IMPIEGO PUBBLICO - INVALIDI
Cons. Stato Sez. IV, Sent., 03-12-2010, n. 8527
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con sentenza in forma succintamente motivata, n. 292/2005, il TAR di
#################### ha respinto il ricorso dell'appellante avverso il diniego
dell'Amministrazione penitenziaria in ordine alla sua istanza di trasferimento
ai sensi della legge n. 104/1992, fondato sull'inesistenza del requisito della
continuità ed attualità dell'assistenza al momento della proposizione nella
domanda (art. 33, quinto comma, della legge n. 104/1992, come modificato
dall'art. 19 della legge n. 53/2000), atteso che il ricorrente svolge servizio a
#################### e la nonna invalida handicappata risiede a
####################, in provincia di ####################.
La sentenza ha motivato il rigetto del ricorso, richiamando la normativa
primaria e la giurisprudenza di essa applicativa, sulla base della quale si
evince il principio che l'accoglimento della richiesta di trasferimento del
pubblico dipendente nella sede di lavoro più vicina al proprio domicilio,
formulata ai sensi dell'art. 33 comma 5 della leggi 5 febbraio 1992, n. 104,
presuppone la rigorosa dimostrazione, da parte del lavoratore, della continuità
dell'assistenza al parente handicappato: circostanza, questa, smentita, a detta
del TAR, dalla rilevante distanza tra sede di lavoro e residenza del parente
disabile, la prima trovandosi in Calabria e la seconda in Sicilia.
Avverso la predetta sentenza ha proposto appello, con istanza cautelare, il
dipendente, deducendo violazione dell'art. 33 L. n. 104/1992.
In particolare, l'appello lamenta che con la sentenza impugnata il Giudice di
primo grado si sarebbe discostato dai criteri da lui stesso utilizzati per
fattispecie analoghe, rigettando la domanda sul presupposto illogico e
contraddittorio che la distanza intercorrente tra la sede di servizio del
ricorrente e quella di residenza del disabile, impedisse di fatto di poter dare
per acquisito il requisito della continuità dell'assistenza. Al contrario -
osserva ancora l'appellante - tra la sede di servizio del ricorrente
(####################) e quE1la di residenza del disabile (####################
- CT) intercorre una distanza di non più di 180 Km, percorribili in pochissime
ore con un normale autoveicolo.
Il dato temporale e spaziale non poteva essere, quindi, idoneo a giustificare un
giudizio di assenza del requisito della continuità dell'assistenza, tanto più
che in senso diametralmente deponevano, a detta del dipendente, tutte le
attestazioni allegate al ricorso, che invece evidenziavano la continuità
dell'assistenza al disabile, come la dichiarazione sostitutiva dell'atto di
notorietà resa dal ricorrente e la certificazione rilasciata dal Comando della
Polizia Municipale di ####################, facente fede sino a querela di
falso.
Con ordinanza n. 4501/2005 questa Sezione ha respinto, con chiara ed esauriente
(seppur necessariamente sintetica) motivazione l'appello cautelare.
Alla pubblica udienza del 5 novembre 2010 la causa è stata trattenuta in
decisone.
Motivi della decisione
1 - L'appello è palesemente infondato, come peraltro già rilevato ed anticipato
da questa Sezione con la chiarissima ordinanza n. 4501/2005 di rigetto
dell'istanza cautelare d'appello.
Preliminarmente, vale ricordare che la legge quadro per l'assistenza,
l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, n. 104 del
521992, ha stabilito, all'articolo 33, comma 5 (come novellata dalla legge n.
53/2000), che il genitore o il familiare lavoratore pubblico o privato, che
assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato
ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio
domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
La norma va letta ed applicata con il giusto rigore, che consenta di conciliare
i contrapposti interessi, pubblici e privati, in essa coinvolti ed eviti i
consueti e ripetuti abusi del " diritto " da essa riconosciuto, con
l'invenzione, ad esempio, di situazioni di assistenza soggettivamente o
oggettivamente inesistenti o drammatizzate, ovvero l'improvvisa (e sospetta)
riscoperta di sentimenti di solidarietà familiare.
