INFORTUNI SUL LAVORO
Cons. Stato Sez. VI, Sent., 24-02-2011, n. 1173
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia e recante il
n.r.g. 554/2006, il sig. M.B. riferiva di essersi arruolato nei ruoli della
Polizia di Stato nel 1971 e di aver prestato sin dal 1975 servizio presso lo
scalo marittimo e aereo di BariPalese (dal 1992, con la qualifica di Ispettore).
Nell'ottobre del 1980 egli fu ricoverato d'urgenza presso il Policlinico di Bari
per un episodio di "fibrillazione atriale parossistica'. L'episodio rappresentò
il primo di una lunga serie di eventi patologici che, nel corso del periodo
19801992, determinarono il progressivo peggioramento del suo stato di salute
(essendo affetto, fra l'altro, da "extrasistolia sopraventricolare e
ventricolare', "ulcera duodenale e gastroduodenale', "disturbo d'ansia con
attacchi di panico', "bronchite cronica con ostruzione delle piccole vie aeree',
"ipoacusia neurosensoriale bilaterale').
In data 12 luglio 1986 la Commissione medico legale dell'Istituto medico legale
di Bari riconosceva la dipendenza da causa di servizio di una delle patologie da
cui gli era affetto (ulcera bulbale con gastroduodenite cronica).
Con verbale di visita collegiale del 13 gennaio 1995, la Commissione medico
ospedaliera riconosceva l'appellante "non idoneo permanentemente al servizio
nella Polizia di Stato in modo parziale", ritenendolo "controind.to ai servizi
che comportino stress psicofisici, la irregolare assunzione dei pasti".
A seguito dell'accertamento medico, il Ministero dell'interno disponeva che
l'interessato fosse adibito a "servizi interni diurni" (decreto in data 17
febbraio 1995).
Nel corso del quinquennio successivo (febbraio 1995 - novembre 2000) il B.
svolse presso lo scalo di Bari Palese i compiti di "capo turno di frontiera" e
solo dal novembre del 2000 fu adibito a compiti di "responsabile di segreteria
con turno diurno 814'.
Infine, con verbale in data 8 marzo 2002 la Commissione medico ospedaliera lo
dichiarò "non idoneo permanentemente al servizio nella Polizia di Stato, nei
ruoli tecnici della P.S. (nonché) in altre amministrazioni civili dello Stato,
disponendone il congedo assoluto".
Con il ricorso giurisdizionale, il B. ha lamentato che il mancato rispetto dei
doveri di protezione nei confronti del lavoratore (art. 2087 Cod. civ.) aveva
cagionato numerosi danni di carattere patrimoniale e non patrimoniale (danno per
differenziale retributivo, danno biologico, danno morale, danno esistenziale),
di cui chiedeva l'integrale ristoro.
Con la sentenza qui impugnata, il Tribunale amministrativo regionale per la
Puglia respinse il ricorso proposto, osservando:
- che il carattere contrattuale della responsabilità del datore di lavoro ai
sensi dell'art. 2087 Cod. civ. (e l'inversione dell'onere della prova che ne
deriva) non esclude che gravi sul lavoratore quanto meno l'obbligo di allegare
in modo concreto il fatto storico all'origine dell'inadempimento;
- che nel caso di specie non era stato allegato alcun comportamento illecito da
parte dell'amministrazione, la quale - al contrario - aveva agito in modo
ragionevole al fine di non aggravare lo stato di salute del dipendente (adibito
a servizi interni diurni a partire dal febbraio 1995);
- che l'amministrazione non aveva contraddetto le prescrizioni fornite dalla
C.M.O. nel gennaio del 1995, avendo adibito l'interessato a mansioni lavorative
del tutto compatibili con quanto indicato dalla commissione;
- che, in definitiva, l'interessato non aveva allegato alcun elemento idoneo a
far ritenere che lo svolgimento dei compiti di "capo turno di frontiera"
(peraltro, svolto solo all'interno degli uffici) avesse potuto peggiorare il suo
stato di salute.
La sentenza veniva appellata dal B., il quale ne lamentava l'erroneità
articolando plurimi motivi di doglianza.
Si costituiva in giudizio il Ministero dell'interno, il quale concludeva nel
senso della reiezione del gravame.
All'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2011 la causa veniva trattenuta in
decisione.
Motivi della decisione
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da B.M.,
ispettore della Polizia di Stato, avverso la sentenza del Tribunale
amministrativo regionale per la Puglia con cui è stata respinta la sua istanza
volta al risarcimento del danno (patrimoniale e non patrimoniale) subito per
essere stato adibito a servizi forieri di stress psicofisico, che avrebbero
peggiorato il suo stato di salute sino a determinarne la dispensa dal servizio
per inabilità assoluta.
