EDILIZIA E URBANISTICA - GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA - RESPONSABILITA'
CIVILE
Cons. Stato Sez. V, Sent., 28-02-2011, n. 1271
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Con sentenza n. 623/2007 il Tar per la Puglia, sezione di Lecce, ha respinto
il ricorso proposto dal signor ####################, che aveva chiesto la
condanna del comune di #################### al risarcimento dei danni derivanti
dall'illegittimo ritardo nel rilascio del permesso di costruire in variante,
richiesto dal ricorrente in data 27.12.2001.
#################### ha proposto ricorso in appello avverso tale sentenza per i
motivi che saranno di seguito esaminati.
Il comune di #################### si è costituito in giudizio, chiedendo la
reiezione del ricorso.
Con ordinanza n. 172/2010 questa Sezione ha ritenuto necessario disporre due
consulenze tecniche di ufficio al fine di accertare:
a) il pregiudizio economico subito dall'appellante per effetto del ritardo nel
rilascio del permesso di costruire in questione, da riferire al periodo maggio
2002 / maggio 2004, con indicazione in particolare:
- delle date di stipula dei singoli contratti preliminari e dei contratti
definitivi e dell'incidenza del dedotto ritardo sulla stipula di ogni singolo
contratto;
- della quantificazione dei mancati interessi bancari percepiti dall'appellante
per effetto del ritardo nella corresponsione dei corrispettivi spettanti al
momento della stipula dei contratti definitivi o delle maggiori somme pagate
dallo stesso appellante per gli interessi dovuti ad esposizioni debitorie, non
estinte o non ridotte a causa della ritardata stipula dei contratti definitivi;
- della quantificazione del complessivo pregiudizio patrimoniale subito dal
ricorrente a causa del suddetto ritardo, valutata anche con riguardo al
complesso della sua situazione patrimoniale.
b) la sussistenza delle patologie e dell'alterazione dello stato psichico,
lamentato dal ricorrente, con indicazione della data di insorgenza e della
sussistenza, o meno, del nesso di causalità rispetto al ritardo nel rilascio del
permesso di costruire e con quantificazione del relativo danno.
Espletate le due consulenze e depositate le relazioni, all'odierna udienza la
causa è stata trattenuta in decisione.
2. L'oggetto della presente controversia è costituito da una domanda di
risarcimento del danno, asseritamente derivato all'appellante a causa del
ritardo del comune di #################### nel rilascio di un permesso di
costruire in variante.
I danni lamentati concernono le conseguenze derivanti dal ritardo nella
stipulazione dei contratti definitivi di acquisto degli immobili da costruire,
già oggetto di contratti preliminari e il danno biologico subito per effetto
delle patologie insorte in conseguenza della condotta omissiva
dell'amministrazione.
Il giudice di primo grado ha respinto la domanda risarcitoria, ritenendo che,
pur essendo assolutamente indubbio il superamento del termine per il rilascio
del permesso di costruire previsto dall'art. 20, 3°- 8° comma, del d.p.r. n.
380/2001 ed individuato in 75 giorni dal ricevimento della domanda (60 per
l'istruttoria e 15 per l'emanazione dell'atto), deve essere escluso il requisito
soggettivo della colpa in capo all'amministrazione resistente per effetto di una
particolare complessità della fattispecie e di una serie di evenienze che non
possono essere imputate all'amministrazione comunale di ####################.
Il Tar ha richiamato i seguenti elementi al fine di escludere la sussistenza
della colpa della p.a.:
a) il fatto che la pratica edilizia mancava degli elaborati grafici e del
necessario parere della Soprintendenza per i beni architettonici e per il
paesaggio della Puglia; documentazione acquisita al procedimento solo in data
22.2.2002 (nota prot. n. 1739);
b) la rilevazione della presenza di ben due pareri espressi dalla Soprintendenza
per i beni architettonici e per il paesaggio della Puglia, sempre in data
18.2.2002 (e recanti i numeri di protocollo 3149/01 e 6883/01); rilevazione che
induceva l'Amministrazione comunale di #################### (nota 12.3.2002 prot.