2 - La predetta esigenza di un criterio ermeneutico di razionale severità trova
riscontro, anzitutto, nei reiterati interventi della Corte costituzionale, la
quale, pur riconoscendo il valore primario della solidarietà e della tutela dei
soggetti portatori di handicap, ha, tuttavia ed al contempo, dato rilievo alla
discrezionalità del Legislatore nell'individuare gli strumenti normativi
finalizzate a garantire la condizione del portatore di handicap mediante la
interrelazione e la integrazione dei valori espressi dal complessivo disegno
costituzionale (cfr. Corte costituzionale, 22 luglio 2002, n. 372; Corte cost.
n. 406 del 1992; id., n. 325 del 1996; n. 246 del 1997; n. 396 del 1997; cfr.
anche Cass., sez. un., 9 luglio 2009, n. 16102).
3 - La limitazione del " diritto " riconosciuto dalla legge al lavoratore che
assista un parente invalido, in ragione della concomitanza e concorrenza di
valori di rilievo costituzionale, quali i principi distintamente espressi dagli
artt. 97 (buon andamento della P. A.) e 41 (libertà di iniziativa economica)
Cost., si manifesta espressamente, nel citato art. 33, con riguardo alla scelta
della sede di lavoro all'atto dell'assunzione, ovvero anche in via di successivo
trasferimento a domanda, con l'inciso "ove possibile"; inciso che vale a
configurare una subordinazione del predetto " diritto " alla condizione che il
suo esercizio non comporti una lesione eccessiva delle esigenze organizzative ed
economiche del datore di lavoro privato, ovvero non determini un danno per la
collettività compromettendo il buon andamento e l'efficienza della pubblica
amministrazione (cfr. Corte Cost. n. 372 del 2002; Cass., sez. un., 9 luglio
2009, n. 16102; sez. un., n. 7945 del 2008; Cass. n. 1396
del 2006; id., n. 8436 del 2003; id., n. 12692 del 2002).
4 - La stessa finalità di contemperamento di opposti interessi privati e
pubblici, tutti parimenti rapportabili a valori di rango costituzionale, permane
pur dopo la novella ampliativa del 2000.
Vale ricordare che con la sentenza della Corte Costituzionale n. 325 del 1996
che ha dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale della
L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5 sotto il profilo del mancato riconoscimento
del diritto al lavoratore non convivente, il giudice delle leggi, pur
sottolineando l'importanza dei valori costituzionali inerenti la protezione del
portatore di handicap, ha tuttavia rilevato che "seguendo l'impostazione del
giudice a quo, si rischia di dare alla norma un rilievo eccessivo, perché non è
immaginabile che l'assistenza al disabile si fondi esclusivamente su quella
familiare, sì che il legislatore ha, con la Legge Quadro n. 104, ragionevolmente
previsto - quale misura aggiuntiva - la salvaguardia dell'assistenza in atto,
accettata dal disabile, al fine di evitare rotture traumatiche, e dannose, della
convivenza".
La legge n. 53 del 2000 ha novellato il testo originario dell'articolo 33,
togliendo il requisito della convivenza ma lasciando intatti gli altri.
Il che significa che se il Legislatore, nell'esercizio della sua riconosciuta
discrezionalità, ha ampliato, entro ristretti limiti, l'art. 33 della legge n.
104, tali limiti non possono essere superati mediante una interpretazione
estensiva della novellata previsione, che intenda affievolire gli altri
fondamentali requisiti della preesistenza (in casi di prima assegnazione di
sede), della continuità e della esclusività.
Occorre, infatti, procedere ad una lettura della norma costituzionalmente
orientata, considerato che proprio il precedente assetto normativo è stato
ritenuto, come detto, conforme alla Costituzione (cfr.. Cass., sez. lav., 22
aprile 2010, n. 9557)
5 - Lo stesso criterio interpretativo polivalente, che contempera esigenze di
solidarietà, razionalità e rigore è ripetutamente adoperato dalla giurisprudenza
di questo Consiglio.
