T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 17-01-2011, n. 80
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con il ricorso principale il ricorrente, già sottufficiale della Guardia di
Finanza congedatosi con il grado di maresciallo aiutante, impugna il
provvedimento del 10. 9. 2009 con cui gli è stata inflitta la sanzione
disciplinare della perdita del grado per un comportamento (rivelazione ad una
azienda della imminenza di una verifica fiscale programmata dal Corpo) commesso
quando era ancora in servizio.
Con il ricorso per motivi aggiunti il ricorrente impugna anche il verbale della
Commissione di disciplina del 17. 8. 2009, che era stato propedeutico
all'emanazione del provvedimento impugnato, conosciuto dal ricorrente solo in
corso di giudizio.
I motivi che sostengono il ricorso principale sono i seguenti:
1. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell'art. 71 l. 559/54, o
manifesta illegittimità costituzionale dello stesso, in quanto la norma in esame
consente di ricusare un componente della Commissione giudicatrice nel termine di
giorni 2 decorrenti dal momento in cui si è ricevuto comunicazione della
convocazione della Commissione di disciplina. Ma, nel caso in esame, la causa di
ricusazione è emersa dopo la convocazione della commissione di disciplina, in
quanto il ricorrente ha ricusato il Comandante della Commissione perché questi -
dopo la comunicazione della convocazione della Commissione di disciplina - gli
aveva telefonato più volte al domicilio anticipandogli che vi sarebbe stata una
valutazione negativa del suo caso. Il ricorrente opina che in caso come quello
di specie deve essere consentita la ricusazione anche dopo i 2 gg. decorrenti
dalla convocazione della Commissione di disciplina, altrimenti la norma sarebbe
incostituzionale;
2. il provvedimento sarebbe illegittimo nel merito in quanto avrebbe applicato
una misura eccessiva rispetto al comportamento commesso ed avrebbe dovuto tenere
conto, oltre che della sentenza di condanna, anche della diminuita capacità
d'intendere del ricorrente, dei pregressi di buona condotta ed altro.
I motivi che sostengono il ricorso per motivi aggiunti contro il verbale della
Commissione di disciplina attengono, invece, alla mancata ammissione delle prove
testimoniali dedotte dal ricorrente in sede disciplinare (che voleva sentire 18
testi, quasi tutti suoi ex precedenti comandanti o colleghi), mancanza di
istruttoria e mancato rispetto del diritto alla difesa, nonché mancata autonoma
motivazione.
Si costituiva in giudizio l'Avvocatura dello Stato, che deduceva l'infondatezza
dei motivi di ricorso ed allegava nota di deposito documenti.
Nel ricorso principale era formulata altresì istanza cautelare di sospensione
del provvedimento impugnato.
Con ordinanza del 18. 12. 2009, n. 794 il Tribunale respingeva l'istanza per
motivi attinenti il periculum in mora.
Il ricorso veniva discusso nel merito nella pubblica udienza del 15. 12. 2010,
all'esito della quale veniva trattenuto in decisione.
Motivi della decisione
I. Il ricorso principale è infondato, il ricorso per motivi aggiunti è
inammissibile.
II. Il primo motivo del ricorso principale, in cui si deduce violazione o
manifesta incostituzionalità della norma dell'art. 71 l. 554/99, è infondato.
E' evidente che una norma quale quella dell'art. 71 l. 554/99 - che impedisce di
presentare istanze di ricusazione fondate su presupposti sorti dopo la
comunicazione della composizione della Commissione di disciplina - si pone in
aperto contrasto con i parametri del diritto di difesa tutelato ex art. 24 Cost..
Non manifestamente infondato perciò è il dubbio di legittimità costituzionale di
tale disposizione presentato dal ricorrente.
Il dubbio di costituzionalità però, se è non manifestamente infondato, non è
però rilevante nel giudizio a quo.
Il problema di rilevanza nel giudizio a quo nasce dal fatto che dalla lettura
del ricorso emerge che la causa di ricusazione è emersa il 24. 7. 2009 (data
della prima telefonata) mentre la istanza di ricusazione è stata presentata il
6. 8. 2009, ovvero 13 giorni dopo l'insorgere della stessa.
Quindi, se anche si ottenesse dalla Corte Costituzionale un intervento che
espunga dalla norma di legge la previsione della decorrenza del termine dalla
conoscenza della composizione della Commissione, e lo sostituisca con un più
costituzionalmente orientato termine che decorre dalla conoscenza del fatto da
cui dipende la ricusazione, ciò comunque non sarebbe sufficiente per accogliere
il motivo di ricorso presentato dal ricorrente in quanto sarebbe stato comunque
violato il limite temporale di 2 gg. previsti dalla norma in questione, essendo
stata proposta l'istanza 13 gg. dopo il momento in cui essa era sorta.