n. 2388) ad indirizzare al ricorrente una richiesta di esibizione degli
elaborati allegati al parere prot. n. 6883/01 (richiesta riscontrata
dall'interessato solo in data 8.4.2002);
c) la necessità di coordinare i due pareri della Soprintendenza per i beni
architettonici e per il paesaggio della Puglia, espressi con riferimento ad
elaborati grafici diversi;
d) la rilevazione di un contrasto tra il parere prot. n. 31914/01 espresso dalla
Soprintendenza e il decreto di vincolo 24.2.2001; contrasto che era risolto,
dopo due solleciti dell'Amministrazione comunale, solo con la nota 18.4.2003
prot. n. 5427 della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio
della Puglia;
e) la richiesta di un parere legale all'Avv. Mauro Ruffo, in data 15.5.2002;
richiesta non andata a buon fine per ragioni di incompatibilità, comunicate dal
legale con la nota 15.7.2002 prot. n. 7031;
f) la rilevazione dell'insufficiente individuazione, negli elaborati grafici,
del piano di calpestio e di una "eccessiva invasione del pubblico marciapiedi
con le rampe scala"; rilevazione che era sostanzialmente ammessa dallo stesso L.
che si impegnava, solo con la nota 20.5.2002 prot. n. 4702, a pagare la tassa di
occupazione di suolo pubblico;
g) la necessità di attendere la definizione del giudizio di impugnazione della
concessione edilizia n. 28/97 (che ha dato origine all'intera edificazione)
proposta dai proprietari di uno degli immobili confinanti avanti al T.A.R.
Puglia, Lecce; giudizio definito in primo grado dalla sentenza 26.2.2003 n. 507
della Prima Sezione del T.A.R. Puglia, Sez. di Lecce e pendente in Consiglio di
Stato;
h) la necessità di sostituire, per ragioni di incompatibilità (in quanto
progettista, nella prima fase, del manufatto in questione), il Responsabile
dell'Ufficio tecnico del Comune di #################### con l'unico dipendente
in servizio presso l'Ufficio, fornito della necessaria qualificazione (nota
18.2.2004 prot. n. 2276 del Sindaco di ####################);
i) la definizione del procedimento, in data 4.5.2004, con il rilascio del
permesso di costruire richiesto con istanza 27.12.2001; permesso di costruire
che richiamava espressamente, tra i propri presupposti, la già citata nota
18.4.2003 prot. n. 5427 della Soprintendenza per i beni architettonici e per il
paesaggio per la Puglia e la sentenza della Prima Sezione del T.A.R., emessa sul
ricorso presentato dai proprietari dell'immobile confinante.
Il Tar ha poi aggiunto che l'azione risarcitoria doveva essere comunque
rigettata anche per una serie di problematiche relative alla prova del danno
risarcibile.
L'appellante #################### ha contestato tali statuizioni, sostenendo che
gli elementi richiamati dal Tar non sono idonei ad escludere la colpa
dell'amministrazione e, comunque, non giustificano il ritardo nel rilascio del
permesso di costruire in variante dopo il periodo febbraio - maggio 2002, quando
ormai l'istruttoria era completa.
Secondo l'appellante, inoltre, in relazione al danno e al nesso di causalità con
la condotta omissiva dell'amministrazione sarebbero stati forniti adeguati
elementi, costituenti quanto meno un principio di prova.
Si osserva che in primo luogo deve essere affrontata la questione del ritardo
imputato all'amministrazione comunale e della colpa, che - secondo il ricorrente
- caratterizzerebbe tale ritardo.
Il giudice di primo grado ha confermato la sussistenza di un ritardo nel
rilascio del permesso di costruire in variante, richiamando - al fine di
escludere l'elemento soggettivo dell'illecito - una serie di elementi, che in
parte si riferiscono alla non completezza della documentazione istruttoria per
carenze addebitabili al ricorrente.
Si rileva in fatto che l'istanza di rilascio del permesso di costruire in
variante è stata presentata in data 27 dicembre 2001 e che i 75 giorni per la
definizione della stessa, richiamati dal Tar, scadevano nel marzo del 2002.
Lo stesso Tar riconosce che elaborati grafici e parere della Soprintendenza sono
stati acquisiti in data 22 febbraio 2002 e che la richiesta degli elaborati
allegati al parere della Soprintendenza è stata riscontrata dall'interessato in
data 8 aprile 2002.
