IMPIEGO PUBBLICO
Cons. Stato Sez. VI, Sent., 11-12-2009, n. 7760
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con la sentenza 27.4.2004 n.973, resa in forma semplificata, il T.a.r. della
Calabria, Catanzaro, ha respinto il ricorso dell'agente della Polizia di Stato
#################### in servizio presso la Sottosezione Polstrada di
#################### ####################, proposto per l'annullamento del
provvedimento ministeriale in data 15.7.2003, con il quale era stato comunicato
che l'istanza prodotta dalla medesima, ai sensi dell'art.33, comma 5, della
legge 5.2.1992, n.104 (volta ad ottenere il trasferimento presso la Sottosezione
Polizia Stradale di #################### o presso il Distaccamento di Polizia
Stradale di #################### del ####################) non poteva essere
valutata ai sensi della norma invocata.
I primi giudici, nel disattendere le censure del ricorso originario (incentrate
essenzialmente nella rilevata violazione dell'art.35, comma 5, della legge
n.104/1992 e nel ritenuto eccesso di potere per difetto di istruttoria e di
motivazione) hanno rilevato, nella sostanza, la manifesta infondatezza del
ricorso stesso "in ragione del difetto del requisito dell'assistenza in atto
prestata in via continuativa, avuto anche riguardo alla circostanza per cui il
riconoscimento dell'handicap nei confronti della madre della ricorrente è
avvenuto in epoca successiva all'assegnazione della stessa nella sede di
#################### ####################".
Avverso la sentenza predetta è stato interposto l'odierno appello dalla sig.ra
D., che l'ha affidato ai seguenti motivi di diritto: a) violazione e falsa
applicazione dell'art.132, comma 2, punto 4, c.p.c., in relazione all'art.26,
comma 4, della legge n.1034/1971, nel testo introdotto dall'art.9 della legge
n.205/2000; e ciò in quanto la gravata pronuncia mancava del benché minimo
riferimento ai fatti di causa; b) violazione dell'art.112 c.p.c.; avendo il
T.a.r omesso di esaminare totalmente le censure dedotte in sede di ricorso e di
motivi aggiunti dall'odierna appellante; c) ingiustizia nel merito della
sentenza appellata, in quanto fondata "su una interpretazione dell'art.33, comma
5, della legge n.104/1992 affatto contraria alla ratio e allo spirito
assistenziale e solidaristico proprio dlel'invocata disposizione".
Nelle conclusioni l'appellante ha chiesto quindi l'annullamento della sentenza
impugnata con consegue accoglimento delle domande proposte in prime cure.
L'Amministrazione dell'interno, costituitasi in giudizio, ha replicato, con
un'articolata memoria, alle censure ex adverso svolte, chiedendo, quindi, la
reiezione dell'appello, con conseguente conferma della gravata pronuncia.
Alla camera di consiglio del 31.8.2004, l'istanza incidentale di sospensione
dell'esecuzione della sentenza impugnata è stata respinta.
Con istanza datata 9.7.2009 il difensore dell'appellante ha chiesto che fosse
disposta la cancellazione dal ruolo del ricorso in esame fissato per la
discussione all'odierna udienza, evidenziando che l'interessata, nel frattempo,
"era stata assegnata temporaneamente al servizio presso la sede di
#################### mediante accorpamento".
Nella pubblica udienza del 21 luglio 2009, infine, non avendo ritenuto il
####################gio di accogliere l'istanza predetta, la causa è stata
assunta in decisione.