Si è infatti rilevato che la legge n. 104, al di là di una terminologia
enfatica, non configura in realtà un vero diritto soggettivo di precedenza nei
trasferimenti del familiare lavoratore, bensì un semplice interesse legittimo a
scegliere la propria sede di servizio ove possibile, cioè compatibilmente con le
necessità e le realtà obiettive organizzative ed operative della P. A.. (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, n. 565 del 2005 e Comm. spec., 19 gennaio 1998, n. 394).
Sul piano operativo, pertanto, la pretesa del lavoratore che assiste con
effettiva continuità un parente handicappato alla scelta della sede di lavoro
deve trovare accoglimento solo se risulta compatibile con le specifiche esigenze
funzionali dell'Amministrazione di appartenenza.
È stato, infine, precisato (CdS, Sez. VI, 30 aprile 2002, n. 2319) che, ai fini
del riconoscimento del diritto alla precedenza nei procedimenti di mobilità
previsto dall'art. 33, è necessario che l'handicap di cui soffre il congiunto
presenti carattere di particolare gravità e necessiti di prestazioni
assistenziali permanenti, incompatibili con sede distante, e che presupposti per
l'applicazione del beneficio in parola, sono la continuità dell'assistenza da
lui prestata e la mancanza di altri familiari residenti nello stesso Comune in
cui risiede il disabile (cfr. anche Cons. stato, sez. IV, 22 febbraio 2006, n.
793).
6 - Quanto al criterio di effettività, che vale ad evitare la precostituzione di
situazioni artatamente e fraudolentemente invocate per ottenere trasferimenti
lesivi del principio di imparzialità, anch'esso è stato applicato con estremo
rigore, laddove, ad esempio, si è fissato il principio di preesistenza della
situazione di assistenza al momento dell'assunzione (ex multis: Cons. Stato,
sez. IV, 24 marzo 2010, n. 1733); ovvero quando ha fornito un'interpretazione
rigorosa del requisito della continuità ed esclusività dell'assistenza, cioè
della mancanza di altri supporti parentali, da correlarsi a situazioni o
condizioni di carattere oggettivo, concernenti eventualmente anche stati
psicofisici connotati da una reale gravità, idonei a giustificare
l'indisponibilità di altri familiari a prestare la loro opera di sostegno al
proprio parente invalido solo nella misura in cui risultino tali da
concretizzare un'effettiva esimente da vincoli di assistenza familiare, nel
contemperamento delle posizioni dei soggetti interessati. In mancanza di tali
situazioni di comprovata ed oggettiva impossibilità a fornire sostegno al
proprio familiare da parte di parenti ulteriori rispetto a chi richieda i
benefici della legge n. 104/1992, questa finirebbe per snaturarsi e configurarsi
- in spregio alle finalità solidaristiche che costituzionalmente la supportano -
come strumento per atteggiamenti egoistici o opportunistici (cfr. Cons. St.,
sez. IV, 15 febbraio 2010, n. 825).
7 - Al rigore sostanziale che connota l'applicazione della legge n. 104 del 1992
deve fare riscontro quello processuale e probatorio.
Infatti, si è stabilito, da parte della giurisprudenza di questo Consiglio, che
ai fini della fruizione del beneficio del trasferimento per prestare assistenza
ad un congiunto disabile, spetta al dipendente pubblico dimostrare, mediante
dati o riferimenti oggettivi, che altri parenti e affini non siano in grado o
comunque non siano motivatamente e documentatamente disponibili ad occuparsi
dell'assistenza del disabile. In particolare, si è precisato che detta
dimostrazione non può essere data mediante semplici dichiarazioni di carattere
formale, attestanti impegni di vita ordinari e comuni, ma necessita della
produzione di dati ed elementi certi e di carattere oggettivo (Cons. Stato, sez.
IV, 21 maggio 2010, n. 3237; sez. IV, 2 marzo 2010, n. 1219; sez. IV, 25 giugno
2010, n. 4115).
8 - Con riferimento al caso di specie, l'amministrazione ha ritenuto che
mancasse il requisito della continuità assistenziale, mancanza comprovata dalla
distanza tra sede di servizio e residenza della nonna invalida.