Ciò significa che in tale ultima data l'istruttoria era certamente completa e
che a quel punto il responsabile del procedimento avrebbe dovuto formulare entro
dieci giorni la sua proposta ai sensi dell'art. 4, comma 2, del d.l. n.
398/1993, conv. in l. n. 493/1993 ed entro i successivi quindici giorni il
titolo abilitativo avrebbe dovuto essere rilasciato ai sensi del comma 4 del
citato art. 4 (termini sostanzialmente corrispondenti a quelli stabiliti
dall'art. 20 del D.P.R. n. 380/2001, entrato in vigore definitivamente il 30
giugno 2003).
Il permesso di costruire in variante doveva, quindi, essere rilasciato entro il
3 maggio 2002, mentre è stato rilasciato solo in data 4 maggio 2004 con due anni
di ritardo.
Gli elementi richiamati dal Tar non sono idonei a escludere la colpa
dell'amministrazione per il ritardo nel provvedere.
Non sono idonee a giustificare il ritardo le richieste istruttorie inviate dal
Comune alla Soprintendenza: quest'ultima aveva espresso il proprio parere
favorevole in data 18 febbraio 2002 e i documenti prodotti dal ricorrente
nell'aprile del 2002 escludevano ogni dubbio sul progetto in relazione al quale
il parere era stato espresso.
Non rientrava a quel punto tra i poteri del Comune sindacare tale parere e le
richieste inviate alla Soprintendenza appaiono in realtà dirette a contestare un
profilo di legittimità del parere (contrasto con il vincolo), rispetto al quale
il Comune non ha competenza, e non la contraddittorietà con altri atti della
Soprintendenza, che è risultata inesistente, come da quest'ultima
successivamente chiarito.
In ogni caso, ogni dubbio sul parere espresso dalla Soprintendenza non poteva
legittimare la stasi del procedimento, nè una plurima serie di richieste, che
sono risultate essere dilatorie, ma avrebbe al massimo potuto comportare una
rapida e diretta verifica presso la stessa Soprintendenza, in assenza della
quale il procedimento non poteva che essere portato a conclusione sulla base
degli atti, tra cui vi era il parere favorevole della Soprintendenza.
Ancora più evidente è l'inidoneità delle ulteriori circostanze richiamate dal
tar al fine di giustificare il ritardo:
- la richiesta di un parere legale all'Avv. Ruffo appare un espediente per non
assumere la determinazione finale di un procedimento la cui istruttoria era
ormai completa, come dimostra il fatto che alla tardiva comunicazione da parte
del legale di ragioni di incompatibilità non è seguito il conferimento ad altro
legale dell'incarico di redigere un parere, in realtà non utile ai fini della
decisione;
- la necessità del pagamento dell'occupazione del suolo pubblico avrebbe dovuto
costituire un mero adempimento preliminare al rilascio del titolo abilitativo,
dopo l'accoglimento dell'istanza e non poteva certo condizionare il
proseguimento del procedimento (peraltro, l'impegno a pagare la tassa è stato
assunto nel maggio 2002, a conferma dell'insussistenza di ragioni giustificative
del ritardo dopo tale data);
- l'esistenza di un giudizio avente ad oggetto la legittimità dell'originaria
concessione edilizia non poteva paralizzare l'azione amministrativa, a meno che
gli atti non fossero stati sospesi o annullati dal giudice (cosa non
verificatasi) o annullati in via di autotutela dall'amministrazione (in
sostanza, in presenza di un contenzioso, l'amministrazione può valutare le
contestazioni che le vengono mosse ai fini dell'eventuale esercizio del proprio
potere di autotutela, ma non può decidere semplicemente di non dare corso ad un
procedimento amministrativo, caratterizzato da precisi termini);
- del tutto pretestuosa - al fine di giustificare il ritardo - risulta essere
l'esigenza di sostituire il responsabile del procedimento perché incompatibile,
trattandosi di aspetto che rientra nelle modalità organizzative della p.a. e che
in alcun modo può incidere sul rispetto dei termini del procedimento, posti a
garanzia del privato e della certezza dei tempi dell'azione amministrativa,
essendo compito della p.a. predisporre misure organizzative idonee a consentire
il rispetto di termini normativamente previsti. (peraltro, non si comprende come
la sostituzione del responsabile del procedimento possa giustificare un simile
ritardo).
