INVALIDI - VIGILI DEL FUOCO
Cons. Stato Sez. VI, Sent., 20-10-2010, n. 7594
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Il Ministero dell'Interno riferisce che con atto notificato in data 2 maggio
2007 il sig. #################### ####################, in servizio presso il
Dipartimento dei Vigili del Fuoco, ebbe a proporre ricorso avverso il
provvedimento della direzione centrale per le risorse umane in data 7 marzo 2007
con cui era stata respinta la sua istanza volta a fruire di tre giorni di
permesso mensile ai sensi dell'art. 33 della l. 5 febbraio 1992, n. 104, per
assistere la cognata sig.ra ####################, riconosciuta portatrice di
handicap grave.
Risulta agli atti che, nel rendere la propria relazione istruttoria al Ministero
dell'Interno (nota in data 5 febbraio 2007), il Prefetto de L'Aquila ebbe a
ritenere ostative al riconoscimento del beneficio due circostanze
- il fatto che, pur non potendosi negare l'effettivo svolgimento di un'attività
assistenziale da parte del dipendente nei confronti della cognata, tale attività
non assumeva carattere di esclusività, dato che il ricorrente si alternava con
la propria moglie nelle conseguenti incombenze;
- il fatto che l'attività prestata dal sig. #################### non presentasse
il carattere della continuità, "in ragione dei turni di servizio e della
lontananza della sede di lavoro".
Le richiamate ragioni ostative venivano fatte proprie dal Ministero dell'Interno
il quale, con il provvedimento impugnato in primo grado, respingeva l'istanza
per la ritenuta assenza del carattere di continuità ed esclusività
nell'assistenza prestata.
Con il ricorso in primo grado il #################### lamentava che
l'Amministrazione intimata avesse omesso di tenere in adeguata considerazione
l'effettivo possesso, da parte sua, dei requisiti necessari per accedere al
beneficio in parola, anche in considerazione del fatto che lo stesso risultava
essere l'unico appartenente al nucleo familiare in grado di provvedervi in modo
continuativo ed esclusivo, stante l'impossibilità a provvedervi da parte della
madre (anziana e a propria volta gravemente malata) e della propria moglie
(sorella della persona bisognosa di assistenza), lavoratrice e madre di una
bambina di appena otto mesi di età.
Con la pronuncia oggetto del presente gravame, il Tribunale amministrativo
respingeva il ricorso osservando (in via di estrema sintesi):
- che sussistessero nel caso di specie le condizioni previste dal comma 3
dell'art. 33, l. n. 104 del 1992 al fine del riconoscimento del beneficio
richiesto. Sotto tale aspetto, i primi Giudici ritenevano dirimente ai fini del
decidere "(la) situazione di grave disagio familiare con specifico riferimento
all'impossibilità da parte della madre e della sorella della persona affetta da
handicap a poter fornire assistenza a quest'ultima in considerazione del loro
stato di salute già gravemente compromesso";
- che il carattere di esclusività dell'assistenza che poteva essere prestata dal
sig. #################### restava confermata dalla circostanza per cui sua
moglie (la sig.ra M.C., sorella della persona meritevole di assistenza, sig.ra
M.C.) non vi poteva attendere essendo madre lavoratrice da pochi mesi;
- che, altresì, risultasse agli atti il carattere di continuità dell'assistenza
prestata dall'odierno appellato in favore della propria cognata;
- che, inoltre, il provvedimento impugnato risultasse illegittimo per avere
l'Amministrazione fatto ricorso ad "una motivazione di stile limitata alla mera
e generica indicazione dell'insussistenza dei presupposti di legge, senza
indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche sottese alla propria
determinazione, in modo da rendere percepibile al destinatario del provvedimento
l'iter logicogiuridico seguito dall'Amministrazione medesima".
La pronuncia in questione veniva gravata in sede di appello dal Ministero
dell'Interno il quale ne lamentava l'erroneità e ne chiedeva l'integrale riforma
articolando un unico, complesso motivo di doglianza.
