Cons. Stato Sez. VI, Sent., 29-12-2010, n. 9552
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8031 del 2005, proposto da:
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
-
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIAROMAGNA - BOLOGNA: SEZIONE I n. 1343/2005, resa
tra le parti, concernente SANZIONE DISCIPLINARE DELLA DESTITUZIONE
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di P.C.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 novembre 2010 il Consigliere di
Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l'avv. Petroncini e
l'avv. dello Stato De Felice;
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
E' impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Emilia
Romagna n. 1343 del 7 luglio 2005 che ha accolto il ricorso proposto dal signor
#################### ####################, all'epoca dei fatti
vicesovrintendente della Polizia dello Stato, avverso il provvedimento di
destituzione dal servizio adottato in suo confronto in quanto implicato, in
concorso con altre persone, in un episodio afferente un tentativo di acquisto di
una partita di sostanze stupefacenti.
Assume l'Amministrazione appellante la erroneità della gravata pronuncia che non
correttamente avrebbe rilevato la pretesa omessa autonoma considerazione dei
fatti nella sede disciplinare rispetto a quella occorsa nella sede penale,
nonché la carenza motivazionale e istruttoria della determinazione conclusiva.
Si è costituita in giudizio la appellata per resistere al ricorso e chiederne il
rigetto.
All' udienza del 5 novembre 2010 il ricorso in appello è stato trattenuto per la
decisione.
Il ricorso in appello non merita di essere accolto.
La controversia riguarda la legittimità del provvedimento di destituzione dal
servizio adottato dal Capo della Polizia il 9 luglio 2004 in confronto del
ricorrente di primo grado, all'epoca dei fatti vicesovrintendente della Polizia
di Stato, coinvolto nel 2002 in un episodio di tentativo di acquisto di una
partita di stupefacente; in relazione a tale ultimo episodio il signor
#################### è stato sottoposto a procedimento penale poi conclusosi con
decreto di archiviazione del GIP di Viterbo del 25 settembre 2003, con la
motivazione che "all'esito delle indagini non sono emersi elementi idonei ad
integrare gli estremi del reato predetto". Va premesso che la appellata ha
riproposto i motivi rimasti assorbiti nella sentenza di accoglimento la quale ha
focalizzato il thema decidendum intorno all'omessa autonoma valutazione dei
fatti nella sede disciplinare (rispetto alla vicenda penale conclusasi con
decreto di archiviazione) e nella conseguente insufficiente istruttoria sottesa
al
provvedimento destitutorio adottato in confronto del ricorrente di primo grado.
A parer del Collegio, tuttavia, il ricorso in appello è da respingere per la
ragione che, in via ancor più assorbente rispetto a quanto rilevato dal primo
giudice, appare sussistente la dedotta violazione del termine di 120 giorni per
l'avvio della iniziativa disciplinare.
Ai sensi dell'art. 9, comma 6, del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. n. 737, quando da
un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che
rendano l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza
passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento
disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della
sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza
stessa all'Amministrazione.
Nel caso di specie è accaduto che il procedimento penale nella quale è stato
coinvolto il ricorrente di primo grado si è concluso con decreto di
archiviazione del Gip di Viterbo del 25 settembre 2003, non essendo emersi dalle
indagini elementi idonei ad integrare l'ipotesi di reato di cui all'art. 73 del
d.P.R. 9 ottobr e1990, n. 309. Il decreto di archiviazione chiude la fase delle
indagini penali e preclude l'avvio del processo penale, contenendo un
accertamento (negativo) in ordine alla inconsistenza della notitiacriminis.
L'atto di contestazione degli addebiti, col quale ha preso avvio il procedimento
disciplinare conclusosi con il provvedimento destitutorio, reca invece la data
del 8 marzo 2004: di tal che è palese la violazione del termine perentorio
fissato dalla richiamata disposizione per l'avvio del procedimento disciplinare.
