Il professor Marco Biagi era nel mirino delle Brigate rosse fin dall'estate del 2000. Ci era finito subito
 
 
Il professor Marco Biagi era nel mirino delle Brigate rosse fin dall'estate del 2000. Ci era finito subito dopo la sigla del Patto per il lavoro di Milano. A confessarlo è la brigatista pentita Cinzia Banelli che ha raccontato al pubblico ministero di Bologna che il giuslavorista ucciso a marzo del 2002 era divenuto, già due anni prima, un obiettivo da eliminare.

Da quel momento, Mario Galesi, descritto dalla "compagna So" come il killer di Biagi e D'Antona, incaricò la stessa Banelli e Marco Morandi di fare delle scritte minatorie in via Valdonica a Bologna, dove appunto il professore risiedeva. Dettaglio, non di poco conto, che conferma che i brigatisti sapevano l'indirizzo del professore già due anni prima del brutale assassinio.

Dopo il sopralluogo però, i piani cambiano. Da Roma arriva l'ordine di lasciar perdere: Banelli e Morandi a quel punto desistono. A cambiare la direttiva, racconta l'ex brigatista, «è anche in questo caso, Mario Galesi».

Nel 2001, racconta la donna: «il gruppo comincia a lavorare alla seconda iniziativa strategica disarticolante contro lo Stato». E' ormai forte la sicurezza che la via di un attentato al giuslavorista sia facilmente percorribile.

A rafforzare i loro piani, «la pubblicazione del libro bianco» che rende «Biagi l'obiettivo fisico da colpire». Ma a quel punto, sottolinea l'ex brigatista: «parte del lavoro era già stata fatta».

Infatti, di fronte all'assenza di una scorta a protezione del professore, i brigatisti potevano dirsi pronti a colpire. Durante l'interrogatorio, confessa Cinzia Banelli: «L'unica ragione che ci avrebbe potuto dissuadere dall'uccidere Biagi era la presenza di una scorta». Ma questa, sospesa nell'autunno del 2001, agevolò le operazioni.

Nonostante la sufficiente libertà di movimento delle Br, l'assassinio fu rimandato di una settimana. A sette giorni da quel drammatico 19 marzo 2002, ha rivelato ai pm Cinzia Banelli, «il gruppo non aveva ancora prodotto una rivendicazione». Tant'è che, sia Banelli sia Morandi, giunti a Bologna il 12 marzo, furono bloccati dal leader del gruppo, Mario Galesi, e spinti ad aspettare.

Dopo due anni di appostamenti però, le Br decisero di colpire all'indomani della pubblicazione di un documento dei servizi segreti in cui si individuava in quanti si occupavano di riforme del lavoro e del dialogo con i sindacati, le possibili vittime dei terroristi. Immediato il collegamento col giuslavorista Marco Biagi e la spinta ad agire.

Un omicidio quindi predisposto in tempi brevi: da un momento all'altro poteva essere confermata la scorta a Biagi. Cosa che per altro non avvenne e che diede campo libero ai brigatisti.

«Non ho mai usato armi» ha dichiarato la donna durante gli interrogatori fiume dei giorni scorsi. Il suo ruolo era quello di «staffetta». In effetti, racconta Banelli: «nell'omicidio Biagi ho avuto solo un ruolo di pedinamento e studio del soggetto».

A dimostrare la collaborazione coi pm che di volta in volta l'hanno interrogata, ha fornito ieri la password del proprio computer, cosa che ha permesso alla Digos di consultare i files della brigatista pentita. Saranno ora i magistrati romani Franco Ionta e Pietro Saviotti a tentare di recuperare informazioni utili allo sviluppo del processo.

Si attende nel frattempo che Cinzia Banelli indichi ai pm il nome del quarto componente del coordinamento toscano di cui faceva parte. Ieri infatti ha fatto solo i nomi di Roberto Morandi e Bruno Di Giovannangelo anche se gli inquirenti sospettano che il terzo potrebbe essere Simone Boccaccini. Intanto, l'udienza preliminare è fissata per il 16 settembre, a Firenze.

Giada Valdannini