Motivi della decisione
1. Prima di procedere all'esame dei rilievi mossi nei confronti della gravata
pronuncia, giova rilevare che l'art. 33, comma 5, della L.5.2.1992, n. 104 (nel
testo originario) ha disposto che il familiare lavoratore, con rapporto di
lavoro pubblico o privato, il quale assiste con continuità un parente entro il
terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto a scegliere, ove
possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere
trasferito senza il suo consenso ad altra sede e che successivamente la legge
8.3.2000, n. 53, ha modificato il regime delle agevolazioni in questione,
eliminando il presupposto della convivenza prima richiesto (art. 19) ma
postulando il carattere esclusivo dell'attività di assistenza (art. 20). Giova
rilevare altresì che - come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (cfr.,
in particolare, Cons. St. Sez.IV, 22.2.2006, n.793; 21.2.2005, n. 565; Sez. VI,
30.4.2002, n. 2319; Sez. III 26.11.2000, n. 1623) - la normativa
richiamata si riferisce solo al lavoratore che già assista con continuità un
familiare portatore di handicap e non anche al dipendente che, non assistendo in
atto con continuità un familiare, aspiri al trasferimento proprio al fine di
poter instaurare il detto rapporto di assistenza continuativa; dal che consegue
che le esigenze di assistenza successivamente determinatesi non sono ricomprese
nella previsione normativa, atteso che il diritto vigente tutela le situazioni
di assistenza già esistenti, la cui interruzione crei pregiudizio allo stato di
fatto favorevole al portatore di handicap. Va osservato al riguardo, peraltro,
che la esclusione della seconda ipotesi anzidetta è stata ritenuta legittima
dalla Corte Costituzionale, che in proposito ha precisato che la disposizione si
inserisce in un sistema normativo che prevede anche altre forme di assistenza in
favore dei disabili, al di fuori dell'ambito familiare, con la conseguenza che,
con l'art. 33, comma 5, è stata
ragionevolmente prevista in sede legislativa, quale misura aggiuntiva, la
salvaguardia dell'assistenza in atto nell'ambito familiare, senza che sia
prevista anche, nell'esercizio della relativa discrezionalità, la possibilità di
trasferimenti del lavoratore dipendente volti a instaurare un rapporto di
assistenza, nell'ambito familiare, al portatore di handicap (cfr. sentenza Corte
Cost.. 29.7.1996, n.325) e che la stessa Corte, pur riconoscendo il particolare
valore della legge n. 104/1992 in quanto diretta alla garanzia di diritti umani
fondamentali, ha chiarito che l'istituto di cui all' art. 33, comma 5, della
citata legge, riguardante la scelta della sede lavorativa più vicina al
familiare disabile assistito, non è l'unico idoneo a tutelare la condizione di
bisogno del malato, e che comunque non è illimitata la posizione giuridica di
vantaggio ivi prevista, potendo essere fatta valere la stessa solo "ove
possibile" (Corte Cost. 22.7. 2002, n. 372).. 2. Con riguardo alla
questione oggetto della controversia va sottolineato poi che, ai fini del
riconoscimento del diritto alla precedenza previsto dall' art. 33, comma 5, L.
5.2.1992, n. 104, è necessario che l' handicap di cui soffre il congiunto
convivente presenti carattere di particolare gravità e necessiti di prestazioni
assistenziali permanenti, incompatibili con sede distante, e che presupposto
essenziale per l'applicazione del beneficio in parola, è la continuità dell'
assistenza da lui prestata (Cons. St..Sez.VI n.2319/2002 cit.). 3. Venendo
all'esame del merito dell'odierno appello e facendo applicazione al caso in
esame dei principi sopra enunciati, le censure svolte dalla ricorrente, ribadite
nell'odierno appello, non riescono a scalfire l'assunto centrale posto a
fondamento del decisum di primo grado, secondo il quale appunto il diritto di
precedenza riconosciuto, in sede di trasferimento, a favore del genitore o del
familiare che assista un parente od un affine entro il terzo grado
portatore di handicap, presuppone il requisito dell'assistenza in atto prestata
in via continuativa, nella specie non resa possibile, vista anche la oggettiva
lontananza tra la sede di servizio e quella richiesta e avuto riguardo, altresì,
alla circostanza per cui il riconoscimento, in data 17.4.2003, "di portatrice di
handicap grave"nei confronti della madre dalla ricorrente si era verificato in
epoca successiva alla assegnazione della agente D. nella sede di servizio di
#################### ####################, avvenuta in data 28.6.1999.
