Maria Grazia Fasciana, imprenditrice siciliana, racconta a "Liberazione" la latitanza delle istituzioni
Schiacciata dall'usura e lo Stato sta a guardare
 
 
Non smetterà lo sciopero della fame finché non avrà risposte concrete dallo Stato. Così Maria Grazia Fasciana, imprenditrice di Villarosa (Enna), intende portare avanti la sua battaglia contro l'usura che ha ridotto sul lastrico l'azienda casearia della sua famiglia. E ne parla a Liberazione, assicurando che «non si muoverà da davanti alla prefettura di Enna finchè il ministro Pisanu non la riceverà per garantirle i fondi statali per le vittime del racket o finché non prenderà in considerazione la sua proposta di regalare allo Stato il caseificio, purché ricominci a lavorare».

Tutto è cominciato nel 1998 quando, stanca delle continue minacce cui era sottoposta dagli estorsori, ha deciso di scoperchiare la cortina di silenzio. Ma per lei, si sono aperte le porte dell'inferno. Da quel momento, aggressioni e continue intimidazioni ambientali sono riuscite a a bloccare l'attività casearia e nessuno si è dimostrato più disponibile a trattare con lei, neppure per la materia prima: il latte. Di fronte a tutto ciò, «tanto le amministrazioni locali, quanto i rappresentanti governativi hanno fatto orecchie da mercante», lasciandola di fatto sola.


Quali sono gli interlocutori che ha ricercato prima di far esplodere la protesta?

I rappresentanti istituzionali innanzitutto. Dopo aver denunciato nel '98 gli estorsori sono stata ferma per due anni e poi la mia azienda ha lavorato solo saltuariamente. A quel punto sono stata costretta a chiedere allo Stato un risarcimento ai sensi della legge sulla tutela delle vittime del racket ma è iniziata per me un'autentica via crucis.


In quali ostacoli si è imbattuta e cosa ha dovuto fronteggiare?

Ho presentato una perizia giurata redatta da un consulente ma immediatamente il prefetto di Enna ha chiesto una controperizia a un esperto che «aveva molte riserve mentali a trattare le questione». Il risultato è stato che mi sono sentita dire: "Ma perché ha denunciato? Non le conveniva vendere tutto e andarsene al nord con suo figlio? ". Così, non avendo desistito dall'intraprendere la mia battaglia, quel consulente del prefetto ha fatto una perizia per un decimo dell'importo che chiedevo per risarcimento. Gioco forza ho dovuto accettare per pagare i conti ma poi ho fatto ricorso al Tar. Intanto chiedevo udienza al ministro degli Interni Pisanu.


Cosa ha ottenuto?

Nulla. Le istituzioni non mi hanno preso in considerazione e la segreteria del ministro mi ha sempre rifiutato un incontro, dicendo: "Il ministro non è tenuto a incontrarla, nè tanto meno a tenere in considerazione la sua proposta di donare il caseificio allo Stato". Questo è grave perché è un diritto dei cittadini essere ascoltati da chi li governa.


Solidarietà in tutto ciò ne ha incontrata?

Ho avuto ascolto dalla stampa e spesso solo in funzione strumentale. Nè il consiglio comunale, nè il presidente del mio paese si sono sognati di prestarmi aiuto. Il sindaco poi non mi ha dato neppure ascolto. Figuriamoci i miei concittadini. Nessuno vuole esporsi. Ci vuole coraggio e certamente loro non ne hanno.


Ora fino a che punto è pronta a portare avanti lo sciopero della fame?

A oltranza. Fino alla firma del decreto che mi riconosca i fondi o all'accettazione del caseificio da parte dello Stato. Se non arrivano risposte, andrò avanti anche fino alla morte. E se lo Stato se ne frega della vita delle persone vuol dire che è composto da delinquenti e io non sono più disposta a tollerarlo.

Giada Valdannini