Le associazioni per i diritti delle donne insorgono
Mosca, deriva oscurantista per aumentare le nascite
 
 
Si allarga il fronte anti-abortista anche in Russia. Le associazioni «per la vita» e alcuni gruppi politici conservatori di ispirazione religiosa hanno fortemente sostenuto il provvedimento sull'interruzione di gravidanza che rende l'aborto illegale se operato dopo la 12esima settimana, tranne in gravissimi casi: stupro, carcerazione, morte o grave invalidità del marito e nel caso in cui la donna sia stata privata della potestà materna dalle autorità giudiziarie. Un drammatico passo indietro. La precedente legislazione permetteva infatti l'interruzione fino alle 22esima settimana e prevedeva 13 casi «legalmente riconosciuti», tra queste: divorzio, povertà o dimora non idonea alla crescita del bambino. «Sulle nostre strade ci sono già quattro milioni di bambini abbandonati alla miseria. Invece di dare assistenza a loro e alle famiglie, il governo russo pensa a promuovere la nascita di altri miserabili», tuona Julia Kachalova, presidente della "Focus Fondation» di Mosca.

Attualmente in Russia il numero di nascite è di 1,2 milioni l'anno, mentre per il governo ne occorrebbero 800mila in più per assicurare la crescita demografica.

Le nuove nascite, è l'obiettivo, dovrebbero giungere con l'inasprimento della legislazione anti-abortista: da quelle 15 interruzioni di gravidanza ogni 10 nati. Netta l'opposizione al provvedimento da parte delle associazioni russe che si battono per la tutela delle donne: «E' un attacco ai diritti - afferma Inga Grebesheva - e certo non provocherà l'aumento delle nascite sperato dal governo». Forte, purtroppo, la presa della campagna anti-abortista sulla popolazione bersagliata da gruppuscoli di estremisti religiosi che, finanziati dagli Stati Uniti (patria di sette integraliste anti-abortiste), diffondono volantini e cartelloni che condannano gli «assassini di feti».

G. V.
 

Parigi: «L'interruzione involontaria è omicidio»
Il Paese si spacca, via libera a «statuto del feto»
 
 
Giro di vite sull'aborto, la laica Francia ha approvato una legge che sancisce come reato punibile l'interruzione di gravidanza per «negligenza, imprudenza o errore». Se l'aborto viene provocato da un errore medico o da un incidente stradale entra in ballo tale normativa. L'accusa è di omicidio colposo e la possibile pena è di un anno di carcere e un'ammenda di 15mila euro. Grande l'indignazione tra le opposizioni di sinistra, mentre la maggioranza di centrodestra difende la legge: «Il nascituro deve essere giuridicamente protetto. Questa è una legge che vuol proteggere le donne, porre rimedio a un vuoto giuridico e accertare responsabilità». Si apre la strada allo statuto dell'embrione, inteso come persona giuridica. Per i movimenti femministi il diritto all'aborto, in Francia, sta andando alla deriva e il Paese si sta incamminando su una strada oscurantista.

Il timore più diffuso è ora quello di capire quanto questa legge sull'interruzione di gravidanza, per «negligenza, imprudenza o errore», influirà sul diritto all'autodeterminazione della donna nell'ambito di una scelta così personale come l'aborto. Se l'omicidio involontario del feto è reato, come sarà valutata l'interruzione di gravidanza volontaria? La maggioranza di centrodestra reputa tali sacrosanti dubbi infondati e strumentali, ma ha senso parlare di «uccisione» per chi non ha neppure un atto di nascita? Numerosi già i processi in cui donne hanno subito l'interruzione di gravidanza a causa di terzi. In uno la cassazione si è espressa contro il risarcimento della giovane perché ha escluso che si potesse considerare omicidio la morte di chi non è ancora nato. La Francia si spacca sulla legge anti-aborto mentre diminuisce l'attenzione verso la salute della donna in favore del presunto diritto di un eventuale nascituro.

G. V.