Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-01-2011) 05-04-2011, n. 13693Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Il   difensore di                ####################, indagato reato  di  cui  agli artt.  609 octies e 605 c.p. (violenza sessuale di gruppo e sequestro di  persona, in danno di una minore non ancora diciassettenne,  fatti avvenuti  in  (OMISSIS)),  ad  esso  contestato unitamente  ad  altre due persone ha proposto ricorso per  Cassazione avverso  l'Ordinanza emessa dal Tribunale per il Riesame di Roma,  in data  13 agosto 2010, con la quale, veniva confermata l'Ordinanza  di custodia cautelare del G.I.P. presso il Tribunale di Velletri, per  i seguenti motivi:
1. Vizio di motivazione in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. e).
Il  Tribunale  avrebbe motivato in maniera non adeguata senza  tenere conto  della  memoria  difensiva e documenti ad  essa  allegati,  che avevano  offerto elementi di segno contrario, atti ad evidenziare  la carenza  indiziaria.  In primis, in relazione all'esame  del  referto medico:  la indicazione "sangue rosso vivo all'interno della vagina", era  stata  ritenuta  "indiretta conferma" delle dichiarazioni  della denunciante.  Illogica  appare, poi, la  motivazione  concernente  la censura  che era stata avanzata a proposito  del luogo dove si sarebbe consumata la violenza, individuato, nel provvedimento restrittivo, in un  garage sotterraneo di uno stabile ritenuto disabitato al quale si accede mediante una rampa di accesso che  presenta un cancello "sempre aperto",   come  da  relazione  di  servizio  contenuta   all'interno dell'informativa  7.4.2010.  Invece la  documentazione
prodotta  dava ampia  dimostrazione  che  lo  stabile  di  (OMISSIS),  in (OMISSIS),  è uno stabile totalmente abitato, dotato  di  garage condominiali accessibili mediante cancello regolarmente e solitamente chiuso. Peraltro appare improbabile che di fatto tale sopralluogo sia stato  materialmente effettuato ricostruendo l'attività svolta dalla polizia  giudiziaria la notte dei fatti quale risultante dai  verbali in  atti.  Il  provvedimento impugnato avrebbe, inoltre, omesso  ogni motivazione  circa il comportamento anomalo tenuto dalla  denunciante immediatamente  dopo  i  fatti. In particolare,  appare  non   fondata l'affermazione  che  la  persona offesa  non  avrebbe  immediatamente rivelato  i nomi dei presunti aggressori per paura di ritorsioni,  in quanto   il  tribunale  non  ha  tenuto  conto  delle  argomentazioni difensive:  assenza  di  elementi  riconducibili  al
fenomeno  dello "stalking"   da  essa  subito da parte degli  indagati,  mentre  dalle dichiarazioni testimoniali assunte nel corso delle indagini difensive sarebbe  emerso  che  era  stata  la         D.  stessa  a  cercare insistentemente, ed in maniera ossessiva, i         P. dopo la fine della relazione con uno di essi. La motivazione sarebbe inadeguata  e carente  anche in relazione a quelle testimonianze che hanno  fornito un  alibi al         S. per il (OMISSIS), sera dei fatti.
2. Eccezione di incostituzionalità dell'art. 275 c.p.p., comma 3, in riferimento all'art. 3 Cost., art. 13 Cost., comma 1 e art. 27 Cost..
L'ordinanza  impugnata ha ritenuto comunque inapplicabile  la  misura gradata  sul presupposto che la sentenza della  Consulta  n.  265  del 2010 (che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 275 c.p.p.,  comma  3, secondo e terzo periodo, del codice  di  procedura penale, come modificato D.L. 23 febbraio 2009, n. 11,  nella parte  in cui   -  nel  prevedere  che,  quando  sussistono  gravi  indizi   di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'art. 600  bis c.p., comma 1,  art.  609  quater  c.p., è applicata la  custodia  cautelare  in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresì, l'ipotesi  in cui  siano  acquisiti  elementi specifici dai quali  risulti  che  le esigenze  cautelari possono essere soddisfatte con altre misure)  non può  estendere la sua efficacia all'art. 609 octies
c.p.,  reato  in relazione al quale permane l'automatismo della custodia  carceraria in virtù  delle  presupposte "particolari" esigenze di tutela.  Risulta evidente  la  disparità  di trattamento nei  confronti  di  soggetti indagati  per l'ipotesi di reato qui in esame, i quali,  pur  essendo indagati  per un reato sessuale della stessa categoria per  la  quale quali  era  stata  adottata la deroga al principio di  adeguatezza  e graduazione  della misura cautelare, continuano ad essere   sottoposti all'automatica  applicazione  della  misura  cautelare   più   grave diversamente  dai soggetti indagati per i delitti di cui  agli  artt. 600 bis c.p., comma 1, artt. 609 bis e 609 quater c.p..
