C. Conti Piemonte Sez. giurisdiz., 05-01-2011, n. 4
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 13 maggio 2010 presso la segreteria di questa Sezione
giurisdizionale, il sig. #################### ha rappresentato di aver prestato
servizio presso il Ministero dell'Interno - Polizia di Stato dal 17.1.1984 al
19.5.2000, per complessivi anni 16 mesi 4 e giorni 3, ai quali occorre
aggiungere, per il computo della pensione, 1/5 del servizio effettivo prestato
(anni 3 mesi 3 giorni 6), previsto dall'art. 3, comma 5, della legge 27 maggio
1997 n. 284, giungendo al periodo convenzionale attribuibile a pensione di anni
19 mesi 7 e giorni 9.
Secondo il ricorrente, tale periodo convenzionale risulta utile a pensione in
base alle normative vigenti al momento del collocamento in congedo in data
19.5.2000.
L'interessato ha poi fatto presente di aver presentato all'INPDAP nuova
richiesta di pensione in data 11.9.2009, a seguito della sentenza di questa
Corte n. 177/2009 che aveva respinto un suo precedente ricorso.
L'Istituto previdenziale, tuttavia, con l'impugnato provvedimento in data 8
aprile 2010, ribadiva che "al 20.5.2000, data di cessazione dal servizio presso
il Ministero dell'Interno Questura di Omissis, non sussistevano i requisiti per
il diritto a pensione".
Il ricorrente contesta la statuizione di cui sopra in quanto l'art. 58 del
D.P.R. n. 335/82 prevede che le cause di cessazione dal servizio del personale
di cui al suddetto decreto sono quelle previste dal testo unico approvato con
D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 e successive modificazioni, nonché con testo unico
approvato con D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092. I limiti di età per il
collocamento a riposo sono quelli previsti dalla tabella "b", introdotta e
sostituita con l'art. 2-bis del D.L. 19 dicembre 1984 n. 858 e poi dalla tabella
2 allegata al D.L. 5 ottobre 2000, n. 334. Pertanto esiste una normativa
prevista dalla tabella antecedente al 5.10.2000 che deve essere applicata ai
soggetti che vanno in pensione anteriormente a tale data.
Il sig. M. ha poi precisato che, contrariamente a quanto indicato dalla
Prefettura di (...), la legge di aumento del periodo di servizio di 1/5 va
applicata anche sul servizio prestato per 2 anni e 6 mesi in qualità di agente
ausiliario e agente ausiliario trattenuto, come da giurisprudenza costante della
Corte di Cassazione Civile.
Il ricorrente ha infine fatto presente di aver presentato domanda di riscatto
del periodo di studi universitari (1 settembre 1997 - 27 aprile 2000) per il
conseguimento della Laurea in Scienze Politiche della durata legale di anni 4,
respinta dall'INPDAP con provvedimento in data 8 aprile 2010 per decorrenza dei
termini per la presentazione dell'istanza, come previsto dall'art. 2 del D.Lgs.
30 aprile 1997, n. 184. In proposito l'interessato lamenta che nulla viene
indicato dalla legge sulla effettiva, costante o pregressa iscrizione per la
presentazione della domanda di riscatto, mentre la contemporaneità tra servizio
lavorativo e periodo di studi richiesto a riscatto viola il principio di
uguaglianza costituzionalmente garantito.
In conclusione, il ricorrente ha chiesto:
1) dichiararsi il proprio diritto alla corresponsione del trattamento di
quiescenza ex art. 40 e 42 del D.P.R. n. 1092/1973, con conseguente condanna al
pagamento dei ratei di pensione non corrisposti dal 20.5.2000 oltre accessori di
legge;
2) la condanna della Pubblica Amministrazione al risarcimento del danno ai sensi
e per gli effetti dell'art. 35 del D.Lgs. n. 80/1998 così come modificato
dall'art. 7 della legge n. 205/2000;
3) con vittoria delle spese di giudizio.
Con deposito in data 18 ottobre 2010 il ricorrente ha insistito per
l'accoglimento del ricorso, producendo ulteriore documentazione.
In data 9 luglio 2010 l'INPDAP ha depositato il fascicolo amministrativo degli
atti afferenti il ricorso, costituendosi in giudizio con successiva memoria
depositata il 3 novembre 2010.
Nel predetto atto l'Istituto ha premesso che, con sentenza n. 177/2009, questa
Sezione ha già avuto modo di decidere su quanto oggi richiesto dal ricorrente,
relativamente all'asserita maturazione del diritto a pensione, nel senso che
"...la richiesta dell'interessato appare palesemente infondata (...)".
Secondo l'INPDAP, ci si trova dunque di fronte ad una evidente violazione del
divieto di frazionamento della domanda inerente lo stesso rapporto, domanda che
deve quindi essere dichiarata improcedibile. In effetti, l'art. 20 del D.L. n.