Si costituiva in giudizio il #################### il quale concludeva nel senso
della reiezione del gravame.
Con ordinanza n. 4635/08 (resa all'esito della Camera di consiglio del 26 agosto
2008) questo Consiglio di Stato respingeva l'istanza di sospensione cautelare
della pronuncia in epigrafe, osservando che "la pronuncia appellata abbia
apprezzato in modo complessivamente condivisibile il carattere continuativo ed
esclusivo dell'attività assistenziale prestata dal sig. #################### nei
confronti della cognata".
All'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2010 i procuratori delle parti
costituite rassegnavano le proprie conclusioni e il ricorso veniva trattenuto in
decisione.
Motivi della decisione
1. Giunge alla decisione il ricorso in appello proposto dal Ministero
dell'Interno avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per
l'Abruzzo con cui è stato accolto il ricorso proposto da un dipendente del Corpo
Nazionale dei Vigili del fuoco avverso il provvedimento con cui era stato negato
il diritto a fruire del permesso di cui all'art. 33 della l. 5 febbraio 1992, n.
104 al fine di prestare assistenza alla cognata affetta da una grave forma di
handicap.
2. Con l'unico motivo di ricorso l'Avvocatura erariale lamenta che la pronuncia
in epigrafe sia meritevole di riforma per non aver considerato che correttamente
gli organi ministeriali avessero nel caso di specie ravvisato l'insussistenza
dei presupposti per riconoscere i beneficî ex lege n.104 del 1992 (con
particolare riguardo ai requisiti di continuità ed esclusività dell'attività
assistenziale prestata in favore della cognata).
Al riguardo, il Ministero appellante lamenta che la determinazione ostativa
risultasse correttamente fondata sulle risultanze istruttorie, da cui era
emerso: a) che l'odierno appellato non prestasse attività assistenziale in modo
esclusivo, alternandosi in tali attività con la propria moglie e b) che egli non
prestasse le medesime attività in modo continuativo, "in ragione dei turni di
servizio e della lontananza della sede di lavoro".
Al riguardo l'appellante osserva che, se per un verso è vero che le modifiche
apportate dalla l. 8 marzo 2000, n. 53 alle disposizioni di cui all'art. 33
della leggequadro, n. 104 del 1992 hanno eliminato il requisito della necessaria
convivenza con il disabile al fine di accedere ai beneficî ivi contemplati;
nondimeno la medesima novella normativa avrebbe rafforzato la necessità
dell'accertamento, ai medesimi fini, del presupposto della esclusività
dell'assistenza come elemento necessario per riconoscere i più volte richiamati
beneficî.
Pertanto, in presenza di una pluralità di soggetti in grado di assolvere ai
compiti di assistenza, non sussisterebbe titolo alcuno per riconoscere i tre
giorni di permesso mensile di cui all'art. 33, cit.
Con un secondo argomento, il Ministero appellante lamenta che erroneamente il
primo giudice abbia ritenuto il carattere sostanzialmente immotivato del
provvedimento impugnato in primo grado.
Al contrario, dal provvedimento in data 7 marzo 2007 sarebbero stati agevolmente
evincibili i presupposti in fatto ed in dritto sottesi alla determinazione
reiettiva, anche grazie al rinvio al contenuto degli atti dell'istruttoria
svolta, da cui sarebbe emersa l'effettiva insussistenza dei presupposti per
accordare i richiesti benefîcî.
2.1. I motivi dinanzi sinteticamente richiamati, che possono essere esaminati in
modo congiunto, non possono trovare accoglimento.
2.2. Dal punto di vista dell'inquadramento giuridico della fattispecie, le tesi
sostenute in sede di appello sono condivisibili per la parte in cui affermano
che, all'indomani della novella normativa recata dagli articoli 19 e 20 della l.
n. 53 del 2000 (la quale, ai fini che qui rilevano ha modificato in più punti la
disciplina di cui all'art. 33, l. 104, cit.), è venuta meno la necessità del
requisito della convivenza al fine di accedere al beneficio di cui al comma 5
dell'art. 33, l. cit. (ci si riferisce alla possibilità di scegliere, ove
possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio), ma - al contempo
- è stata rafforzata l'esigenza di verificare l'effettività dell'assistenza
prestata al fine di riconoscere la spettanza dei beneficî contemplati dal
medesimo art. 33.
