Francia, Libération denuncia il business delle donne francesi costrette a espatriare per diventare madri
Le migranti
della fecondazione
 
 
Hanno 25, 30 o 45 anni e non possono più contare sui loro ovuli per diventare mamme. Nonostante la legge francese garantisca loro il diritto di poterli ottenere da altre donne, sono costrette a emigrare pur di avere un figlio. Se ne vanno in Belgio, in Francia o in Grecia dove le tecniche di fecondazione assistita sono rapide e efficaci, ma purtroppo anche costose e mal regolamentate.

A denunciarlo è il quotidiano Libération che dalle pagine di venerdì scorso tuona contro il business delle fecondazioni, perpetrato da anni sulla pelle di migliaia di donne francesi. La legislazione del Paese, pur consentendo la fecondazione eterologa, impedisce di potervi ricorrere. A entrare in gioco soprattutto l'ostracismo e le ferree restrizioni che scoraggiano le donatrici a mettere a disposizione gli ovuli e impediscono alle mamme di reperirne.

Secondo la legge - si legge su Libération - le donatrici, oltre a essere molto giovani, devono dimostrare di avere una stabile vita di coppia, essere madri di almeno un bambino e ottenere l'approvazione del proprio congiunto. Il tutto per farsi prelevare gli ovuli del tutto anonimamente e senza ottenere in cambio il benché minimo rimborso. Perché mai allora dovrebbero farlo, se non per una forma di solidarietà tutta femminile? Se si pensa che tra i requisiti c'è anche quello di avere un fisico forte per sopportare pesanti cure ormonali, costanti prelievi di sangue, l'anestesia totale e la pessima accoglienza degli istituti sanitari, la scommessa sembra persa in partenza.

Contrariamente alla Francia, in Belgio, Spagna e Grecia non si cavilla poi tanto sulle donatrici. Innanzi tutto si accettano donne con età anche superiore ai 36 anni e poi si riconosce loro una un indennizzo economico e un certo supporto psicologico. Tra i vantaggi della Grecia la possibilità di risolvere tutto in una settimana: «Si cominciano le terapie tre settimane prima - dice Anna, madre di due gemelli avuti "in provetta" - e una volta arrivati a Atene si ottiene l'impianto in tempi brevissimi». Tuttavia c'è un rovescio della medaglia e coincide con le esorbitanti spese da sostenere. All'ospedale Erasme di Bruxelles, per esempio, le future mamme sono costrette a sborsare 3mila euro per l'impianto, più mille per il trattamento delle donatrici. Per non parlare della Gran Bretagna dove per poter arrivare alla tanto sofferto intervento, bisogna versare ben 8mila euro. Insomma un gran business.

Nonostante ciò le donne francesi continuano a fuggire oltre frontiera, tradite e ferite da un Paese che le mette all'indice per voler ricorrere a una prassi tanto consolidata quanto mal digerita. «Non ho mai avuto lo stesso interlocutore - racconta al quotidiano francese una lettrice - Gli infermieri si mostravano sempre esasperati dalle mie domande e ogni volta che uscivo dall'ospedale mi sentivo così umiliata che avevo un bisogno irrefrenabile di piangere».

Ma questo non è l'unico scotto da pagare per chi vuole diventare mamma: un decreto del 24 giugno scorso obbliga a congelare gli ovuli donati per almeno sei mesi. Una precauzione sanitaria che fa crollare al 15% le possibilità di un esito positivo, quattro volte meno rispetto a un trapianto di ovociti appena prelevati.

A peggiorare la situazione la totale assenza di una campagna pubblica che inviti alla donazione e una «passività che - dice Libération - è simbolo di un rifiuto ipocrita e purtroppo efficace».

Fortunatamente però, almeno tra le aspiranti puerpere, scatta una forma di solidarietà che travalica il diretto contatto interpersonale e sfocia, un pò in tutta la Francia, in decine di siti in cui si chatta di speranze e disperazione di donne in attesa.

Libération parla di un autentico «contro-potere medico», «una contro-società», «un mondo a parte, estremamente solidale, incredibilmente acuto, in cui ci si esprime in una lingua differente, senza alcun pudore». Ed è il caso di siti come "auféminin. com" in cui le donne si sostengono le une le altre, indirizzandosi verso le cliniche migliori e suggerendosi addirittura gli alberghi in cui poter soggiornare prima degli interventi. Largo spazio alla collera e allo scoramento di fronte agli interminabili trattamenti che a volte si concludono con un nulla di fatto, ma anche all'esplosione di una gioia condivisa quando gli interventi vanno a buon fine.

«Senza questi forum - si legge in un sito - non sarei mai rimasta incinta. Non avrei mai avuto il coraggio di lanciarmi da sola in una simile avventura, tanto più in Grecia, senza i miei medici, senza il sostegno della famiglia». «In effetti - scrive l'internauta - le altre donne sono state i miei medici, la mia famiglia, anche quando ero distante da casa migliaia di chilometri».

Giada Valdannini