Né si può pensare di presentare una questione di costituzionalità doppia
(attenente cioè sia alla decorrenza del termine dalla conoscenza del fatto, sia
alla congruità di un termine così breve quale quello dei 2 gg.), perché non è
irrazionale che il subprocedimento attivato dalla ricusazione si concluda in
termini brevissimi, posto che esso si inserisce in un giudizio che a sua volta
ha suoi propri termini da rispettare.
D'altronde nel processo penale (che resta procedura che comporta conseguenze più
grave di un semplice procedimento disciplinare), il termine per proporre istanza
di ricusazione è di gg. 3 (decorrenti dalla conoscenza del fatto); ne consegue
che non può sorgere dubbio di costituzionalità sulla previsione di legge che nel
giudizio disciplinare dell'ordinamento militare prevede un termine di gg. 2.
L'intervento costituzionale richiesto pertanto non potrebbe incidere sulla
soluzione del giudizio a quo, e come tale la questione di costituzionalità
proposta non è rilevante.
III. E' infondato anche il secondo motivo di ricorso, in cui si deduce che la
sanzione irrogata sarebbe eccessiva e non proporzionata ai fatti.
Sulla vicenda che ha interessato il ricorrente, e che è alla base del
provvedimento disciplinare, va precisato anzitutto che a differenza di quanto
sembrerebbe emergere tra le righe dalla lettura del ricorso, nel condannarlo per
rivelazione di segreto d'ufficio, il Tribunale non ha ritenuto il ricorrente
soggetto semiimputabile, perché ha rilevato (del tutto correttamente) che non
v'è nesso tra la supposta patologia di depressione di cui questo soffriva ed il
fatto di reato commesso.
Sulle ragioni, poi, per cui il ricorrente, perfettamente capace di intendere e
di volere, avrebbe deciso di divulgare a terzi i dati relativi ad una verifica
fiscale esistono varie versioni: quella della sentenza penale è la più pesante
(secondo il gup, il ricorrente avrebbe sollecitato il coimputato Legato a
mandare l'esposto contro la società che ha attivato la verifica; messa in
cantiere la verifica fiscale, avrebbe passato l'informazione al Legato per poi
estorcere denaro alla società controllata); quella data dal ricorrente durante
il procedimento disciplinare è la più insolita (avrebbe passato i nomi delle
aziende al Legato perché riteneva che la decisione dei suoi Comandanti di
disporre subito una verifica a carico dell'azienda potesse essere stata una
sciocchezza che avrebbe compromesso il lavoro d'indagine, il che - oltre che
insolito - presenta ulteriori profili di gravità per un ordinamento militare per
motivi di contestazione della gerarchia); la Commissione di
disciplina non crede al ricorrente, ma fa capire tra le righe che ritiene
azzardata quella ipotizzata dal gup e si limita ad esaminare il fatto nella sua
oggettività senza prendere posizione sul movente.
Prima di trarre le conclusioni da queste due premesse, va anche precisato in
diritto che le sanzioni di stato tra cui poteva scegliere la Commissione di
disciplina sono le seguenti:
a) la sospensione disciplinare dall'impiego, di cui all'articolo 21;
b) la cessazione dalla ferma volontaria o dalla rafferma per motivi
disciplinari, di cui all'articolo 40, lettera c);
c) la sospensione disciplinare dalle attribuzioni del grado, prevista
dall'articolo 48;
d) la perdita del grado per rimozione, di cui al primo comma, numero 6,
dell'articolo 60" (art. 63 l. 599/54; tutta la legge è stata sostituita adesso
dal nuovo ordinamento militare dettato con l. 66/2010).
Il caso del ricorrente però era complicato dalla circostanza che lo stesso si
era collocato in pensione prima del giudizio della Commissione di disciplina, e
che quindi in realtà non erano possibili sanzioni di corpo ed in concreto
l'unica sanzione di stato a lui applicabile sarebbe stata l'ultima (poi
effettivamente applicata).
In questo contesto di fatto e di diritto il ricorrente vorrebbe fosse dichiarato
che la sanzione applicata era eccessiva e non proporzionata ai fatti, ma, in un
caso analogo (pur se senz'altro più grave per tipologia di reato) la
giurisprudenza amministrativa ha dettato il seguente principio di diritto
precisando che "la sanzione della perdita del grado comminata ad un
sottufficiale della Guardia di finanza condannato per concussione, è prevista
dall'art. 40, l. 3 agosto 1961 n. 833, e la sua irrogazione non è soggetta
all'applicazione del principio di proporzionalità, indicato dall'art. 60 solo
per le sanzioni disciplinari di corpo e non anche per quelle di status" (CdS, IV,
5475/08).
