GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA   -   IMPIEGO PUBBLICO
Cons. Stato Sez. IV, Sent., 02-11-2010, n. 7732
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo

Con il ricorso n. 1647 del 2003, proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, l'attuale appellante - agente scelto nel corpo di polizia penitenziaria, dopo un periodo di convalescenza e di accertamento della sua inidoneità al servizio incondizionato da parte della C.M.O dell'Ospedale Militare di medicina legale di Roma nel corpo e successivo accertamento conforme da parte della Commissione medica ospedaliera di seconda istanza - agiva per l'annullamento dell'atto con il quale l'amministrazione disponeva il collocamento in congedo assoluto del medesimo per infermità ai sensi degli articoli 109 e 110 della L.173 del 18.2.1963.

Il ricorrente deduceva i seguenti vizi: difetto di adeguata motivazione; violazione di legge (art. 75 comma 9 D.Lgs.443 del 1992), in quanto non era stata valutata la possibilità di ulteriore sua utilizzazione; erronea decorrenza degli effetti del decreto.

Il giudice di primo grado accoglieva soltanto parzialmente il ricorso, in ordine alla parte relativa alla decorrenza degli effetti della cessazione dal servizio a fare data dalla visita della C.M.O. invece che dalla data di emanazione del decreto di collocamento in congedo assoluto; il ricorso veniva rigettato per il resto, con compensazione delle spese di giudizio.

Con l'atto di appello, l'originario ricorrente ha proposto le seguenti censure.

In primo luogo, vengono contestate le motivazioni dei pareri medici, in relazione agli accertamenti istruttori effettuati, alla anamnesi personale e familiare effettuata, in ordine alla mancata considerazione, sia da parte della Commissione medica che dell'autorità che ha emanato il provvedimento finale, della documentazione medica prodotta dall'interessato, che attesta il suo buon equilibrio psichico e la idoneità al lavoro.

In sostanza viene reiterato e riproposto il vizio di difetto di motivazione.

Con un secondo mezzo di appello viene lamentata la violazione dell'art. 75 comma 9 L. n. 443 del 1992, che impone all'amministrazione di esaminare la possibilità di una ulteriore utilizzazione del personale, tenendo conto della infermità accertata e delle residue capacità lavorative del dipendente, mentre l'amministrazione non ha esaminato tale possibilità, motivando, anzi, nel senso della inidoneità in modo assoluto del sig. Saba alla prosecuzione del servizio.

In realtà, secondo l'appello, la inidoneità è stata accertata soltanto in ordine al servizio di istituto della polizia penitenziaria, mentre l'amministrazione avrebbe dovuto accertare se il dipendente era idoneo o meno ad altre possibilità di utilizzo.

Osserva la medesima parte appellante che, quando la Commissione medica si è pronunziata, le nuove norme più garantiste non erano ancora entrate in vigore; tuttavia, secondo la prospettazione appellante, essendo stato emanato l'atto impugnato in data 15 aprile 1993, quindi successivamente all'entrata in vigore della nuova normativa, l'amministrazione avrebbe dovuto accertare anche tale ulteriore possibilità.

Con altro motivo di appello, l'appellante deduce il difetto di comunicazione, in quanto egli non era stato avvertito previamente con comunicazione della possibilità che la visita potesse concludersi con la definitiva cessazione del rapporto di lavoro. Invece, la nota inviata riguardava soltanto la licenza straordinaria per convalescenza.

Si è costituita la appellata amministrazione statale chiedendo il rigetto dell'appello in quanto infondato.

Alla udienza pubblica del 19 ottobre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1.L'appello propone tre motivi di censura: 1) il difetto di adeguata motivazione, istruttoria e approfondimento in relazione alla consulenza tecnica di parte; 2) la mancata valutazione della possibilità di altre destinazioni di servizio, per le quali poteva sussistere la idoneità; 3) la mancanza di previa comunicazione in ordine alla possibile cessazione del servizio, poi decisa.

L'appello è infondato, in ordine ai proposti vizi di difetto di motivazione e insufficienza del giudizio finale della commissione medica e al difetto asserito di istruttoria, sostenuti perché non si sarebbe tenuto conto adeguatamente del parere del medico consulente tecnico di parte.

Il giudizio medico tecnico discrezionale degli organi collegiali sullo stato di salute dei dipendenti pubblici nel procedimento di dispensa dal servizio per inidoneità sopravvenuta, ove risulti basato su accertamenti oggettivi, prevale sulle perizie mediche di parte.

Il comma 6 dell'art. 76 su menzionato prevede che il personale interessato ha diritto di farsi assistere, a proprie spese, da un medico di fiducia.