Da tali considerazioni emerge come il ritardo nel rilascio del permesso di
costruire in variante sia imputabile soggettivamente al comune di
#################### e come non sussista alcun valido elemento idoneo a
escludere la colpa dell'amministrazione per il ritardo.
Anzi dagli atti risulta il rilascio del permesso di costruire in variante sia
intervenuto solo dopo la presentazione da parte del ricorrente di un ricorso
avverso il silenzio ai sensi dell'allora vigente art. 21bis della L. Tar e ciò
conferma come alcun elemento ostativo sussisteva per il rilascio del
provvedimento, avvenuto solo dopo la presentazione del ricorso e con due anni di
ritardo (anche seguendo le tesi del Comune, qui comunque non accolte, il ritardo
di un anno sarebbe imputabile alla sola esigenza di procedere alla nomina del
responsabile del procedimento e tale elemento è indicativo della colpevole
inerzia tenuta dal comune in questa vicenda).
3. L'accertamento della sussistenza di un ritardo di due anni nel rilascio del
permesso di costruire in variante e l'imputabilità del ritardo al Comune non
risolvono tutte le problematiche della presente controversia, che attiene al
risarcimento del danno subito dal ricorrente a causa di tale ritardo.
Nel caso di specie, ricorre l'ipotesi in cui il privato invoca la tutela
risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con cui l'amministrazione ha
adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato appunto con ritardo
rispetto al termine previsto per quel determinato procedimento.
Il ritardo procedimentale ha, quindi, determinato un ritardo nell'attribuzione
del c.d. "bene della vita", costituito nel caso di specie dalla possibilità di
edificare secondo il progetto richiesto in variante.
In questi casi la giurisprudenza è pacifica nell'ammettere il risarcimento del
danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga
provato) e l'intervenuto art. 2bis, comma 1, della legge n. 241/90, introdotto
dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato
nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche
amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno
ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine
di conclusione del procedimento.
La norma presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e
la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un
qualunque procedimento, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo
costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell'attuazione di
piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa
convenienza economica (Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368,
che, traendo argomenti dal citato art. 2bis, ha aggiunto che il danno
sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora
concluso e finanche se l'esito fosse stato in ipotesi negativo).
Nel caso di specie, non rileva la questione della risarcibilità del danno da
ritardo in caso di non spettanza del c.d. "bene della vita" e della
compatibilità dei principi affermati dalla decisione dell'Adunanza plenaria n.
7/2005 con il nuovo art. 2bis della legge n. 241/90, avendo la stessa
amministrazione riconosciuto tale spettanza con il (tardivo) rilascio del
permesso di costruire in variante
Si deve, quindi, passare a verificare gli elementi probatori in ordine
all'esistenza del danno e al rapporto di causalità con il menzionato ritardo.
Per ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per
l'illegittimo esercizio (o, come nel caso di specie, mancato esercizio)
dell'attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la
prova dell'esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio
acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell'istruttoria e
non all'allegazione dei fatti; se anche può ammettersi il ricorso alle
presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e
della sua entità, è comunque ineludibile l'obbligo di allegare circostanze di
fatto precise e quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei
fatti non vi adempie non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del
danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l'impossibilità di provare
l'ammontare preciso del pregiudizio subito, nè può essere invocata una
consulenza tecnica d'ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento
dell'onere probatorio da parte del privato (Cons. Stato,. V, 13 giugno 2008 n.
2967; VI, 12 marzo 2004, n. 1261, secondo cui la consulenza tecnica, pur
disposta d'ufficio, non è certo destinata ad esonerare la parte dalla prova dei
fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, fatti che
devono essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua dei criteri di
ripartizione dell'onere della prova posti dall'art. 2697 c.c., ma ha la funzione
di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche
non possedute).
La stessa richiamata giurisprudenza ha anche precisato che l'onere probatorio
può ritenersi assolto allorché il ricorrente indichi, a fronte di un danno certo
nella sua verificazione, taluni criteri di quantificazione dello stesso, salvo
il potere del giudice di vagliarne la condivisibilità attraverso l'apporto
tecnico del consulente o, comunque, quando il ricorrente fornisca un principio
di prova della sussistenza e quantificazione del danno.
