Cogne, le motivazioni della sentenza di condanna della madre di Samuele
«10 indizi contro Franzoni»
 
 
Dieci indizi di colpevolezza pendono su Annamaria Franzoni. Il giudice per l'udienza preliminare, Eugenio Gramola, non sembra aver dubbi sul fatto che il piccolo Samuele sia stato ucciso dalla madre. Lo ha confermato ieri depositando le motivazioni della sentenza con cui ha chiesto per lei una condanna a 30 anni di reclusione.

E' stata «raggiunta la ragionevole certezza della sua responsabilità penale», ha scritto il Gup fugando ogni dubbio sulla colpevolezza di altre persone. Come nel caso di Daniela Ferrod, la vicina di casa, accusata a più riprese dalla Franzoni per presunti «screzi» tra le due famiglie.

Secondo il magistrato, Annamaria Franzoni «ha mentito varie volte all'autorità giudiziaria, anche quando ha accusato la vicina». Nulla in effetti emerge a carico della concittadina e il fatto che sia accorsa tempestivamente sul luogo del delitto, sottolinea il Gup, è semplicemente perché fu chiamata dalla madre del piccolo agonizzante.

A inchiodare la donna, secondo il magistrato, è il fatto che avrebbe «avuto tutto il tempo occorente a uccidere, a togliersi gli indumenti usati per l'azione delittuosa, a lavarsi e a riprendere nuovamente freddezza e razionalità».

Non convince nemmeno che, solo quella mattina, e contrariamente alle sue abitudini la donna non abbia chiuso la porta a chiave mentre usciva di casa per accompagnare il figlio maggiore allo scuolabus. Che l'assassino poi, abbia indossato gli abiti di Annamaria Franzoni per compiere il delitto è, secondo il Gup, fuori discussione. L'assenza di alibi inchioderebbe di fatto la madre di Samuele. Non si spiega perchè la donna, di fronte al figlio col cranio fracassato, abbia chiamato l'ambulanza dicendo semplicemente: «Vomita sangue dalla bocca», dichiara il magistrato.

«Notevole e anomala», quindi, «la freddezza davanti alla scoperta del figlio morente», ha sottolineato Gramola, che ha ricordato come «non solo non si sia recata in elicottero con in bambino che appariva ancora vivo, ma si sia affrettata a darlo per morto già parlando col marito». E, evidenzia il Gup, in quella stessa tragica circostanza si è rivolta al consorte dicendo: «Facciamo un altro figlio?».

Queste, in sintesi, le motivazioni che hanno indotto Eugenio Gramola a condannare Annamaria Franzoni. Motivazioni che ha descritto nelle 90 pagine in cui ha ricostruito scrupolosamente le fasi del delitto.

Dura la reazione di Carlo Taormina, che ha seccamente bollato le tesi del Gup dicendo: «La motivazione della sentenza dimostra prevenzione». Per il difensore dell'imputata il magistrato Gramola è dotato di «scarsa preparazione giuridica unita a una sorta di capacità stregonesca».

Secondo Taormina, gli indizi addotti dal Gup sono nient'altro che «cose ridicole che rasentano il buffonesco», ed «è falso - dice il legale della Franzoni - che Annamaria non avesse un alibi perchè i nove minuti di assenza da casa furono un lasso di tempo utile all'uccisione di Samuele».

Ma Gramola, non sembra proprio dello stesso parere. Restano infatti forti dubbi sull'orario della morte del bambino. «Per determinare l'ora esatta del delitto - dice il Gup - è indispensabile la consulenza medico-legale del professor Francesco Viglino in cui si ritiene che "l'ora del decesso, nella realtà, non può essere determinata nemmeno con criterio di mera verosimiglianza"». «Al momento dell'intervento della dottoressa Satragni - conclude quindi - il bimbo era già morto, e non necessariamente appena spirato».

Giada Valdannini