112/2008, convertito con modificazioni nella legge n. 133/2008, ai commi 7 e 8
stabilisce:
"7. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, nei
procedimenti relativi a controversie in materia di previdenza e assistenza
sociale, a fronte di una pluralità di domande o di azioni esecutive che
frazionano un credito relativo al medesimo rapporto, comprensivo delle somme
eventualmente dovute per interessi, competenze e onorari e ogni altro
accessorio, la riunificazione è disposta d'ufficio dal giudice ai sensi
dell'art. 151 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile
e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto n. 18 dicembre 1941, n.
1368.
8. In mancanza della riunificazione di cui al comma 7, l'improcedibilità delle
domande successive alla prima è dichiarata dal giudice, anche d'ufficio, in ogni
stato e grado del procedimento. Analogamente, il giudice dichiara la nullità dei
pignoramenti successivi al primo in caso di proposizione di più azioni esecutive
in violazione dell'art. 7".
L'INPDAP ha poi ribadito che quanto richiesto dal sig. M. viola il principio del
ne bis in idem, essendo già stato oggetto di giudicato. In tale contesto, quanto
deciso con la citata sentenza n. 177/2009 copre sia il dedotto che il
deducibile.
Per quanto riguarda l'istanza di riscatto, l'INPDAP ne sostiene la totale
infondatezza alla luce delle due seguenti considerazioni:
1) come riconosciuto dallo stesso ricorrente, il periodo di cui si chiede la
valorizzazione risulta già interamente ricoperto da contribuzione ai fini
previdenziali. Trattasi, infatti, di periodo per il quale il ricorrente ha
prestato attività lavorativa alle dipendenze del Corpo di Polizia di Stato;
2) l'istanza amministrativa per il riscatto del Diploma di Laurea (presentata il
3 settembre 2009) è stata inoltrata oltre i termini di decadenza all'uopo
individuati dalla normativa di riferimento e, comunque, al di là di ogni
ragionevole termine atto a garantire la certezza dei rapporti giuridici.
In conclusione, l'INPDAP ha chiesto, in via pregiudiziale, di pronunciare
l'inammissibilità del presente ricorso e, nel merito, di rigettarlo stante
l'evidente infondatezza delle domande proposte. In estremo subordine, per la
denegata e non creduta ipotesi di un favorevole riscontro alle domande di parte
ricorrente, l'INPDAP ha chiesto che sulle somme conseguentemente da erogarsi,
previa declaratoria della prescrizione quinquennale, sia corrisposta la sola
maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria a far data dal
1.1.1992, nei termini indicati dall'art. 16, 6° comma, della legge n. 412/91 -
autenticamente interpretato dall'art. 45, 6° comma, della legge n. 448/98, oltre
che in osservanza alle indicazioni all'uopo fornite dalla sentenza delle Sezioni
Riunite di questa Corte n. 10/2002/QM.
All'odierna udienza il dott. Prato, in rappresentanza dell'INPDAP, ha osservato
che la domanda del ricorrente è già stata oggetto di altro giudizio definito con
sentenza n. 177/2009. Ha pertanto insistito per il rigetto e per la condanna del
ricorrente alle spese da liquidarsi in modo equitativo.
Motivi della decisione
Relativamente alla domanda avente ad oggetto la concessione della pensione di
anzianità a decorrere dal 20 maggio 2000, il ricorso è inammissibile.
Come è noto, nel nostro sistema processuale vige il fondamentale principio del
ne bis in idem, ossia il divieto per qualsiasi giudice di pronunciarsi sulla
materia che ha costituito oggetto di pronuncia passata in giudicato e ciò sia
per una esigenza di economia processuale, sia per evitare un possibile contrasto
di giudicati. Pertanto, se risulta che la medesima azione sia stata riproposta
allo stesso o ad altro giudice, quest'ultimo, valutata l'effettiva identità,
dovrà dare atto dell'eccezione di cosa giudicata.
Nella fattispecie non vi è dubbio che la sentenza di questa Sezione
giurisdizionale n. 177 del 31 luglio 2009 (passata in giudicato) si riferisca ad
azione identica a quella qui riproposta, sia sul piano soggettivo che su quello
oggettivo (petitum e causa pretendi).
Tale azione non può essere ripresentata in primo grado, atteso che se il
ricorrente riteneva censurabile la decisione adottata dal giudice di prime cure
(che ha negato la spettanza del diritto a pensione), avrebbe dovuto far valere
le sue doglianze con gli ordinari mezzi di impugnazione previsti dal c.p.c.,
cioè con la proposizione dell'atto di appello.
Alla luce di quanto sopra, la segnalazione effettuata dall'Amministrazione
controinteressata circa la sussistenza di una sentenza che ha già definito la
questione, costituisce eccezione di giudicato, per cui, sul punto, il ricorso va
dichiarato inammissibile perché afferente a causa già decisa.