Il giudice di primo grado ha applicato in modo erroneo tali principi, ritenendo
del tutto non dimostrato il danno subito per il ritardo nella stipulazione dei
contratti definitivi di acquisto degli immobili da costruire, già oggetto di
contratto preliminare e il danno biologico subito per effetto delle patologie
insorte in conseguenza della condotta omissiva dell'amministrazione.
Si osserva che in realtà il ricorrente aveva depositato in primo grado una serie
di elementi probatori diretti a dimostrare la sussistenza del danno e il
rapporto di causalità (relazione sul valore complessivo dell'immobile, bilanci
di esercizio attestanti le perdite subite e perizia di parte circa il danno
biologico subito a causa del protrarsi del ritardo dell'azione amministrativa).
L'onere probatorio era stato, quindi, almeno in parte assolto dal ricorrente,
che aveva fornito elementi per dimostrare l'imputabilità al ritardo di una serie
di perdite patrimoniali subite e di una patologia medica riscontrata
Questa Sezione ha quindi disposto due consulenze tecniche al fine di verificare
la correttezza delle tesi del ricorrente, chiedendo, per il profilo inerente il
ritardo nella stipula dei contratti, una serie di elementi idonei ad individuare
criteri di quantificazione diversi da quelli prospettati dalla parte e ciò ha
giustificato l'acquisizione in appello di documenti ulteriori, ritenuti
indispensabili ai fini della decisione ai sensi dell'art. 104, comma 2, cod.
proc. amm. (e, in precedenza, dell'art. 345, comma 3, c.p.c.), tenuto anche
conto che tali profili non erano stati approfonditi in primo grado, essendosi il
Tar limitato ad escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo dell'illecito.
4. Si deve, quindi, passare ad esaminare i due distinti profili della richiesta
di risarcimento del danno, partendo da quello inerente il ritardo nella stipula
dei contratti di compravendita delle unità immobiliari, oggetto del permesso di
costruire in variante in questione.
Sgombrato in precedenza il campo da ogni eccezione relativa alla inammissibilità
delle produzioni documentali, avvenute in appello ed esaminate dal Ctu, si
rileva come il consulente d'ufficio, dott. Donato Pezzuto, abbia risposto in
modo esaustivo ai quesiti formulati, fornendo al Collegio ogni elemento per
decidere, anche in relazione alle osservazioni formulate dai consulenti di
parte.
In particolare, con riferimento all'incidenza del ritardo nel rilascio del
permesso di costruire sul prezzo di compravendita, risultante dai contratti
definitivi, il Ctu ha evidenziato che non sono documentate le ragioni per cui le
parti abbiano stipulato i contratti definitivi ad un prezzo inferiore a quello
indicato sui preliminari di vendita, aggiungendo che l'ipotesi di danno relativa
a tali differenze di prezzo è fondata esclusivamente sulle dichiarazioni di
parte e che i contratti preliminari non risultano registrati presso l'Agenzia
delle entrate e non hanno data certa.
Il consulente ha correttamente rimesso la valutazione di tali elementi al
Consiglio di Stato, pur quantificando le differenze di prezzo tra contratti
preliminari e definitivi in euro 332.904,90.
Il Collegio ritiene che non sia stata raggiunta una adeguata prova della data di
stipula dei preliminari e, soprattutto, del nesso di causalità tra il ritardo
nel rilascio del permesso di costruire e il differente prezzo indicato negli
atti definitivi di compravendita.
Alcun idoneo elemento è stato fornito dal ricorrente per dimostrare che tali
differenze costituiscono uno sconto applicato in conseguenza del ritardo nella
stipula dei contratti definitivi e deve, quindi, escludersi la sussistenza del
menzionato nesso di causalità.
Il Ctu ha poi precisato che, pur non essendo stata indicata nella maggior parte
dei contratti preliminari una data ultima per la sottoscrizione del definitivo,
è ragionevole ritenere che, se il permesso in variante fosse stato rilasciato
tempestivamente, i contratti definitivi potevano essere stipulati a partire
dalla fine del mese di maggio del 2002.