Nello stesso senso si è pronunciata l'ordinanza emessa da questo Consiglio in
sede cautelare per rigettare l'istanza di sospensiva della sentenza di primo
grado formulata dal dipendente.
Invero - come peraltro già osservato da questa Sezione per una vicenda per molti
aspetti analoga alla presente controversia - deve convenirsi con l'appellata
sentenza nell'osservazione secondo la quale non è verosimile né credibile,
secondo le regole della normale esperienza, che un dipendente, considerata la
distanza fra la sede di servizio ed il luogo di residenza del congiunto, presti
a quest'ultimo assistenza con continuità (Cons. Stato, sez. VI, 23 gennaio 2007,
n. 234).
9 - Lo stesso appellante, d'altronde, si rende conto dell'esistenza del dato
oggettivo della distanza per sminuirne, tuttavia, la portata, osservando che la
distanza tra la propria sede di servizio e quella di residenza della nonna
disabile, non impedisce, di fatto, di poter dare per acquisito il requisito
della continuità dell'assistenza, tenuto conto che tra la sede di servizio
(####################) e que1la di residenza del disabile (provincia di
C####################) intercorre una distanza di " non più di 180 Km ".
Si tratta di affermazione azzardata, la quale non tiene conto del dato oggettivo
che fra andata e ritorno da e per la sede di servizio non può intercorrere un
tempo inferiore almeno alle quattro ore: tempo evidentemente inconciliabile con
una effettiva ed utile assistenza giornaliera.
A ulteriore supporto della tesi della continuità, l'appellante, come esposto in
punto di fatto, invoca e richiama le attestazioni allegate al ricorso di primo
grado, che, a suo dire, avrebbero attestato la continuità dell'assistenza alla
nonna disabile, come la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà resa
dal ricorrente e la certificazione rilasciata dal Comando della Polizia
Municipale di ####################, facente fede sino a querela di falso.
Quanto alla prima, si tratta evidentemente di dichiarazione inidonea, come già
statuito dalla giurisprudenza richiamata sub p. 7, ad essere oggetto di atto di
notorietà, riguardando un dato di diretto interesse del dichiarante.
Quanto alla certificazione comunale, essa depone proprio in senso contrario
all'aspirazione dell'appellante, ivi attestandosi soltanto una assistenza "
periodica ", termine che, stando ad indicare una frequenza intervallata da
periodi di assenza, è tutto l'opposto di " continuativa ".
10 - Ritiene il Collegio, attesa anche la delicatezza della materia coinvolgente
plurimi e contrapposti interessi di valenza costituzionale, di dover tener conto
dell'indirizzo " garantista " espresso pure da questo Consiglio, con riferimento
alla configurazione dell'esigenza di un ordinato assetto dell'organizzazione
amministrativa, in termini di esigenza di rango sotto ordinato rispetto alla
necessità di ripristinare, per quanto possibile, condizioni di uguaglianza nei
confronti dei soggetti portatori di handicap, tenuto conto della rilevanza
costituzionale di tale finalità (sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3566).
Al contempo, tuttavia, ritiene altresì di confermare, pur nel rispetto e nella
considerazione del ricordato orientamento, l'esposto criterio di rigore
sostanziale e probatorio, senza il quale le sacrosante ragioni di tutela
espresse con la legge n. 104/1992 rischiano di tramutarsi in uno strumento di
abuso, mediante dichiarazioni mendaci o, comunque, enfatiche, per dipendenti
infedeli, privi di quel senso dell'onore e della disciplina richiesto dall'art.
54, comma 2, Cost..
11 - Conclusivamente l'appello va respinto.
Le spese, liquidate come da dispositivo nella misura conseguente anche ai chiari
segnali di esito negativo dell'appello contenuti nell'ordinanza cautelare di
questa Sezione, seguono, come di regola, la soccombenza (art. 26 c.p.a.).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
respinge l "appello.
Spese a carico dell'appellante in favore dell'amministrazione appellata
costituita, nella misura di euro 2.500,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.