Cons. Stato Sez. VI, Sent., 15-12-2010, n. 8919
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo

Con il ricorso introduttivo del giudizio era stato chiesto dall'odierno appellato #################### l'annullamento del decreto del Ministero dell'Interno, Dipartimento di Pubblica Sicurezza - Direzione Centrale per le Risorse Umane - del 22 luglio 2003, con il quale era stata disposta la destituzione dal 26 ottobre 2001, e di tutti gli atti del procedimento disciplinare conclusosi con la destituzione, nonché di ogni altro atto connesso.

Il #################### aveva rappresentato sei distinti motivi di censura. Il Tribunale amministrativo regionale ha respinto il primo motivo, di violazione dell'art. 11 d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 e le doglianze di cui al terzo e quarto motivo (con cui era stato denunciato il superamento del termine per la conclusione dell'inchiesta previsto dal d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 e il superamento del termine di duecentosettanta giorni per la conclusione del procedimento), nonché l'ultima doglianza, relativa alla disparità di trattamento in relazione alla sanzione inflitta al #################### per fattispecie sostanzialmente identica (questi era stato soltanto sospeso dal servizio per sei mesi).

Il primo giudice ha invece ritenuto fondata la doglianza di illegittimità del provvedimento impugnato perché al #################### sono stati stati addebitati comportamenti non accertati né in sede penale né in sede disciplinare. Invero nei suoi confronti era stata resa sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 Cod. Proc. pen. per mancanza di querela (in ordine ai reati di cui agli artt. 110, 640 e 61 n. 7 Cod. pen. per mancanza di querela, con prosecuzione dell'azione penale per i reati di cui agli artt. 416, 642 e 110).

Il #################### era stato deferito al Consiglio provinciale di disciplina per i fatti di cui alla sentenza di non luogo a procedere, ed ivi era stato rilevato che risultava dall'esame della motivazione della sentenza una truffa semplice, e che emergeva che egli aveva posto in essere atti in grave contrasto con i doveri d'ufficio: la gravità del comportamento rendeva incompatibile la sua permanenza in servizio, avendo leso irreparabilmente il rapporto fiduciario che deve intercorrere tra l'Amministrazione e gli appartenenti alla Polizia di Stato.

Sennonché, secondo il primo giudice, la motivazione della destituzione era basata sull'assunto - non condivisibile- che la fattispecie penalmente rilevante della truffa semplice fosse stata processualmente accertata. Così non era, invece: il giudice dell'udienza preliminare, infatti, non era pervenuto all'accertamento del fatto di reato, ma solo all'accertamento dell'inesistenza di una condizione di procedibilità dell'azione penale, sub specie di querela (in quanto, avendo escluso la configurabilità della circostanza aggravante contestata di cui all'art. 61, n. 7 Cod. pen., aveva rilevato che il reato di truffa semplice era perseguibile a querela per poi dichiarare, in assenza di questa,, il non luogo a procedere). Perciò nessun accertamento della commissione del fattoreato era contenuto nella sentenza del Tribunale di Roma, depositata in cancelleria il 24 maggio 2002, né tantomeno esso poteva desumersi dalla richiesta di rinvio a giudizio.

L'accertamento del fatto per il quale l'appellato era stato ritenuto passibile della destituzione non poteva quindi dirsi avvenuto, né in sede penale né in sede disciplinare, in quanto l'amministrazione, erroneamente, si era limitata a considerare che dall'esame della sentenza di non luogo a procedere risultava una realtà accertata come truffa semplice.

Il Tribunale amministrativo regionale ha altresì accolto il motivo di violazione del termine dell'art. 120 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3: l'atto successivo alla nota del 23 dicembre 2002, con cui il funzionario istruttore aveva chiesto notizie al Commissariato presso il Palazzo di giustizia (ed alla relativa risposta del 24 dicembre 2002 di non possibile immediata ottemperanza) risultava essere la nota di sollecito del 31 marzo 2003 indirizzata dall'Ufficio personale della Questura di Roma al funzionario istruttore. Tra detti atti era decorso un intervallo di tempo superiore ai novanta giorni. L'amministrazione aveva fatto presente che dall'atto del funzionario istruttore del 23 dicembre 2002 al sollecito del 7 aprile 2003 erano stati compiuti atti di carattere interno all'amministrazione.

Di tali atti non era stata data indicazione, né erano stati depositati: ne discendeva la convinzione che il procedimento disciplinare fosse effettivamente estinto.

Avverso la sentenza in epigrafe l'amministrazione ha proposto appello.

Quanto alla "sufficienza" della sentenza ex art. 425 Cod. proc. pen., a ritenere provati i fatti, il primo giudice aveva omesso di considerare che i fatti ascritti rientravano nel paradigma di cui all'art. 7, n. 2 d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737; che anche un procedimento penale archiviato poteva costituire spunto sufficiente per l'avvio del procedimento disciplinare; che l'amministrazione aveva autonomamente vagliato il dato probatorio acquisito in sede di indagini preliminari svolgendo autonome verifiche.

