Divieto sosta. Responsabilità civile
RESPONSABILITA' CIVILE
Cass. civ. Sez. III, Sent., 23-03-2011, n. 6685
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
S.N.M. convenne in giudizio innanzi al Pretore di Milano il Comune della stessa
città chiedendone la condanna al rimborso delle spese e al risarcimento dei
danni da lui subiti per effetto di due ingiunzioni di pagamento emesse nei suoi
confronti per violazioni di norme del codice della strada, ingiunzioni impugnate
e dichiarate nulle dal medesimo Pretore con sentenza del 7 maggio 1993.
Il giudice adito rigettò la domanda.
Interposto gravame, il Tribunale lo respinse.
La decisione di seconde cure venne tuttavia cassata dal Supremo Collegio con
sentenza n. 7898 del 30 maggio 2002. Ritenne la Corte che il Tribunale di
Milano, anzichè valutare l'eventuale sussistenza nel caso concreto dei requisiti
configuranti un illecito, ex art. 2043 cod. civ., aveva erroneamente statuito
che thema decidendum era il pagamento delle spese processuali relative al
giudizio di opposizione all'ingiunzione.
Riassunta la causa, la Corte d'appello di Milano, in sede di rinvio, ha
nuovamente rigettato l'appello.
Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione S.N. M. formulando due
motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Milano.
Motivi della decisione
1.1 Col primo motivo l'impugnante denuncia violazione dell'art. 2909 cod. civ.,
nonchè vizi motivazionali. Le critiche hanno ad oggetto la portata attribuita
dal giudice di merito alla sentenza del Pretore di Milano n. 3817 del 1993, che
aveva annullato le ingiunzioni di pagamento. Secondo l'esponente, contrariamente
all'assunto della Corte territoriale, tale pronuncia avrebbe positivamente
accertato l'infondatezza delle contestate infrazioni.
1.2 Col secondo mezzo il ricorrente lamenta incongruità e contraddittorietà
della motivazione su un punto decisivo della controversia. Deduce che le
affermazioni del giudice di merito volte a sostenere la liceità del
comportamento della polizia urbana, sulla base del rilievo che, all'epoca dei
fatti, la sosta nello spazio ove era stata parcheggiata l'autovettura, era
effettivamente vietata, ignorano il giudicato formatosi sull'affermazione,
contenuta nella sentenza di annullamento delle contravvenzioni, secondo cui alla
data della contestata violazione risultava in vigore l'ordinanza n. 31303
dell'11 giugno 1985, relativa a zona diversa da quella in cui l'auto dell'attore
era parcheggiata.
2. Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro
evidente connessione, sono infondate per le ragioni che seguono.
Nel motivare il suo convincimento il giudice di merito ha osservato che la
positiva valutazione della responsabilità extracontrattuale della P.A. per
esercizio illegittimo della funzione pubblica, presuppone la verifica, in
concreto, del requisito soggettivo del dolo o della colpa, richiesto, quale
elemento costitutivo dell'illecito aquiliano dall'art. 2043 cod. civ.,
segnatamente precisando che il relativo accertamento non può essere
automaticamente correlato alla dichiarata illegittimità del provvedimento
amministrativo. In tale prospettiva, rilevato che il procedimento di opposizione
alla ingiunzione si era svolto nella contumacia dell'Ente territoriale ed era
approdato a un esito positivo solo per la mancanza in atti dell'ordinanza
comunale in data 14 dicembre 1990, n. 36226, vigente all'epoca delle contestate
infrazioni - ordinanza che effettivamente sanciva il divieto di sosta, salvo che
per i veicoli della Polizia di Stato - ha rilevato l'insussistenza di elementi
per
potere affermare l'illiceità del comportamento dei Vigili Urbani. Ha aggiunto
che l'attestazione contenuta nei verbali da questi redatti - secondo cui
l'autovettura dello S. si trovava nello spazio riservato alla Polizia in luogo
in cui erano esposti i cartelli indicatori del divieto - faceva piena prova fino
a querela di falso e non poteva, pertanto, ritenersi smentita dagli esiti
dell'istruttoria espletata al riguardo.
3. Rileva il collegio che, contrariamente all'assunto dell'impugnante, gli
schemi dogmatici applicati dalla Corte d'appello nella formazione del suo
convincimento sono logicamente e giuridicamente corretti.
Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, dal
quale non v'è ragione di discostarsi, che l'affermazione della responsabilità
della P.A., ai sensi dell'articolo 2043 cod. civ., presuppone il verificarsi di
un evento dannoso eziologicamente connesso a un comportamento caratterizzato da
dolo o da colpa. In tale prospettiva la mera illegittimità di un atto
amministrativo, ancorchè accertato con sentenza passata in giudicato, non
connota automaticamente in termini di illiceità la condotta
dell'Amministrazione, occorrendo pur sempre la verifica della ricorrenza di
tutti gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano (confr. Cass. civ. 8
marzo 2010, n. 5561; Cass. civ. 4 luglio 2006, n. 591267).
Tale approccio consente di liquidare come del tutto inconsistente la dedotta
violazione del giudicato esterno pretesamente nascente dalla pronuncia del
Pretore di annullamento delle contestate infrazioni, assunto intorno al quale
ruotano i due motivi di ricorso.
E' sufficiente all'uopo rilevare che il vincolo del giudicato opera nelle
ipotesi - e solo nelle ipotesi - in cui due giudizi, oltre a intercorrere tra le
medesime parti, si riferiscano, altresì, al medesimo rapporto giuridico, di
talchè uno di essi costituisca la indispensabile premessa logica per la
statuizione relativa all'altro (confr. Cass. civ., 20 gennaio 2010, n. 857).
Sennonchè quel che difetta, nella fattispecie, è proprio l'identità del rapporto
sottoposto alla cognizione del giudice dell'infrazione, e del giudice della
responsabilità aquiliana, discutendosi, nell'un caso, della ricorrenza dei
presupposti per l'annullamento di sanzioni amministrative correlate a pretese
violazioni del Codice della Strada, e nell'altro di un damnum iniura datum e
cioè di una condotta dolosa o colposa di agenti della pubblica amministrazione,
causativa di un danno ingiusto di cui la stessa deve rispondere. Ed è a dir poco
ovvio che l'apprezzamento della legittimità della contestata infrazione
obbedisce a criteri deduttivi e probatori che nulla hanno a che vedere con le
più complesse verifiche da espletarsi nel giudizio di responsabilità. In tale
prospettiva l'accertamento della effettiva sussistenza delle violazioni a suo
tempo addebitate all'automobilista costituisce passaggio obbligato nell'indagine
sulla effettiva sussistenza dei lamentati danni, non
meno che di quella sull'elemento psicologico dell'illecito.
Ne deriva che correttamente: il giudice di merito ha rivalutato l'intera
vicenda, approdando alla convinzione, congruamente motivata, della infondatezza
della domanda attrice.
Per le ragioni esposte il ricorso deve essere integralmente rigettate.
Il ricorrente rifonderà alla controparte le spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.000,00 (di cui Euro 200,00 per spese),
oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge.