefacente; in relazione a tale ultimo episodio il signor #################### è stato sottoposto a procedimento penale poi conclusosi con decreto di archiviazione del GIP di Viterbo del 25 settembre 2003, con la motivazione che "all'esito delle indagini non sono emersi elementi idonei ad integrare gli estremi del reato predetto". Va premesso che la appellata ha riproposto i motivi rimasti assorbiti nella sentenza di accoglimento la quale ha focalizzato il thema decidendum intorno all'omessa autonoma valutazione dei fatti nella sede disciplinare (rispetto alla vicenda penale conclusasi con decreto di archiviazione) e nella conseguente insufficiente istruttoria sottesa al provvedimento destitutorio adottato in confronto del ricorrente di primo grado.

A parer del Collegio, tuttavia, il ricorso in appello è da respingere per la ragione che, in via ancor più assorbente rispetto a quanto rilevato dal primo giudice, appare sussistente la dedotta violazione del termine di 120 giorni per l'avvio della iniziativa disciplinare.

Ai sensi dell'art. 9, comma 6, del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. n. 737, quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione.

Nel caso di specie è accaduto che il procedimento penale nella quale è stato coinvolto il ricorrente di primo grado si è concluso con decreto di archiviazione del Gip di Viterbo del 25 settembre 2003, non essendo emersi dalle indagini elementi idonei ad integrare l'ipotesi di reato di cui all'art. 73 del d.P.R. 9 ottobr e1990, n. 309. Il decreto di archiviazione chiude la fase delle indagini penali e preclude l'avvio del processo penale, contenendo un accertamento (negativo) in ordine alla inconsistenza della notitiacriminis.

L'atto di contestazione degli addebiti, col quale ha preso avvio il procedimento disciplinare conclusosi con il provvedimento destitutorio, reca invece la data del 8 marzo 2004: di tal che è palese la violazione del termine perentorio fissato dalla richiamata disposizione per l'avvio del procedimento disciplinare. D'altronde, nello stesso atto di contestazione degli addebiti si precisa che a base della iniziativa disciplinare sono stati assunti gli stessi fatti e gli elementi istruttori già oggetto del procedimento penale; il che, se appare incensurabile sul piano dei principi generali (attesa la autonoma rilevanza che gli stessi fatti possono assumere nelle distinte sedi), postula tuttavia che il procedimento disciplinare debba pur sempre prendere avvio non oltre il termine di 120 giorni dalla pubblicazione del provvedimento che abbia definito in qualsiasi modo la vicenda penale. Né tale conclusione è in contrasto con quanto statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza 28
maggio 1999, n. 197 a proposito della non applicabilità del termine di novanta giorni per la conclusione del procedimento disciplinare avviato a seguito di sentenza penale di condanna resa a seguito di patteggiamento; è evidente, infatti, che in quel caso era oggetto di scrutinio costituzionale la congruità del termine di 90 giorni previsto per la conclusione del procedimento disciplinare previsto dall'art. 9 comma 2 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, nei casi in cui la condanna penale sia conseguente al cosiddetto "patteggiamento" e quindi l'accertamento della penale responsabilità dell'imputato sia mancato per effetto della applicazione della pena su accordo delle parti.

Nel caso in esame, al contrario, viene anzitutto in gioco il diverso termine di avvio (e non di conclusione) del procedimento disciplinare, per come previsto dalla ricordata disciplina speciale; inoltre la richiesta di archiviazione del PM e la conforme decisione del giudice delle indagini preliminari, per quanto si articoli in una fase anteriore al processo, attua un vero e proprio sindacato giudiziale sulla (in)consistenza dei fatti emergenti dalla fase delle indagini ai fini dell'esercizio dell'azione penale; ne consegue che se gli stessi fatti, negativamente scrutinati dal giudice agli effetti penali, vengono assunti a base di una iniziativa disciplinare, quest'ultima non può che avere, come termine iniziale per il suo avvio, quello fissato dalla legge in 120 giorni dalla conclusione della vicenda penale, quale che sia la modalità del suo epilogo.

Ora, la giurisprudenza ha precisato più volte che il predetto termine di avvio del procedimento disciplinare ha natura perentoria, attese le esigenze di certezza del diritto sottese all'istituto nonché alla sua finalitàdi protezione dell'affidamento che il consolidamento dell'elemento temporale è capace di radicare presso l'interessato, ad evitare che questi sia esposto sine die alla valutazione dei medesimi fatti già scrutinati nella sede penale, sia pure ai diversi effetti della eventuale responsabilità disciplinare.

Al Collegio non resta che prendere atto di tali condivisibili conclusioni e rilevare che effettivamente, nel caso oggetto di causa, si è verificata, avuto riguardo alla ricordata scansione temporale degli atti, la violazione del predetto termine di avvio del procedimento disciplinare; con la conseguenza che quest'ultimo, inficiato da tale vizio genetico, non avrebbe potuto mai condurre alla adozione di un provvedimento legittimo, quale che fosse in concreto la effettiva consistenza dei motivi ulteriori dedotti dal ricorrente di primo grado all'indirizzo dell'atto destituorio impugnato.

In tali sensi l'appello va respinto e va confermata, sia pur con diversa motivazione, la impugnata sentenza di accoglimento.

Quanto invece alla richiesta risarcitoria formulata dalla parte appellata nella memoria conclusiva del 12 ottobre 2010, va osservato che la stessa non può essere accolta in questa sede di gravame, atteso che non risulta proposta, sotto tal profilo, alcuna specifica censura avverso la sentenza impugnata in via principale dalla Amministrazione dell'Interno (sentenza che è priva di ogni statuizione in ordine al profilo risarcitorio).

Le spese di lite possono essere compensate tra le parti in considerazione della natura meramente procedimentale del rilevato vizio che ha inficiato il provvedimento sanzionatorio conclusivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.