In motivazione il Consiglio di Stato afferma che "il potere di selezionare una
determinata sanzione disciplinare presuppone la previsione ordinamentale di più
sanzioni adottabili per un determinato comportamento, ed a tale situazione
normativa si riferisce il principio affermato dalla giurisprudenza, per il quale
costituisce eccesso di potere la mancata valutazione relativa alla compatibilità
dei fatti commessi rispetto alla prosecuzione del rapporto, che viene invece ad
estinguersi per effetto della sanzione espulsiva (cfr. Cons. di Stato, sez. IV,
n. 1397/1998). Il medesimo rilievo non è però formulabile nell'ambito
complessivo dell'art. 40 n. 6, poiché quest'ultimo commina la medesima sanzione
della perdita del grado per ciascuno dei comportamenti ivi previsti (violazione
del giuramento, altri motivi disciplinari, ovvero per comportamento comunque
contrario alle finalità del Corpo o alle esigenze di sicurezza dello Stato). Ha
invece natura discrezionale, e soggiace perciò
all'applicazione del generale principio della motivazione, l'apprezzare se un
determinato comportamento sia contrario alle finalità del Corpo; tale verifica
trova però l'unico limite nel dovere di fornire una adeguata motivazione sulle
ragioni per le quali il comportamento risulti affetto da detta contrarietà,
rientrando in quelle autonome valutazioni compiute dall'amministrazione militare
che rivestono valenza ampiamente discrezionale e non sindacabile, salvo che
risultino affette da vizi di logicità sviamento o carenza dei presupposti (per
il principio v., ex multis, Cons. di Stato, IV, n. 2189/2007). Nel caso in
esame, tuttavia, l'aver basato la sanzione su una condanna per reato
"qualificato" permette, in sostanza, di agevolmente considerare la condotta come
oggettivamente contraria alle finalità di un Corpo, quale la Guardia di Finanza,
istituzionalmente preposto e specializzato nella repressione dei reati dagli
aspetti finanziari. Ed in effetti tali valutazioni possono
ritenersi sufficientemente compiute dal provvedimento impugnato, ove ha
considerato non solo la grave strumentalizzazione delle funzioni rivestite, ma
ha osservato che il comportamento si è posto in oggettivo contrasto col dovere
di svolgere un'attività di servizio in maniera imparziale. Ad avviso del
Collegio, pertanto, la natura del fatto accertato e le motivazioni che lo hanno
rapportato alla sanzione irrogata non integrano né una sproporzione tra
presupposti e conseguenze né un difetto logico delle valutazioni che li hanno
posti in relazione".
In definitiva, ciò che deve essere verificato è che "il giudizio compiuto
dall'Amministrazione, pertanto, oltre a basarsi su una ricostruzione delle
circostanze fattuali operata da una fonte particolarmente attendibile qual è la
sentenza di condanna penale, è frutto di un processo valutativo del tutto logico
e coerente: non si capisce dunque come il ricorrente possa lamentare il difetto
di istruttoria, l'erronea ricostruzione dei fatti e l'erroneità della
motivazione contenuta nel provvedimento impugnato, anche considerando che, a
fronte di una condotta tanto riprovevole che di per sé giustifica la misura
espulsiva, nessun rilievo possono avere i suoi precedenti di servizio
asseritamente ineccepibili (T.a.r. Lombardia, Milano, sez. III, 3256/2010).
Sembra quasi che in questa ultima decisione citata il T.a.r. Milano abbia
risposto alle obiezioni del ricorrente perché ha confutato esattamente le
argomentazioni che questi ha proposto in questo giudizio.
Ciò che pertanto deve essere conclusivamente affermato è che in sede di
procedimento disciplinare, rispetto alle violazioni commesse da parte di un
pubblico dipendente (nella specie militare della guardia di finanza), il giudice
amministrativo non può entrare nel merito della valutazione operata
dall'amministrazione (T.a.r. Sicilia, Catania 2031/04).
IV. Si diceva che il ricorso per motivi aggiunti è inammissibile.
E' stato impugnato infatti il verbale della Commissione di disciplina conosciuto
in corso di processo.
Ma il verbale della Commissione di disciplina è atto endoprocedimentale privo di
per sé di efficacia lesiva (Tar Lombardia Milano, III, 3246/2010: il
procedimento volto alla comminazione di sanzioni disciplinari al personale
appartenente ai ruoli della p.a., e, quindi, anche al Corpo della Guardia di
finanza, è un procedimento unitario; la deliberazione della Commissione di
Disciplina non costituisce, infatti, il provvedimento conclusivo di una autonoma
fase procedimentale ma, al contrario, esso è l'ultimo atto della fase
istruttoria, prodromico all'emanazione del provvedimento finale che irroga la
sanzione); l'unico provvedimento concretamente lesivo era quello conclusivo del
procedimento emesso dal Comandante (ed impugnato nel ricorso principale).
Ne consegue l'inammissibilità degli argomenti in esso proposti (su cui la parte
è stata avvertita in udienza ex art. 73 co. 3 c.p.a.).
V. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di
Brescia, I sezione interna, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in
epigrafe proposto:
RESPINGE il ricorso principale.
DICHIARA inammissibile ex art. 35, co. 1, lett. a), c.p.a., il ricorso per
motivi aggiunti.
CONDANNA il ricorrente al pagamento in favore dell'amministrazione resistente
delle spese di lite, che determina in euro 1.000, oltre i.v.a. e c.p.a..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.