La  disparità di trattamento sarebbe ancor più evidente atteso  che la  pena  edittale prevista per l'ipotesi di cui all'art. 609  octies c.p.,  è  addirittura meno grave di quella di cui all'art.  600  bis c.p.,  per  il  quale è ora possibile individualizzare  le  esigenze cautelari.  Pertanto  la  difesa ha rivolto istanza  affinchè  venga dichiarata  non  manifestamente infondata in riferimento  all'art.  3 Cost.,  art.  13  Cost.,  comma 1 e art. 27  Cost.  la  questione  di costituzionalità dell'art. 275 c.p.p.,  comma 3, nella parte in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza  in ordine  al  delitto di cui all'art. 609  octies c.p., è applicata  la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali  risulti che non sussistono esigenze cautelari- non  fa  salva, altresì,  l'ipotesi  in cui siano acquisiti elementi
specifici,  in relazione  al  caso  concreto; " dai quali risulti  che  le  esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
1. L'ambito del controllo che la Corte di Cassazione esercita in tema di  misure cautelari non riguarda la ricostruzione dei fatti, nè  le valutazioni, tipiche del giudice di merito, sull'attendibilità delle fonti  e  la  rilevanza e/o concludenza  dei dati  probatori,  nè  la riconsiderazione  delle  caratteristiche  soggettive  delle   persone indagate, compreso l'apprezzamento delle esigenze cautelari  e  delle misure  ritenute  adeguate: tutti questi accertamenti  rientrano  nel compito  esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata richiesta l'applicazione della misura cautelare e del tribunale del riesame.
Il  giudice  di  legittimità deve invece verificare che  l'ordinanza impugnata   contenga   l'esposizione  delle  ragioni   giuridicamente significative  che  hanno  sorretto la  decisione  e  sia  immune  da illogicità evidenti: il controllo investe,  in sintesi, la congruenza delle   argomentazioni   rispetto   al   fine    giustificativo    del provvedimento (in tal senso, Sez. 6, n. 3529 dell'1/2/1999, Sabatini, Rv. 212565; Sez. 4, n. 2050 del 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104).
L'ordinanza oggetto della presente impugnazione è  sorretta da logica e  corretta  argomentazione  motivazionale  e  risponde  a  tali  due requisiti.
Il  Tribunale  nel  motivare la gravità del quadro indiziario,  già presa  in  considerazione  dal  GIP, ha analiticamente  esaminato  le censure  sopra  indicate,  già  avanzate  innanzi  a  quel  giudice, confermando l'attendibilità del racconto della persona offesa, anche riscontrato  dalle dichiarazioni testimoniali, e dal referto  medico, tenuto  conto  anche  del  sequestro degli  indumenti  della  ragazza operato  dagli  agenti di polizia giudiziaria. Il tribunale  ha  dato altresì atto della non essenzialità delle risultanze delle indagini difensive quanto alla posizione del cancello di accesso al garage nel quale  è stata consumata  la violenza (fermo restando che dagli  atti di  polizia giudiziaria svolti si evince con estrema chiarezza che il sopralluogo fu espletato, come pure gli stessi ufficiali  di  polizia giudiziaria   procedettero  al  sequestro  degli 
indumenti   presso l'abitazione della persona offesa in (OMISSIS), per cui del tutto infondate   appaiono   le   censure  del  ricorrente   che   dubitano dell'espletamento  di  tale atto). Parimenti,  quanto  all'alibi  che sarebbe   stato   fornito   dai   testimoni   ascoltati   nel   corso dell'attività  di indagine difensiva, il Tribunale  ha  sottolineato che,  non  essendo  possibile avere contezza del preciso  orario  nel quale  si  svolse la violenza, non può essere considerato risolutivo l'alibi  desumibile dal contesto delle dichiarazioni assunte.  Quanto alla  sussistenza  delle esigenze cautelari, i  giudici  del  riesame hanno  richiamato  la  previsione legale di  adeguatezza  della  sola custodia  cautelare in carcere per l'art. 609 octies c.p.,  solo  per evidenziare che a tale fattispecie delittuoso non può essere  estesa l'efficacia della declaratoria di
incostituzionalità parziale di cui alla  sentenza  della Corte costituzionale n. 265 del  2010,  ma  non hanno  applicato al caso concreto tale presunzione: il  tribunale  ha fondato  la  sua  valutazione circa la sussistenza  del  pericolo  di reiterazione  dei reati e di adeguatezza della misura della  custodia in carcere sulle modalità concrete con le quali la violenza sessuale è  stata  perpetrata  nel caso di specie, attraverso il sequestro  di persona,  l'immobilizzazione della vittima con la violenza,  condotte che  hanno  mostrato l'elevata pericolosità degli  autori,  i  quali "proteggendosi  e rafforzandosi a vicenda", potrebbero  compiere,  ad avviso  del giudice del riesame, altri delitti di natura sessuale  in danno di ragazze minorenni come la persona offesa.
2.  Quanto all'eccezione di incostituzionalità dell'art. 275 c.p.p.,  comma  3,  nella parte in cui - nel prevedere che, quando  sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'art. 609 octies c.p., è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano  acquisiti  elementi  dai  quali  risulti  che  non  sussistono esigenze  cautelari- non fa salva, altresì, l'ipotesi in  cui  siano acquisiti  elementi  specifici, in relazione al  caso  concreto,  dai quali  risulti  che le esigenze cautelari possono essere  soddisfatte con  altre  misure,  ritiene questa Corte che la  questione  non  sia rilevante  nel  presente giudizio proprio per  quanto  appena  detto, atteso che i giudici del riesame hanno in realtà motivato le ragioni per  le quali ritengono solo la custodia in carcere idonea a garantire le  sussistenti  esigenze  cautelari, senza  far  ricorso
ad  alcuna presunzione correlata al titolo di reato.
Il  ricorso deve pertanto essere rigettato ed al rigetto consegue, ex art.  616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle  spese processuali.