A conclusione identica si perviene facendo applicazione delle norme di cui
all'art. 20, commi 7 e 8 del D.L. n. 112/2008, convertito con modificazioni
nella legge n. 133/2008, che impongono al giudice di dichiarare
l'improcedibilità (inammissibilità) delle domande successive alla prima che
frazionano un credito relativo al medesimo rapporto.
Per completezza di esposizione si ribadisce che la pretesa del ricorrente è
comunque infondata anche sul piano sostanziale, in quanto l'interessato al
momento del congedo, non aveva l'anzianità sufficiente ai fini della maturazione
del diritto alla pensione.
E, difatti, quand'anche l'aumento del quinto previsto dall'art. 3, comma 5,
della legge 27 maggio 1977 n. 284 dovesse essere riconosciuto sull'intero
servizio prestato, determinando una anzianità di convenzionale di anni 19 mesi 7
e giorni 9, ciò non sarebbe sufficiente alla maturazione del diritto a pensione,
per la mancanza della necessaria anzianità al momento del congedo.
L'art. 6 del D.Lgs. n. 165 del 1997 ha infatti previsto che il diritto alla
pensione di anzianità del personale delle Forze di Polizia si consegue secondo
le disposizioni di cui all'art. 1 commi 25, 26, 27 e 29 della legge n. 335 del
1995. Tale statuizione, a norma dell'art. 8 dello stesso D.Lgs., entra in vigore
dal 1 gennaio 1998.
L'art. 59 della legge n. 449/1997 che, con effetto dal 1 gennaio 1998, ha
introdotto sostanziali modifiche alla legge n. 335 del 1995 di riordino del
sistema pensionistico, ha poi previsto che il personale della Polizia di Stato
possa accedere ai trattamenti pensionistici anticipati, avendo già acquisito
l'anzianità massima contributiva prevista dagli ordinamenti di appartenenza, al
compimento dell'età anagrafica e con l'anzianità individuata dalla lettera b)
del comma 12 della legge n. 449/1997, con il quale è stata sostituita la tabella
B di cui all'art. 6, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 1997,
corrispondenti, per l'anno 2000, a 54 anni di età e 35 di anzianità, oppure 37
anni di anzianità.
Poiché tali requisiti non erano posseduti dal ricorrente alla data di cessazione
del rapporto (20 maggio 2000), è evidente la carenza in capo allo stesso dei
requisiti per il collocamento in pensione di anzianità.
Relativamente alla domanda avente ad oggetto l'istanza di riscatto del periodo
di studi universitari (1 settembre 1997 - 27 aprile 2000) della durata legale di
anni 4 per il conseguimento della Laurea in Scienze Politiche, il ricorso è
infondato.
Il periodo di studi universitari indicato dall'interessato nell'istanza di
riscatto (1 settembre 1997 - 27 aprile 2000) risulta infatti interamente coperto
da contribuzione connessa al servizio prestato presso la Polizia di Stato (17
gennaio 1984 - 19 maggio 2000). Tale periodo non può quindi essere valutato (ai
fini di pensione) due volte, come sancito dall'art. 2 comma 5°, ultimo periodo,
del D.L. 1 ottobre 1982 n. 694, aggiunto dalla legge di conversione 29 novembre
1982, n. 881, che così dispone: "L'esercizio della facoltà di riscatto resta
limitato ai periodi di studio non contemporanei ai servizi civili e militari, di
ruolo e non di ruolo, considerati utili agli stessi fini per effetto di
disposizioni diverse".
A ciò si deve aggiungere che, ai sensi dell'art. 147 del D.P.R. n. 1092 del 1973
"Il dipendente statale che abbia da far valere servizi o periodi computabili a
domanda, con o senza riscatto, può presentare la domanda contestualmente alla
dichiarazione di cui all'articolo 145 oppure successivamente, ma almeno due anni
prima del raggiungimento del limite di età previsto per la cessazione dal
servizio, pena la decadenza.
Qualora la cessazione dal servizio abbia luogo prima che sia scaduto il termine
di cui al primo comma, la domanda deve essere presentata, a pena di decadenza,
entro novanta giorni dalla comunicazione del provvedimento di cessazione".
Nella fattispecie il ricorrente, cessato dal servizio con decorrenza 20 maggio
2000, ha presentato domanda di riscatto solamente il 3 settembre 2009 e quindi
ben oltre il termine decadenziale previsto dalla sopra richiamata normativa.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile con riferimento alla
prima domanda e infondato con riferimento alla seconda.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non ravvisandosi gli estremi per la
condanna della parte soccombente ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 96 del
c.p.c., come richiesto dall'INPDAP.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la regione Piemonte, in
composizione monocratica, definitivamente pronunciando dichiara inammissibile e,
in parte, infondato il ricorso in epigrafe presentato dal sig.
####################
Nulla per le spese.
Si fissa in 60 giorni il termine per il deposito della sentenza.
Così deciso in Torino, il 17 novembre 2010.
Depositata in Segreteria il 5 gennaio 2011.