Tale considerazione, che il Collegio condivide, conduce a ritenere sussistente
il nesso di causalità tra il ritardo del Comune e il danno derivante dalla
mancata immediata disponibilità delle somme corrispondenti al prezzo di acquisto
degli immobili in capo al ricorrente.
Al fine di quantificare tale danno, il consulente ha proposto due criteri
alternativi, uno costituito dagli interessi effettivamente praticati
dall'istituto bancario al ricorrente e il secondo fondato sugli interessi
legali.
Il Collegio ritiene non verosimile che somme di non esiguo importo potessero
essere lasciate dal ricorrente sul suo conto bancario, che all'epoca aveva
interessi molto bassi (inferiori allo 0,1 %) e giudica, quindi, corretto
l'utilizzo del criterio degli interessi legali, oscillanti in quale periodo tra
il 2,5 e il 3 % (misura corrispondete a diverse altre modalità di investimento,
facilmente accessibili).
Tale criterio è stato correttamente applicato dal consulente in relazione alla
data di ogni singola operazione di compravendita, escludendo altrettanto
correttamente quelle operazioni per le quali il preliminare era stato stipulato
dopo il rilascio del permesso di costruire in variante.
L'importo complessivo degli interessi legali, calcolati dal consulente, è di
euro 36.100,33 e tale somma va, quindi, riconosciuta al ricorrente a titolo dir
risarcimento del danno, unitamente all'ulteriore somma di euro 2.042,48,
corrispondente a interessi e spese per un finanziamento contratto dal ricorrente
presso un istituto bancario nel giugno del 2002, che non sarebbe stato contratto
o sarebbe stato subito estinto in caso di insussistenza del ritardo e
conseguente anticipata disponibilità delle somme derivanti dalle compravendite
degli immobili.
E' anche provato il nesso di causalità tra il ritardo nel rilascio del permesso
di costruire e nella successiva stipula dei contratti definitivi e l'ICI, che il
ricorrente ha continuato a pagare nel periodo maggio 2002 / maggio 2004, che
ammonta a complessivi euro 2.117,36 (che non avrebbe pagato in caso di
antecedente stipula dei contratti definitivi).
Con riferimento alle spese legali rivendicate dal ricorrente, si osserva che le
spese attinenti ai giudizi contro il comune di #################### o contro
altri soggetti controinteressati rispetto al rilascio del permesso di costruire
non possono essere riconosciute nella presente sede risarcitoria, ma formeranno
oggetto delle statuizione dei competenti giudici in sede di definizione di
ciascuna controversia (compresa ovviamente la presente, come verrà statuito in
seguito).
Vanno, invece, riconosciute a titolo di risarcimento del danno le spese
sostenute nella causa promossa dal signor Valentini contro il ricorrente proprio
per il ritardo nella stipula del contratto definitivo e per una riduzione del
prezzo; tali spese ammontano a euro 3.864,86.
In relazione a tale controversia non può essere riconosciuta alcuna ulteriore
somma a titolo di risarcimento del danno, non essendovi allo stato un danno
certo e dipendendo l'attualità della questione dall'esito di quel giudizio
civile, trattandosi, allo stato, di un danno puramente ipotetico e non assistito
da alcuna dimostrazione - come correttamente affermato dal Tar - della
ragionevole probabilità della verificazione.
Nè, infine, possono essere riconosciute somme correlate alle perdite di
esercizio subite dalla ditta del ricorrente nel periodo in questione, in quanto
tale criterio, proposto in primo grado dal ricorrente, risulta essere di
difficile applicazione e incerto nei risultati e, soprattutto, è alternativo
alla analitica valutazione degli elementi del danno operata in precedenza.
Il complessivo danno subito dal ricorrente per le conseguenze del ritardo nel
rilascio del permesso di costruire sulle compravendite degli immobili ammonta
complessivamente ad euro 44.125,03.
Su quanto dovuto a titolo di risarcimento del danno, costituente debito di
valore, spettano la rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat dal maggio
2004 ad oggi e gli interessi compensativi calcolati nella misura legale
separatamente sul capitale via via rivalutato dalle singole scadenze mensili
fino al soddisfo (Cass. civ., III, n. 5671/2010; Cons. Stato, IV, n. 2983/06).