2. Con il primo argomento il B. lamenta che il primo giudice ha omesso di
rilevare che il peggioramento del suo stato di salute era dipeso dal
comportamento dell'amministrazione, la quale, pur essendo stata resa edotta sin
dal 1995 che il dipendente non poteva essere adibito a compiti lavorativi
forieri di stress, aveva tuttavia omesso di adottare le conseguenti misure e
aveva continuato ad utilizzarlo per i compiti precedentemente svolti,
risolvendosi solo nel novembre del 2000 a nominarlo "responsabile di segreteria"
con turno diurno 814.
In tal modo l'amministrazione ha violato il generale dovere di protezione
gravante sul datore di lavoro (art. 2087 Cod. civ.) contribuendo in modo
determinante all'aggravamento delle condizioni di salute del dipendente.
Il comportamento dell'amministrazione risulta a dire dell'appellante, tanto più
inescusabile, se si considera che già in precedenza (luglio 1986) la C.M.O.
aveva riconosciuto la dipendenza da causa di servizi di alcune delle patologie
da cui egli era affetto, riconoscendogli il diritto alla la pensione
privilegiata.
Per l'appellante, la sentenza è erronea per la parte in cui ha ritenuto che
l'averlo adibito a servizi interni diurni (decreto in data 17 febbraio 1995) era
misura adeguata rispetto alle prescrizioni fornite dalla commissione medica, la
quale aveva stabilito che l'appellante dovesse essere sollevato da modalità di
prestazione del servizio idonee a sottoporlo a stress psicofisici.
Secondo l'appellante, infatti, non era il carattere "interno" ovvero "esterno"
dei servizi prestati ad incidere sullo stress psicofisico subito, quanto il
fatto di essere stato lasciato a svolgere le precedenti mansioni di "capo turno
di frontiera'. Del resto, le mansioni (obiettivamente meno stressanti) di
"responsabile di segreteria con turno diurno 814" gli erano state assegnate solo
tardivamente (novembre 2000), quando il suo stato di salute era ormai
irrimediabilmente compromesso dal pregresso svolgimento di funzioni stressanti.
Con un secondo motivo di gravame il B. lamenta che la sentenza è errata per la
parte in cui ha affermato che gravava su di lui l'onere di allegare la prova
dell'inadempimento da parte del datore di lavoro agli obblighi su di lui
gravanti ai sensi dell'art. 2087 Cod. civ.
Secondo l'appellante, il primo giudice ha omesso di considerare che, una volta
ricostruita la responsabilità del datore di lavoro come fattispecie
contrattuale, la conseguenza è nel senso che spetta al lavoratore solo l'obbligo
di allegare la circostanza dell'inadempimento, mentre grava sul datore di lavoro
l'obbligo di fornire la prova contraria (ossia, di comprovare una condotta
adempitiva, conforme al generale obbligo di protezione di cui all'art. 2087 Cod.
civ.).
Una volta impostati così i termini della distribuzione dell'onus probandi,
sarebbe evidente che l'amministrazione non ha in alcun modo fornito la prova
liberatoria di siffatta condotta adempitiva, con la conseguenza che dovrebbe
dirsi provata la sussistenza della fattispecie oggettiva di una condotta foriera
di danno.
2.1. I due motivi dinanzi richiamati - che possono essere esaminati in modo
congiunto - non sono fondati.
2.2. Ad avviso del Collegio occorre esaminare distintamente la questione
relativa alla distribuzione dell'onere probatorio in ordine all'adempimento dei
doveri datoriali ex art. 2087, Cod. civ., dalla questione "sostanziale" relativa
al se il datore di lavoro abbia nel caso di specie posto in essere una condotta
di effettiva violazione dei detti doveri.
Quanto al primo aspetto, la tesi dell'appellante risulta condivisibile laddove
afferma che la particolare forma di responsabilità datoriale di cui all'art.
2087 Cod. civ. è ascrivibile all'ambito della responsabilità contrattuale, con
ogni conseguenza in tema di distribuzione dell'onere della prova.
Tuttavia, la configurazione non è di suoidonea a supportare le tesi
dell'appellante medesimo.
Secondo un condiviso orientamento, infatti, l'art. 2087Cod. civ. non configura
un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore
di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti
da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del
momento. Ne consegue che incombe sul lavoratore che lamenti di avere subito, a
causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare
l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché
il nesso tra l'uno e l'altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di
tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere
adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che
la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali
obblighi (Cass., sez. lavoro, 25 agosto 2003, n. 12467; id., 6 luglio 2002, n.
1603; id., 18 febbraio 2000, n. 1886).
