Regione Veneto: sì alla privatizzazione delle acque e al nuovo polo estrattivo. Cittadini e associazioni insorgono
San Benedetto, acqua in monopolio
 
 
Da elemento vitale, a pomo della discordia: l'acqua è sempre più vittima di business illeciti e losche speculazioni. Nonchè del rischio imperante della sua privatizzazione. Nella patria delle acque in bottiglia è esploso un nuovo caso, quello relativo alla costruzione dell'impianto della S. Benedetto in località Padernello a Paese (Tv).

Il gruppo veneto infatti, detentore del 19% del mercato italiano, sta di fatto ponendo un ulteriore pilastro del proprio impero. E' infatti in corso la creazione di un nuovo polo estrattivo, in barba ai vincoli ambientali che definiscono la zona, «a vulnerabilità elevata» e al valore pubblico di un patrimonio così importante come l'acqua. Lo stato di sofferenza delle falde acquifere non sembra interessare la San Benedetto che punta dritto alla privatizzazione delle sorgenti, col placet malcelato della Regione. Il tutto a scapito di una zona già flagellata da cave e discariche che, da anni, deturpano il trevigiano.

L'annosa questione dell'impianto e il rischio di monopolio (già in atto per altro) ha scatenato un mare di polemiche.

Tutto comincia il 28 novembre 2002, quando la giunta regionale dà alla società veneta l'ok a effettuare «ricerche sulle acque minerali». Di lì la San Benedetto tenta la carta della privatizzazione e inizia la creazione dell'impianto estrattivo. Forte della sua presenza sul territorio, con il collaudato impianto di Scorzè (Ve) cerca di attirare i favori della giunta comunale. L'allora maggioranza leghista presta il fianco e si dimostra disponibile alla costruzione dell'industria.

Da quel momento si innesca la miccia. I cittadini si uniscono in una mobilitazione che dura fino ai giorni nostri e che «tenta di fermare, sul filo del rasoio, il processo in atto». Mentre nel polo estrattivo si lavora giorno e notte, si forma un comitato che tenta di sbarrare la via ai lavori. «La San Benedetto - dicono i promotori della mobilitazione - sta accelerando i lavori perché qualcosa potrebbe non quadrare. Può aver trovato nelle acque sostanze chimiche a livelli allarmanti. Ciò - se reso noto - bloccherebbe gli impianti e il loro progetto andrebbe in fumo».

Alla polemica si uniscono anche l'Ente Parco del Sile e i Consorzi di Bonifica che si oppongono radicalmente al colosso che riverserà sull'area 2.700 metri cubi di cemento.

Sotto il sole cocente di luglio 2003 cittadini, associazioni locali e i gruppi ambientalisti scendono in piazza, mentre i Verdi presentano in consiglio regionale una prima interrogazione a risposta scritta. Di lì, un botta e risposta serrato tra manifestanti e la San Benedetto che rifiuta di dare spiegazioni sul proprio operato: «L'area di intervento - dicono i dirigenti - è fuori dall'ambito protetto». Quindi tentano di mettere a tacere ogni polemica.

Ad agosto scendono in campo i rappresentanti istituzionali. L'assessore regionale alle politiche per il territorio, Antonio Padoin, chiede l'alt ai lavori e auspica uno standby che permetta la verifica dell'impatto ambientale. Nel frattempo la San Benedetto procede comunque alla realizzazione di due capannoni. Nonostante formalmente abbia solo il permesso «di ricerca sulle acque». E con il parziale "lasciapassare" glissa sulla valutazione di impatto ambientale chiesta a gran voce dai cittadini.

Con l'arrivo dell'autunno, assieme alle foglie, cadono le prime speranze ma si infuoca la polemica. Mentre la giunta regionale proroga il permesso di ricerca, i Verdi scendono sul piede di guerre e a colpi di interpellanze invocano giustizia per la zona. A quel punto i consiglieri regionali del Prc Mauro Tosi e Pietrangelo Pettenò chiedono alla giunta regionale di esprimere parere contrario alla creazione del nuovo impianto. Solo di fronte a 4mila firme la Regione si attiva e sospende il tutto per valutare la dimensione del problema. La San Benedetto non demorde. Torna alla carica e chiede definitivamente il permesso di estrarre l'acqua, rinfocolando sempre più il dubbio di connivenza con la Regione.

Fioccano interpellanze e mobilitazioni, cui seguono intimidazioni ai danni dei manifestanti. Durante una conferenza dei quadri della San Benedetto, una nutrita delegazione del Prc irrompe nella sala e interrompe i lavori con striscioni e cartelli contro la privatizzazione dell'acqua.

A quel punto entrano in scena i sindaci dei comuni interessati, «rimasti - dicono i membri del Comitato di tutela delle acque - fino ad allora nell'ombra». Vaghi e insofferenti, optano ben presto per la trattativa con la San Benedetto finchè l'aria si fa rovente. Il sindaco di Quintino di Treviso minaccia addirittura querele per i dimostranti.

Ad oggi la situazione è in alto mare e mentre si naviga a vista la soluzione sembra lontana. Dopo che la Commissione Tecnica regionale ha espresso parere favorevole al nuovo impianto, si attende il pronunciamento della giunta regionale.

Così, mentre in tutto il mondo aumenta la penuria d'acqua e scoppiano guerre in nome dell'oro blu, il liquido cristallino diventa simbolo di egemonia e controllo. E mentre ci affanniamo tra bevande effervescenti e liquidi miracolosi, rischiamo di trasformarci in patetici rabdomanti, alla ricerca questa volta del vero miracolo: l'acqua. Sempre più appannaggio di pochi.

Giada Valdannini