4. L'appello deve ritenersi pertanto infondato, giacché iI provvedimento
impugnato ha correttamente ritenuto che nella caso in esame, così come
rappresentato negli atti di causa, non risultavano elementi utili atti a
comprovare che la ricorrente assistesse in atto in via continuativa il familiare
portatore di handicap, in presenza anche delle circostanze di fatto sopra
precisate al punto che precede.
5. Passando comunque all'esame delle specifiche censure dell'appello, il
####################gio ritiene che esse, alla luce delle considerazioni che
precedono, siano del tutto prive di pregio. Ciò vale, in particolare, per il
terzo motivo, con il quale si è dedotto che la gravata pronuncia si sarebbe
fondata su una interpretazione dell'art.33, comma 5, della legge n.104/1992
contraria "alla ratio e allo spirito assistenziale e solidaristico" proprio
della disposizione invocata dalla interessata nella propria istanza poi respinta
con gli atti impugnati in prime cure. Per disattendere tale motivo infatti
appaiono sufficienti le argomentazioni sopra svolte (in particolare nei
precedenti punti 2 e 3). Quanto ai restanti due motivi - con cui, da una parte,
si prospetta la censura di violazione e falsa applicazione di legge
dell'art.132, comma 2, punto 4, c.p.c. (in relazione all'art.26, comma 4, della
legge n.1034/1971), mancando nella sentenza impugnata, ad avviso
dell'appellante, un " benché
minimo riferimento ai fatti di causa" e, dall'altra, si deduce la violazione
dell'art.112 c.p.c., per non avere esaminato interamente il T.a.r. le censure
formulate nel giudizio di primo grado dall'interessata - il ####################gio
deve osservare, ai fini della dimostrazione della loro inconsistenza giuridica,
che i primi giudici, pur pronunciandosi con sentenza resa in forma semplificata,
hanno nella specie motivato sufficientemente le loro ragioni, sia pure in modo
conciso, nel respingere il proposto gravame, tenendo conto in ogni caso della
documentazione esistente agli atti di causa, oltre che delle richieste delle
interessata e delle ragioni dalla stessa addotte a sostegno della propria
pretesa e che, in definitiva, hanno correttamente giudicato nel considerare, da
un lato, che, con il diniego impugnato in prime cure, erano stati adeguatamente
indicati, alla stregua della situazione di fatto in cui si trovava la
ricorrente, i motivi che avevano indotto l'Amministrazione a respingere
l'istanza di trasferimento suddetta e nel considerare, dall'altro, che la
motivazione del provvedimento gravato in primo grado riconduceva ad un profilo
essenziale per sostenere il mancato accoglimento dell'istanza, ossia il difetto
del requisito della "continuità", in ragione della lontananza della ricorrente
medesima dall'abitazione della persona da assistere, non ricorrendo i
presupposti per poter affermare che al momento in cui l'interessata ha
presentato domanda di trasferimento sussistesse il requisito della continuità
dell'assistenza in atto per via della lontananza notevole tra la sede di
servizio e quella richiesta. Le censure dedotte nella appello e ora esaminate
devono essere pertanto disattese..
6. In conclusione, alla stregua delle considerazioni sopra svolte, l'appello in
esame deve essere respinto.
Quanto alle spese del giudizio ritiene il ####################gio che esse,
sussistendo giusti motivi in relazione anche alla particolarità della
controversia, vadano integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato,in sede giurisdizionale, Sezione sesta, respinge l'appello
in epigrafe specificato e, per l'effetto conferma la sentenza di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 21 luglio 2009 dal Consiglio di Stato, in sede
giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei
Magistrati:
Giuseppe Barbagallo, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere
Aldo Fera, Consigliere
Domenico Cafini, Consigliere, Estensore
Maurizio Meschino, Consigliere