Esce in Italia "La veste strappata", nove racconti della scrittrice Nahid Tabatabai

Miniature dall'Iran senza tempo

 

 

Come fili di un antico tappeto di Persia, le vicende umane si intrecciano nei racconti di Nahid Tabatabai. Sullo sfondo di un Iran "atemporale", pervicacemente ancorato a rigorosi dettami morali, nove storie si affacciano da La veste strappata, il suo ultimo scritto, per la prima volta in Italia.

Altrettanti sono i personaggi che scivolano lungo la narrazione che conferma l'autrice un'abile ritrattista di miniature. In questa raccolta, edita da Il Leone Verde nella collana "Donne Altrove", si respira un'atmosfera tutta mediorientale che non indugia nella concretezza dei giorni nostri, ma semmai si svincola dal tempo per offrirci frammenti riconducibili a qualsiasi epoca.

Dopo La signora e la sua gioventù (1992) e La presenza azzurra di Minà (1993), con Jameradan (letteralmente "Strappandosi le vesti"), l'autrice guida il lettore nel dedalo delle contraddizioni più scottanti. Contraddizioni che costringono i suoi personaggi in bilico sul paradosso, a un passo dal confine labile tra fantasia e realtà.

Sono vite quotidiane descritte con semplicità, attraverso un linguaggio colmo di colloquialismi, caldo di richiami alla cultura locale. Le storie sono quelle di uomini ma soprattutto di donne la cui soggettività è scandagliata fino a farne un racconto di tipo intimistico. I protagonisti si muovono con estrema umiltà, quasi in balia del loro destino. Preordinato, quasi sempre, da volontà altrui.

Come nel caso di Le tre verità, frammenti di un'unica storia in cui lo stesso evento viene presentato attraverso tre osservatrici. Tre donne precipitate in una vicenda di amore e dolore: un contadino dà la propria figlia in sposa a un ricco ragazzo che vuole evitare il militare, una nuova vita concepita distrattamente, la fuga del giovane che rifiuta la ragazza contadina; quindi il matrimonio con una donna di città e la scoperta della sterilità di lei. Poi il nodo del dramma: il rapimento della figlia "legittima", a colmare il vuoto della mancanza di figli. Il tutto sullo sfondo di un'esistenza in cui le figure femminile ignorano la concatenazione delle loro vite, sotto l'indiscusso potere che gli uomini esercitano.

La veste strappata è appunto ciò che rompe la stasi di vite adagiate su stesse. E' un'autentica epifania, il destino che si concede all'osservatore come una quinta scenica improvvisamente lacerata. Il crollo di ogni paravento e l'inimaginabile tumulto celato. Nel caso di Le tre verità è la morte dell'uomo che disvela la realtà, cruda com'è.

Di fronte allo "strappo", i personaggi reagiscono sommessamente come fossero paralizzati dentro gabbie comportamentali. Lo sguardo della scrittrice è però il vero varco: pungente e indagatore, scandaglia il reale come nella più nobile tradizione delle scrittrici arabe. Un'analisi caustica ma benevola, figlia di secoli in cui le donne d'oriente hanno conosciuto la realtà tramite lo sguardo, filtrato attraverso il sottile diaframma del velo. Che ha impedito loro di sperimentare la realtà mediante tutti i sensi, potenziando invece incredibilmente l'acume dell'osservazione. Una lama che seziona i fatti per restituirceli sottoposti a critica.

Di tutto questo è capace Nahid Tabatabai, una scrittrice poco nota in Italia, nata a Teheran nel 1958 e protagonista di quella straordinaria schiera di scrittrici che testimoniano l'importante ruolo della presenza femminile nella cultura iraniana.

Giada Valdannini