La decorrenza di interessi e rivalutazione dal maggio del 2004 si giustifica con
il fatto che in tale data è cessata la situazione di illecito
dell'amministrazione e i criteri utilizzati dal Ctu hanno in concreto riportato
a tale data la quantificazione del danno.
5. Con riguardo all'ulteriore profilo di danno chiesto da ricorrente e relativo
alla patologia medica, si ricorda che il giudice di primo grado aveva escluso la
risarcibilità per difetto di prova in ordine al nesso causale tra il
comportamento dell'Amministrazione e l'infermità.
E' stato già evidenziato come in primo grado il ricorrente avesse fornito
elementi di prova del danno e del nesso di causalità, ritenuti sussistenti in un
parere medicolegale di parte, vertente su aspetti che sono stati approfonditi
nella consulenza tecnica d'ufficio, disposta in appello.
Il Ctu dott. ####################, medico della Polizia di Stato, ha evidenziato
la sussistenza della patologia "disturbo ansioso - depressivo reattivo con
somatizzazioni somatiche, quali l'alopecia", ritenendo l'insorgenza di tale
infermità collocabile tra la fine del 2001 e l'inizio del 2002.
In relazione al nesso di causalità, il consulente ha rilevato che il disturbo
riscontrato nel ricorrente trova la sua causa in "stimoli esterni capaci di
influenzare negativamente le capacità di adattamento di un soggetto" e che "la
condotta omissiva da parte dell'amministrazione comunale è stata vissuta
dall'appellante come atto profondamente ingiusto e inspiegabile, al quale non ha
saputo opporre adeguate risposte sul piano dell'elaborazione esistenziale".
Il giudizio sulla sussistenza del nesso di causalità tra la patologia e il
ritardo nel rilascio del permesso di costruire, benché fondato su valutazioni in
parte probabilistiche, è condiviso dal Collegio.
Va, tuttavia, evidenziato che la quantificazione del danno biologico permanente
nella misura di 10 punti percentuali non tiene conto del fatto che lo stesso Ctu
ha ricondotto l'insorgenza dei primi avvisi della patologia ad un periodo (fine
2001 - inizio 2002), antecedente al manifestarsi dell'inerzia della p.a., anche
se il Ctu ha poi rilevato che "la strutturazione di una vera patologia psichica
è poi insorta nel maggio del 2004,... allorché iniziò i trattamenti in ambito
dermatologico, peraltro infruttuosi, seguiti dal ricovero in casa di cura
psichiatrica (luglio 2004)".
Il nesso di causalità può ritenersi sussistente in relazione a tale seconda fase
della patologia, e non alla sua insorgenza e, di conseguenza, il danno biologico
permanente può essere equitativamente ridotto a 7 punti percentuali.
Va ricordato che il danno biologico costituisce quell'aspetto del danno non
patrimoniale che afferisce all'integrità fisica della persona (Cass. civ., III,
n. 19816/2010), assumendo i postumi d'invalidità personale natura patrimoniale
solo in ipotesi di prova, nel caso di specie, insussistente, di idoneità ad
incidere sulla capacità del danneggiato di produrre reddito (Cass. civ., III, n.
13431/2010).
A seguito delle note pronunce delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 26972,
26973, 26974 e 26975 dell'11 novembre 2008), l'ambito della risarcibilità del
danno non patrimoniale è esteso, oltre ai casi espressamente previsti dalla
legge (art. 185 c.p.), alle ipotesi in cui l'inadempimento abbia leso in modo
grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione, quali il danno da
lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno
biologico, del quale è data, dagli artt. 138 e 139, d.lgs. n. 209/2005,
specifica definizione normativa.
Nel caso di specie, il danno accertato dal Ctu è appunto il danno biologico,
derivante dalla lesione del diritto inviolabile alla salute e deriva, inoltre,
da un illecito di carattere permanente, costituito dall'inerzia della p.a. nel
provvedere su una istanza del privato, che assume particolare valenza negativa,
derivando dall'ingiustificata inosservanza del termine di conclusione del
procedimento, che il legislatore ha, di recente, elevato all'ambito dei livelli
essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale, ai
sensi dell'art. 117, comma 2, lett. m), Cost. (v. il comma 2bis., dell'art. 29
della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, che richiama appunto
tra tali livelli essenziali l'obbligo per la p.a. di concludere il procedimento
entro il termine prefissato e le disposizioni relative alla durata massima dei
procedimenti).