Quanto al profilo della caducazione del procedimento disciplinare ai sensi dell'art. 120 d.P.R. n. 3 del 1957, si doveva rilevare che nel torno di tempo preso in esame dal Tribunale amministrativo ed asseritamente trascorso invano, era stata compiuta attività volta ad acquisire gli atti del procedimento penale (in effetti ritirati dal Tribunale di Roma il 27 gennaio 2003).

Tale atto interno spiegava effetto interruttivo ed era perciò errata anche la statuizione relativa all'avvenuta estinzione del procedimento disciplinare.

All'adunanza camerale del 29 novembre del 2005 per la trattazione della domanda cautelare, la Sezione ha respinto l'istanza di sospensione dell'esecutività dell'appellata sentenza.

Con memoria 19 ottobre 2010, l'appellante amministrazione ha fatto presente che il ####################, in ottemperanza alla sentenza di primo grado, era stato reintegrato nei ruoli; il 27 marzo 2008 era stato giudicato permanentemente inidoneo al servizio d'istituto e a decorrere dal 6 aprile 2008 dispensato dal servizio: tuttavia permaneva l'interesse dell'amministrazione alla decisione dell'appello.

Alla odierna pubblica udienza la causa è stata posta in decisione e la difesa di parte appellata ha fatto verbalmente presente che il #################### era stato successivamente assolto dal giudice penale da tutte le imputazioni
Motivi della decisione

Il ricorso in appello del Ministero dell'Interno va respinto e la sentenza confermata, con correzione della motivazione nei termini qui di seguito esposti.

Si deve anzitutto prendere atto della declaratoria dell'appellante in ordine al permanere dell'interesse all'appello. Ciò premesso, il primo elemento della motivazione da prendere in esame concerne il profilo relativo alla portata della decisione resa ex art. 425 Cod. proc. pen. dal Gup del Tribunale di Roma.

A seguito della sentenza di non luogo a procedere non si forma il giudicato penale, inteso come accertamento definitivo dei fatti, ma il provvedimento acquista comunque il carattere dell'incensurabilità: diviene inoppugnabile, ma non irrevocabile. Ed è discussa la portata dell'accertamento che può essere svolto nell'udienza preliminare. Tuttavia la richiesta di rinvio a giudizio costituisce un progredire processuale (in senso accusatorio) rispetto alla determinazione del pubblico ministero di chiedere l'archiviazione. È principio recepito che l'intervenuta archiviazione del procedimento penale non preclude l'esercizio del potere disciplinare (es. Cons. Stato, VI, 5 dicembre 2005, n. 6944), perciò si può affermare che, anche successivamente ad una sentenza ex art. 425 Cod. proc. pen., l'amministrazione poteva intraprendere un'iniziativa disciplinare riferita alle risultanze degli atti raccolti dal Pubblico ministero nelle indagini preliminari.

Sono errate in diritto le considerazioni della sentenza sull'assoluta impossibilità di porre a sostegno dell'iniziativa disciplinare (anche soltanto) i dati raccolti dal Pubblico ministero in sede endoprocedimentale. Tuttavia, detti atti debbono costituire oggetto di autonoma valutazione in sede disciplinare da parte dell'amministrazione.

Una tale autonoma valutazione è difettata nella specie: l'amministrazione si è acriticamente richiamata alla sentenza penale, senza esprimere nessuna - seppur embrionale - valutazione sui fatti o sulla loro riconducibilità ad una condotta realmente verificatasi.

La sentenza preliminare di proscioglimento ha solo preso atto (alla luce della contestazione, e senza che ritener necessario alcun incombente) del fatto che il danno non era patrimonialmente ingente; che conseguentemente l'ipotesi di truffa era perseguibile (non già d'ufficio, ma) a querela; e che quest'ultima non era stata presentata.

Pertanto la sentenza non ha vagliato alcunché in punto di fatto, in particolare circa l'ascrivibilità all'imputato delle condotte addebitategli.

Erroneamente, dunque, l'amministrazione ha operato come se un tale vaglio avesse avuto luogo, e ha fatto riferimento alla sentenza di proscioglimento dando i fatti del procedimento penale per provati.

Invece, l'Amministrazione avrebbe dovuto autonomamente sottoporre a valutazione i dati raccolti dal Pubblico ministero, pervenendo eventualmente ad un convincimento legittimante l'avvio del procedimento disciplinare (Cons. Stato, IV, 25 febbraio 2005, n. 972).

Un tale passaggioè mancato ed i fatti storici ascritti non sono stati valutati criticamente dall'amministrazione ai fini del procedimento disciplinare.

Il provvedimento sanzionatorio, quindi, si è retto unicamente sull'elemento, meramente formale, dei dati indiziari raccolti dal Pubblico ministero, senza che fossero stati in alcun modo valutati dall'amministrazione.

Ne consegue, in tali termini, l'illegittimità denunciata e la il rigetto dell'appello, con assorbimento del profilo di critica relativo alla violazione dell'art. 120 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.

Possono essere compensate le spese processuali sostenute dalle parti a cagione della particolarità delle questioni esaminate.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe lo respinge nei termini di cui alla motivazione che precede e per l'effetto conferma, con diversa motivazione, l'appellata sentenza.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.