D'altronde, nello stesso atto di contestazione degli addebiti si precisa che a
base della iniziativa disciplinare sono stati assunti gli stessi fatti e gli
elementi istruttori già oggetto del procedimento penale; il che, se appare
incensurabile sul piano dei principi generali (attesa la autonoma rilevanza che
gli stessi fatti possono assumere nelle distinte sedi), postula tuttavia che il
procedimento disciplinare debba pur sempre prendere avvio non oltre il termine
di 120 giorni dalla pubblicazione del provvedimento che abbia definito in
qualsiasi modo la vicenda penale. Né tale conclusione è in contrasto con quanto
statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza 28
maggio 1999, n. 197 a proposito della non applicabilità del termine di novanta
giorni per la conclusione del procedimento disciplinare avviato a seguito di
sentenza penale di condanna resa a seguito di patteggiamento; è evidente,
infatti, che in quel caso era oggetto di scrutinio costituzionale la congruità
del termine di 90 giorni previsto per la conclusione del procedimento
disciplinare previsto dall'art. 9 comma 2 della legge 7 febbraio 1990, n. 19,
nei casi in cui la condanna penale sia conseguente al cosiddetto
"patteggiamento" e quindi l'accertamento della penale responsabilità
dell'imputato sia mancato per effetto della applicazione della pena su accordo
delle parti.
Nel caso in esame, al contrario, viene anzitutto in gioco il diverso termine di
avvio (e non di conclusione) del procedimento disciplinare, per come previsto
dalla ricordata disciplina speciale; inoltre la richiesta di archiviazione del
PM e la conforme decisione del giudice delle indagini preliminari, per quanto si
articoli in una fase anteriore al processo, attua un vero e proprio sindacato
giudiziale sulla (in)consistenza dei fatti emergenti dalla fase delle indagini
ai fini dell'esercizio dell'azione penale; ne consegue che se gli stessi fatti,
negativamente scrutinati dal giudice agli effetti penali, vengono assunti a base
di una iniziativa disciplinare, quest'ultima non può che avere, come termine
iniziale per il suo avvio, quello fissato dalla legge in 120 giorni dalla
conclusione della vicenda penale, quale che sia la modalità del suo epilogo.
Ora, la giurisprudenza ha precisato più volte che il predetto termine di avvio
del procedimento disciplinare ha natura perentoria, attese le esigenze di
certezza del diritto sottese all'istituto nonché alla sua finalitàdi protezione
dell'affidamento che il consolidamento dell'elemento temporale è capace di
radicare presso l'interessato, ad evitare che questi sia esposto sine die alla
valutazione dei medesimi fatti già scrutinati nella sede penale, sia pure ai
diversi effetti della eventuale responsabilità disciplinare.
Al Collegio non resta che prendere atto di tali condivisibili conclusioni e
rilevare che effettivamente, nel caso oggetto di causa, si è verificata, avuto
riguardo alla ricordata scansione temporale degli atti, la violazione del
predetto termine di avvio del procedimento disciplinare; con la conseguenza che
quest'ultimo, inficiato da tale vizio genetico, non avrebbe potuto mai condurre
alla adozione di un provvedimento legittimo, quale che fosse in concreto la
effettiva consistenza dei motivi ulteriori dedotti dal ricorrente di primo grado
all'indirizzo dell'atto destituorio impugnato.
In tali sensi l'appello va respinto e va confermata, sia pur con diversa
motivazione, la impugnata sentenza di accoglimento.
Quanto invece alla richiesta risarcitoria formulata dalla parte appellata nella
memoria conclusiva del 12 ottobre 2010, va osservato che la stessa non può
essere accolta in questa sede di gravame, atteso che non risulta proposta, sotto
tal profilo, alcuna specifica censura avverso la sentenza impugnata in via
principale dalla Amministrazione dell'Interno (sentenza che è priva di ogni
statuizione in ordine al profilo risarcitorio).
Le spese di lite possono essere compensate tra le parti in considerazione della
natura meramente procedimentale del rilevato vizio che ha inficiato il
provvedimento sanzionatorio conclusivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo
respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.