Dal punto di vista positivo, l'orientamento di politica legislativa in parola è
stato trasfuso nella previsione di cui all'art. 20 della l. 53, cit., il quale
(ai fini che qui rilevano) stabilisce che "le disposizioni dell'articolo 33
della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (...) si applicano anche (...) ai familiari
lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistono con
continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado
portatore di handicap, ancorché non convivente".
Pertanto, il fulcro del thema decidendum non consiste tanto nel determinare se,
ai fini del riconoscimento del richiesto beneficio, fossero necessari i
requisiti della continuità e dell'esclusività dell'assistenza; quanto -
piuttosto - nello stabilire se i requisiti in parola potessero dirsi sussistenti
nel caso sottoposto all'Amministrazione dell'Interno.
Ad avviso del Collegio, al quesito deve essere fornita risposta positiva, se
solo si consideri che:
- per ciò che attiene il requisito della continuità, una lettura in senso
sistematico delle pertinenti disposizioni induce a ritenere che tale requisito
non postuli una costante ed ininterrotta attività assistenziale (secondo
un'opzione interpretativa che, a ben vedere, risulterebbe incompatibile con la
previsione secondo cui tale requisito può sussistere anche in caso di persone
non conviventi e comunque ordinariamente dedite ad attività lavorative per buona
parte della giornata), dovendo piuttosto ritenersi che tale requisito sussista
tutte le volte in cui l'attività assistenziale sia comunque prestata con
modalità costanti, ripetute nel tempo e, nel loro complesso, sufficienti a
garantire le esigenze di tutela della persona portatrice di handicap;
Sotto tale aspetto, quindi, il provvedimento impugnato in prime cure risulta
effettivamente viziato dei lamentati profili di incongruità atteso che
l'Amministrazione, pur avendo ammesso l'effettività dell'opera prestata
dall'odierno appellato con costanza nel corso del tempo in favore della propria
cognata, ha comunque ritenuto che tale attività non presentasse il carattere
della continuità solo "in ragione dei turni di servizio e della lontananza dalla
sede di lavoro". Tuttavia, la motivazione in parola risulta intrinsecamente
contraddittoria in quanto non è dato comprendere per quale ragione un'attività
comunque prestata con carattere di uniformità e costanza nel corso del tempo
venga ritenuta incompatibile con il requisito della continuità per il solo fatto
che vi ostino proprio quei parziali impedimenti lavorativi che il sistema
normativo delineato dalla l. n. 104 del 1992 mira ad attenuare nel comune
interesse del portatore di handicap e del lavoratore;
- per ciò che attiene il requisito dell'esclusività, poi, se per un verso è vero
che l'attività in parola poteva essere (almeno potenzialmente) svolta
dall'odierno appellato insieme con la propria moglie, è pur vero che
l'Amministrazione appellante non sembra aver tenuto in adeguata considerazione
le circostanze concrete (che, pure, erano state ritualmente allegate agli atti)
le quali impedivano - tunc et illic - una collaborazione effettiva nel prestare
la medesima attività. In particolare, l'Amministrazione non sembra aver
adeguatamente valutato il fatto che la moglie del sig. ####################
fosse in concreto gravemente ostacolata nel prestare la propria opera
assistenziale in favore della sorella nel particolare momento storico in cui
l'istanza era stata presentata, trovandosi nella delicata e comprensibile
situazione di lavoratrice madre di una figlia in tenerissima età (otto mesi) e
pertanto, comprensibilmente impossibilitata - ovvero fortemente ostacolata - nel
prestare
un'assistenza effettiva e continuativa in favore della propria sorella.
3. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso in epigrafe deve essere respinto.
Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi onde disporre l'integrale
compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso
in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.