Il giudizio tecnico discrezionale espresso dalla Commissione medica, in ordine alla sopravvenuta inidoneità al servizio del dipendente pubblico per motivi di salute, risulta affetto da eccesso di potere quando non contenga alcuna motivazione da cui possano evincersi le ragioni che inducano a conclusioni incompatibili con le deduzioni svolte dal medico di fiducia dal quale l'interessato si sia fatto assistere durante la visita medica collegiale (cfr. Consiglio di Stato, VI; 4 luglio 1994, n.1129).

Dalla natura tecnica della attività del collegio medico discende, da un lato, la insindacabilità del giudizio in quanto tale in sede di legittimità e, dall'altro, la essenzialità del contraddittorio nel corso dell'accertamento (così, Consiglio Stato, VI, 4 luglio 1994, n.1129).

Il giudizio che le commissioni mediche militari sono chiamate ad esprimere sull'arruolamento o sulla permanenza in servizio è espressione di una particolare discrezionalità tecnica che attiene al merito della azione amministrativa, in modo che i provvedimenti che ne costituiscono espressione sono sindacabili dal giudice amministrativo per quanto attiene alla sussistenza dei presupposti posti alla base della valutazione, la logicità della valutazione stessa e la congruenza delle conclusioni tratte dalla amministrazione (così, Cons. Stato, IV, 30 dicembre 2003, n.9155).

Costituisce principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui il giudizio medico legale si fonda su nozioni scientifiche e su dati di esperienza di carattere tecnico discrezionale che, in quanto tali, sono sottratti al sindacato di legittimità del giudice amministrativo salvi i casi di manifesta irragionevolezza o palese travisamento dei fatti (Cons. Stato, VI, 10.7.2001, n.3822).

Nella specie, l'Amministrazione ha compiuto specifici accertamenti che hanno condotto ad una motivata diagnosi, sicché non sussistono i dedotti profili di difetto di motivazione e di mancata considerazione delle osservazioni del perito di parte.

2. L'appellante lamenta la violazione dell'art. 76 D. Lgs. 30/10/1992, n. 443, ai sensi del quale il trasferimento, a domanda, del personale di cui ai commi 1, 3 e 5 dell'art. 75 nelle corrispondenti qualifiche di altri ruoli dell'Amministrazione penitenziaria, tenuto conto delle esigenze di servizio, è disposto con decreto del Ministro di grazia e giustizia, sentite le commissioni di cui all'art. 50, in relazione alla qualifica rivestita dall'interessato, nonché la commissione consultiva di cui all'art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 738; nonché la violazione dell'art. 75 comma 9, che stabilisce che le medesime commissioni devono, altresì, fornire indicazioni sull'ulteriore utilizzazione del personale, tenendo conto dell'infermità accertata.

Come deduce l'appellante, gli artt. 75 e 76, d.l. 30 ottobre 1992, n. 443, chiaramente rivolti a protezione del lavoratore, dispongono che il dipendente - riconosciuto idoneo alla conservazione della propria posizione sostanziale - possa espletare altri servizi anche presso istituti diversi da quelli di grazia e giustizia.

Il Collegio osserva che in realtà, in base all'art. 76, comma 2, la commissione consultiva non solo deve verificare che sussistano nel dipendente le attitudini professionali dal cui livello dipende il posto di qualifica ricoperto originariamente, ma, pure, l'esistenza o meno di qualsivoglia idoneità anche in relazione alle mansioni del livello più basso previsto, con la conseguenza che la commissione medesima, con una unica valutazione, non deve limitarsi nel suo giudizio al solo accertamento delle capacità professionali del dipendente per il passaggio nella qualifica equivalente, ma deve estendere il suo esame anche alla verifica della sussistenza della più bassa qualifica prevista, in modo da garantire in caso positivo, la conservazione della posizione professionale (in tal senso, per esempio, T.A.R. Lazio, sez. I, 1° marzo 1999, n. 516, questa sezione, 26 gennaio 2007, n. 307).

Esiste pertanto il dovere della Commissione di esprimersi anche sulla idoneità a diverse capacità professionali, sia pure inferiori, ai sensi del menzionato articolo 76.

Costituisce, infatti, principio generale, proprio dell'ordinamento del pubblico impiego, quello, in forza del quale il personale inidoneo al servizio per ragioni di salute, prima di essere dispensato, deve essere posto nelle condizioni di continuare a prestare servizio nell'assolvimento di compiti e funzioni compatibili con le sue condizioni di idoneità fisica; solo nel caso in cui non sia possibile tale utilizzazione, o per ragioni di carattere oggettivo o per scelta dell'interessato, ne è disposto il collocamento a riposo d'autorità (cfr. Corte Cost., 10 febbraio 2006, n. 56).