La giurisprudenza ha altresì chiarito che dal dovere di prevenzione imposto al
datore di lavoro dall'art. 2087 Cod. civ. non si può desumere la prescrizione di
un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta ad
evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere la responsabilità del
datore di lavoro ogni volta che un danno si sia comunque verificato, perché
occorre invece che l'evento sia pur sempre riferibile a una sua colpa, per
violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o
suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati. (Cass., sez. lavoro, 10
maggio 2000, n. 6018).
Impostati in tal modo i termini generali della questione, enucleati nel rapporto
di lavoro comune, ma che la Sezione ritiene estensibili anche al rapporto di
servizio qui in esame in relazione alle attività di cui qui si tratta, emerge
l'infondatezza della pretesa dell'appellante, se solo si consideri che:
- non risulta che il B. abbia provato in modo adeguato la circostanza per cui lo
svolgimento dell'attività lavorativa di addetto ai servizi di frontiera
(peraltro, con specifiche agevolazioni disposte dal datore di lavoro per ciò che
attiene i turni di servizio e il luogodi svolgimento dell'attività) abbia
effettivamente inciso sul suo stato di salute, configurandosi come prestazione
lavorativa obiettivamente insalubre e comunque incompatibile con lo stato
patologico rilevato dalla commissione medica nel gennaio del 1995.
Sotto tale aspetto, la sentenza di primo grado va condivisa laddove osserva
(pag. 10, 11) che nessuna delle circostanze allegate dall'interessato in
relazione alle modalità concrete di prestazione del servizio depone nel senso di
una particolare o abnorme gravosità o si pone comunque in distonia rispetto a
quanto prescritto dalla commissione nel gennaio 1995;
- del pari, non risulta che il B. abbia allegato elementi concreti idonei a
dimostrare l'esistenza di un nesso di riferibilità diretta fra le modalità di
svolgimento dell'attività lavorativa nel periodo 19952000 e l'ulteriore
peggioramento del suo stato di salute che, nel corso del 2002, ne ha determinato
la permanente inidoneità a qualunque tipologia di servizio. Al contrario non è
irrilevante osservare che il definitivo peggioramento del suo stato di salute si
è verificato in un momento in cui egli era stato da circa sedici mesi a compiti
lavorativi ancora meno gravosi ('responsabile di segreteria con turno diurno
814');
- ma anche a voler ritenere, in via subordinata, che l'interessato abbia
dimostrato l'esistenza: a) della nocività dell'ambiente di lavoro; b) di uno
specifico danno alla salute e c) di un nesso di riferibilità diretta fra i primi
due, non si ritiene comunque che sia imputabile all'amministrazione la
violazione delle misure concretamente esigibili al fine della salvaguardia della
salute del lavoratore, in base alle peculiarità del caso concreto. Come si è
detto, va escluso che gravi in capo al datore l'onere indifferenziato di porre
in essere qualunque forma di cautela -possibile ed innominata - al fine di
impedire il verificarsi di ogni possibile forma di compromissione della salute
(secondo un modello che avvicinerebbe ad una configurazione di responsabilità
oggettiva).
Conseguentemente, appare che l'amministrazione qui appellata ha posto in essere
tutte le cautele ragionevolmente esigibili in relazione al caso di specie (e
che, quindi, abbia comunque fornito la prova liberatoria di cui all'art. 2087
Cod. civ.), avendo corrisposto in modo più che adeguato alle prescrizioni della
commissione medica (verbale del 13 gennaio 1995), la quale aveva stabilito che
l'interessato era incompatibile con tipologie di lavoro comportanti stress
psicofisici e l'irregolare assunzione dei pasti.
Sotto tale aspetto, la determinazione dell'amministrazione (peraltro prontamente
adottata) di continuare ad utilizzare l'interessato presso i servizi di
frontiera, ma con specifiche agevolazioni per luogo e tempo della prestazione, è
pienamente regolare in relazione alla specifica tipologia di rischio accertata
dalla commissione medica e alle prescrizioni conseguentemente imposte.
Oltretutto, fermo restando che qualunque prestazione lavorativa, anche la più
lieve, comporta inevitabilmente un fisiologico ed ineliminabile livello di
tensione e logorio per il lavoratore, dalle risultanze in atti non è emerso in
alcun modo che le modalità di prestazione dell'attività di "capo turno di
frontiera" implicassero disagi e turbamenti tali da assoggettarlo a stress
psicofisici incompatibili con le prescrizioni fornite dalla commissione medica
in data 13 gennaio 1995.
3. Per le ragioni che precedono il ricorso in epigrafe deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente
pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l'appellante alla rifusione delle spese di lite, che liquida in
complessivi euro 2.000 (duemila), oltre gli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.