Tale richiamo, benché effettuato ai fini di definire l'ambito di applicazione
della legge n. 241/90 con riguardo al rapporto tra legislatore statale e
regionale, assume una valenza pure per valorizzare e potenziare ogni forma di
tutela, inclusa quella risarcitoria, per i danni da ritardo della p.a., che
possono quindi riguardare anche le conseguenze di detto ritardo sull'integrità
fisica del cittadino.
Nel caso di specie, la già debole situazione psicofisica del ricorrente è stata
in concreto messa duramente alla prova da una attesa, apparsa a volte
interminabile, della conclusione di un procedimento, da cui dipendeva la sorte
dell'unica attività imprenditoriale in quel momento svolta. Il ritardo di due
anni nella conclusione del procedimento e le già menzionate ripetute e
pretestuose richieste, che hanno assunto l'unico scopo di dilazionare
(illegittimamente) l'adozione del provvedimento finale, sono elementi che hanno
finito per incidere sull'equilibrio psico - fisico del ricorrente, provocando un
danno, che va quindi risarcito.
La quantificazione del danno biologico permanente, determinato in sette punti
percentuali, va effettuata in via equitativa, anche tenendo conto dell'età del
ricorrente nel 2004 (41 anni) e dei criteri di cui all'art. 139 del d. lgs. n.
209/2005 (corretti in aumento - sempre in via equitativa - anche alla luce dei
criteri utilizzati dalla giurisprudenza civile e in particolare dal Tribunale di
Milano; v. Trib. Milano, V, 09 giugno 2009, n. 7515), nella misura di
complessivi euro 11.220,00, su cui vanno calcolati interessi e rivalutazione
monetaria secondo i criteri indicati in precedenza.
6. In conclusione, il ricorso in appello deve essere in parte accolto e, in
riforma dell'impugnata sentenza, va in parte accolto il ricorso di primo grado
con condanna del comune resistente al risarcimento del danno della complessiva
somma di euro 55.345,03., oltre a rivalutazione monetaria secondo gli indici
Istat dal maggio 2004 ad oggi e gli interessi compensativi calcolati nella
misura legale separatamente sul capitale via via rivalutato dalle singole
scadenze mensili fino al soddisfo.
Alla sostanziale soccombenza del Comune seguono le spese del doppio grado di
giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo.
A carico del Comune vanno poste anche i compensi delle due Ctu, che si ritiene
di poter liquidare collegialmente in questa sede, non essendo intervenuto al
momento del passaggio in decisione del ricorso alcun decreto di liquidazione ai
sensi degli artt. 66, comma 4 e 67, comma 5, cod. proc. amm..
Al consulente dott. #################### va liquidato il compenso di complessivi
euro 6.500,00, oltre accessori di legge, tenuto conto del valore della
controversia, riferito al complesso delle voci di risarcimento esaminate (euro
391.320,02) e dei criteri fissati dall'art. 2 del d.m. 30 maggio 2002.
Al consulente dott. #################### va liquidato il compenso di complessivi
euro 2.592,70, di cui euro 1092,70 per spese, oltre agli accessori di legge.
In caso di già avvenuta corresponsione ai consulenti dell'acconto da parte
dell'appellante, la relativa somma andrà detratta da quella da pagare ai Ctu e
rimborsata dal comune all'appellante.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), accoglie in
parte il ricorso in appello indicato in epigrafe e per l'effetto, in riforma
della sentenza impugnata, accoglie in parte il ricorso proposto in primo grado,
condannando il comune di #################### al pagamento in favore di
####################, a titolo di risarcimento del danno, del complessivo
importo di euro 55.345,03, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali
secondo i criteri di cui in parte motiva.
Condanna il comune di #################### alla rifusione, in favore
dell'appellante, delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate nella
complessiva somma di Euro 10.000,00, oltre Iva e C.P..
Liquida in favore del Ctu dott. #################### il compenso di complessivi
euro 6.500,00, oltre accessori e in favore del Ctu dott. #################### il
compenso di complessivi euro 2.592,70, di cui euro 1092,70 per spese, oltre
accessori, ponendo i costi delle Ctu a carico del comune appellato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.