Siffatta più proficua utilizzazione del personale, che, pur non idoneo per ragioni di salute all'espletamento della funzione ricoperta, possa essere comunque ancora utilmente destinato ad altre funzioni, presso la stessa o presso altre strutture organizzative pubbliche, comporta, a carico dell'Amministrazione di appartenenza, un onere di ricerca delle possibili sue riutilizzazioni in mansioni inferiori, purché tale diversa nuova attività del dipendente risponda alle esigenze organizzative dell'Amministrazione stessa (il che comporta la presenza di un posto libero e disponibile in pianta organica), purché all'espletamento dell'attività stessa egli si riveli professionalmente e fisicamente idoneo (idoneità oggetto di accertamento, nell'ordinamento di settore che viene qui in considerazione, secondo i meccanismi previsti dall'art. 76 cit.) e purché, infine, il dipendente non rifiuti la nuova collocazione perché dequalificante.

L'appellante sostiene che l'amministrazione, a causa della sopravvenienza normativa in pendenza del procedimento, non si sarebbe affatto premurata di verificare la utilizzabilità del dipendente in relazione alle sue diverse capacità professionali.

Il motivo è infondato, perché in fatto la Commissione medica si è espressa sulla assoluta inidoneità: con una motivata valutazione, essa ha ritenuto sussistente la cd inidoneità assoluta, di per sé escludente che l'appellante potesse essere utilmente adibito ad altre mansioni.

Peraltro, va osservato che, a rigore, difettava anche il requisito della domanda dell'interessato, previsto dalla legge quale presupposto per la valutazione della compatibilità dello stato di salute con le mansioni proprie della qualifica più bassa.

In realtà, nei fatti, al di là della applicabilità della nuova disciplina ratione temporis - in quanto, come ammette parte appellante, la invocata normativa non era ancora vigente e efficace al momento di inizio del procedimento, ma essa viene invocata sulla base della tutela sostanziale delle posizioni del dipendente - la Commissione si è data carico di valutare la idoneità del dipendente anche rispetto a diverse capacità professionali, ritenendolo del tutto inidoneo a qualunque attività.

Inoltre, i richiamati articoli 75 e 76 del D.P.R. n. 443/1992 prevedono la domanda dell'interessato di "essere trasferito nelle corrispondenti qualifiche di altri ruoli dell'Amministrazione penitenziaria o di altre amministrazioni dello Stato", domanda che è requisito imprescindibile (in tal senso, il precedente di questa sezione n.307 del 2007 su richiamato) e che nella specie in realtà neanche viene menzionata.

Gli organi sanitari della Commissione medica ospedaliera si sono espressi - pronunciandosi quindi anche sulla possibile alternativa, ma escludendola - nel senso della assoluta non idoneità al servizio dell'appellante, non sussistendo quindi per l'amministrazione alcuno ulteriore spazio di discrezionalità ai fini della individuazione di ulteriori modalità di utilizzo del medesimo.

3. E' altresì infondata la censura con la quale si lamenta un vizio procedurale, perché sarebbero stati utilizzati accertamenti medicolegali finalizzati a accertare la idoneità a riprendere il servizio dopo un periodo di licenza per malattia, nel procedimento sfociato però nella estinzione del rapporto: l'appellante lamenta in sostanza che gli atti di avvio non avrebbero in alcun modo fatto riferimento ad una possibile estinzione del rapporto.

Infatti, contrariamente a quanto ha dedotto l'appellante, il procedimento avviato era in sé unitario e fin dalle prime fasi esso ha avuto ad oggetto l'accertamento della idoneità o meno alla prosecuzione in servizio, come si evince dal non contestato certificato del 15 novembre 1991, restando quindi priva di fondamento la sostanziale lamentela di una compressione delle garanzie del dipendente.

Inoltre, vale anche la considerazione che in base al principio del raggiungimento dello scopo di cui all'art. 21 octies, l. n. 241 del 1990, le norme sulla partecipazione al procedimento amministrativo non possono essere applicate meccanicamente e formalisticamente, dovendosi escludere il vizio nei casi in cui lo scopo della partecipazione del privato sia stato comunque raggiunto anche in difetto della comunicazione di avvio o vi sia comunque un atto equipollente alla formale comunicazione (nella specie, la possibile estinzione del rapporto si evinceva anche dal certificato del 15 novembre 1991, che faceva riferimento alla assoluta idoneità o meno al servizio), come nel caso di effettiva partecipazione al procedimento e consapevolezza delle posizioni dell'amministrazione (tra tante, Consiglio Stato, sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5251).

4. Per le considerazioni sopra svolte, l'appello va respinto, con conseguente conferma della impugnata sentenza.

La condanna alle spese segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, rigetta l'appello n. 11005 del 2004, confermando la impugnata sentenza. Condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidandole in complessivi euro millecinquecento.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.